Essere transgender è un viaggio
Una guida singolare scritta da due autori unici ci accompagna all'interno della comunità trans in un dialogo fitto sull'esperienza della Queerness
Cos'è il genere, cos'è il sesso? Come capisco di essere una persona trans? Come faccio a dirlo a tuttə? I miei genitori lo potranno accettare? In che bagno devo o posso andare? Cosa devo aspettarmi da questo viaggio? Soprattutto: essere trans è un viaggio? E se lo è, per arrivare dove?
Per moltə queste domande possono avere un'aria familiare. Ad un certo punto della nostra esperienza trans c'è un'insistente vocina che le rimescola a lungo nella testa. Una vocina a cui non sappiamo come rispondere. Sappiamo che la risposta si annida alla fine del percorso, ma quale? Il percorso trans non è monolitico, ma la somma di tanti percorsi che si intrecciano tra loro e che hanno tutti un inizio e una fine ignota, unica, serendipica. Il percorso trans è fatto di vie intersecate tra loro, alcune verticali, alcune orizzontali, altre irregolari, diagonali, come una scacchiera, come New York: ogni strada sembra portare in una città diversa, e a volte c'è il rischio di perdersi, perciò è utile munirsi di una guida.
Questa è la premessa di "The T Guide: Our Trans Experiences and a Celebration of Gender Expression―Man, Woman, Nonbinary, and Beyond", un progetto ideato da Gigi Gorgeous e Gottmik. Entrambe persone trans, Gigi e Gottmik hanno consolidato la loro amicizia davanti una telecamera, postando contenuti a tema LGBTQIA+ su YouTube. Proprio sulla piattaforma di streaming hanno annunciato la pubblicazione del loro libro, definendolo «qualcosa di molto simile a una conversazione». Gigi Gorgeous nasce come youtuber e nel 2008 pubblica il suo primo video e da lì ha avuto un'ascesa incredibile, diventando una delle donne trans più famose al mondo. Nel 2021, Gottmik, è il primo uomo trans a partecipare a RuPaul's Drag Race, dove ha portato un pizzico di energia maschile nella competizione. Quando è in drag adotta i pronomi femminile, quindi utilizzerò nei suoi confronti 'lei'.
Quando sai di star per affrontare un viaggio in un posto che non conosci cerchi di recuperare informazioni. Ti viene naturale fare una ricerca su internet o chiedere l'aiuto di un amico che c'è già stato o magari ci abita. Tipo: cos'è davvero imperdibile da visitare? Come consigli di spostarsi per la città? Dove posso mangiare bene? Se stai pensando di esplorare la tua identità di genere e credi ci sia la possibilità di essere transgender, vai alla ricerca di chi ha già attraversato qualcosa di simile, qualcunə che possa capire come ti senti. L'idea di una presa di coscienza attraverso il dialogo con un'altrə te, nasce nei tardi anni Sessanta negli Stati Uniti e si sviluppa come pratica politica in quella fucina femminista che erano i consciuous raising groups. «Il senso di tale pratica è legato criticamente al concetto hegeliano di autocoscienza come soggettività che si costituisce non puramente attraverso un atto individuale razionale, in quanto coscienza di sé, ma attraverso una relazione dialettica con gli altri e quindi in una relazione sociale e politica» (Sapegno, 2015). L'utilizzo della pratica dell'autocoscienza tra persone trans può essere rintracciata nelle riunioni clandestine di crossdressing che avvenivano a Los Angeles nel 1961, sotto la direzione di Virginia Prince, già editrice di Transvenstia, «periodico che invita alla tolleranza sociale verso i travestitismi» (Stryker, 2017). Tuttavia, il "dialogo" come trave della costruzione di un sé è qualcosa che è sempre esistito nella nostra comunità. Nessuna frase, nessun pensiero, nessuna confessione sono semplicemente tali quando a pronunciarle è una persona trans a un'altra persona trans, esse sono sempre di più. Sono pezzi di un vetro a cui mancano frammenti per potersi specchiare interamente. Sono stucco per buchi interiori. Sono chiavi che mettono in moto un ingranaggio che non sapevamo neanche di avere, ma che c'è, è dentro noi e entra in funzione, in modo assordante, assertivo, trans. La svolta di Gigi è avvenuta quando aveva 19 anni e incontra una ragazza trans di nome Betty a New York: «vedere come viveva mi ha fatto capire che volevo vivere allo stesso modo». Anche Jennie June, alla fine dell'Ottocento si trovava a New York, dove sosteneva fosse concentrata la "consorteria del Terzo Sesso". Jennie June è stata antesignana della narrativa trans con la sua "Autobiografia di un androgino".L'editore che l'ha ristampata per il suo centenario ci tiene a specificare che Jennie June dà «chiari segnali di una vera identità trans» in un'epoca in cui severi medici non ne contemplavano nemmeno l’esistenza ed era vittima di repressione da pregiudizi interiorizzati. Nella consorteria del Terzo Sesso Jeannie sopraggiunge perché c'è qualcosa in lei che non riesce a controllare, «detestati istinti di una immedesimazione al femminile», un magnetismo ancestrale che tra i profondi sensi di colpa procurati da un'educazione cattolica ortodossa la costringe a valicare quella porta nel palazzo che sta sulla Quattordicesima strada. Lei odiava le persone che frequentavano quel luogo, li definiva ultra-androgini e biasimava la loro debolezza nel lasciarsi travolgere da un'energia femminile che dal nucleo interiore si espandeva e diventava un'affermazione decisa di sé. Eppure la sete di dialogo era troppa e sfociò in un apprendistato della durata di un anno che creò la "bambola francese" ispirata dai suoi sogni di transizione.
