Effetto-Trump: le spine per il governo di Ottawa
Già dal suo primo mandato, il Presidente americano ha posto sfide senza precedenti per i canadesi. E ora un secondo round di scontri
Il Canada, paese a cui la famiglia Trump deve parte delle sue fortune (il nonno gestiva un albergo-bordello in Yukon ai tempi della corsa all’oro), è platealmente sotto attacco dal neo-rieletto presidente degli Stati Uniti, cosa che ha giocato un ruolo determinante della campagna elettorale appena conclusa. Le ripetute dichiarazioni di Trump e i suoi circa una possibile annessione del Canada (sempre poi goffamente giustificate), il chiamare Justin Trudeau governor, l’imposizione di dazi che pesano e peseranno sull’economia del Paese hanno fatto del Presidente statunitense il vero protagonista di un’elezione che ha finito per riscrivere lui stesso. Se, difatti, a inizio 2025 una vittoria dei conservatori di Poilievre sembrava cosa fatta, “l’intervento” esterno della retorica trumpiana ha fatto sì che i sondaggi si ribaltassero con rapidità in favore dei Liberals del neo-primo ministro Mark Carney. Quasi quasi si potrebbe parlare di infiltrazioni straniere.
C’è poco da fare: per ragioni evidenti, ciò che accade a sud del confine ha enormi ripercussioni sui canadesi. Dal 1940, quando Roosevelt e Mackenzie King, tre volte primo ministro liberale tra cui anche negli anni della guerra, posero le basi per un sostanziale avvicinamento dei due Paesi con la Dichiarazione di Ogdensburg, le due nazioni nordamericane hanno