Una mia amica trans mi tartassa di messaggi perché non conosce un chirurgo che possa farle la nullification, ossia un'operazione dove il sesso viene annullato e resta solo il buchetto per espellere urina. Così telefono a un'amica che ha un'amica che ha fatto questa cosa e poi le metto in contatto. Forse è questa la forma più franca della comunicazione trans: un bisbiglio continuo, un chiedere e ricevere, una costruzione reticolare dove ogni consiglio, ogni dubbio, ogni scoperta è un punto contrassegnato da un legame, un conto in sospeso che devi pagare fornendo altri segreti trans.
Il dialogo è il protagonista della guida stilata da Gigi Gorgeous e Gottmik. Le loro voci si avvicendano in confronti e punti di vista diversi. Raffigurano ciò che ognunə di noi desidera quando inizia un viaggio simile: una mano tesa, un pugno di esperienze già vissute a cui possiamo aggrapparci per essere già a buon punto. Non è un dialogo chiuso, perché le tematiche affrontate - e intorno alle quali orbitano vari discernimenti - vengono commentate da prospettive esterne. Jazz Jennings ci rivela come «ricevere cure prima della pubertà le abbia salvato la vita», Lina Bradford denuncia tuttə: «per anni le persone trans sono state la battuta finale dei comici e ridicolizzate dai media. Perché continuiamo a sminuirci a vicenda all'interno della nostra comunità?». Oltre al dialogo, una pratica che accomuna il viaggio trans è la citazione. Ne avevo già parlato in un articolo sull'Indice dei Libri del Mese che riguardava la potenzialità della narrativa queer. Lì avevo affrontato di come la vita di una persona trans, in realtà, doni a sua volta vita a un'altra persona trans semplicemente mettendosi in mostra, esistendo. Ecco perché la nostra visibilità ha spaventato e spaventa tutt'ora. In Russia e in Ghana sono appena state approvate leggi che criminalizzano gli individui queer. La semplice azione di apparire è fecondante. O meglio, ispirante. Cambiamo noi stessi se ispirati a farlo.
Avevo chiesto «essere trans è un viaggio? E se lo è, per arrivare dove?». Non è facile rispondere a questa domanda. Nell'introduzione del libro, Gigi e Gottmik, vi dicono che sì, è un viaggio, ma unico. Si presuppone che anche la meta sia unica e dunque non sta a me conoscerla. Però mi piace immaginare che ci sia una stazione finale, un atterraggio in un mondo diverso dove l'esperienza trans non è oggetto di discussione, ma stemma, stendardo della nostra umanità. Nel libro, Alok, un'eclettica creatura con i capelli blu e rosa dice: «non sono nato nel corpo sbagliato. Sono nato nel mondo sbagliato». Se invece non fossi così? Se la meta finale di tutti gli unici e insostituibili viaggi trans fosse il mondo? Questo mondo. La crosta terrestre. A volte mi vengono dei pensieri. Le persone che dominano il mondo lo fanno perché hanno una cultura millenaria alle spalle che li ha resi egemoni. Sono i cis-het. Noi, no. Per quanto abbiano cercato di reprimere la nostra identità, per quanto hanno cercato di convincerci che eravamo sbagliati e hanno messo in moto una serie di espedienti socio-culturali per marginalizzarci ed escluderci, noi torniamo sempre. Abbiamo superato l'Olocausto, l'Aids, il confino. Ci sono testimonianze della nostra esistenza fin dall'antichità. Nessuno prende i bambinə e dice loro cosa devono fare per essere trans. Nessuno ci performa alla queerness, anzi. Eppure nascerà sempre qualcunə che ha quella fiamma dentro. Nessuno fino a oggi ha scoperto le cause che ci sono dietro l'identità trans, molte teorie, confutabili; e se in realtà è il contesto a generarci spontaneamente perché ha bisogno di noi, perché noi siamo esattamente dove dobbiamo essere. Questo è il nostro mondo e i cis-het servono solamente per riprodurre la soggettività trans? "T-Guide" non parla espressamente di questo, ma posso definirla una valida cartoville per orientarsi nella grande città trans, dove perdersi, trovarsi, iniettarsi del filler nelle labbra, condividere qualche idea rivoluzionaria davanti un bubble tea, tenersi per mano, scendere in strada, guardare in faccia chiunque e non abbassare mai lo sguardo.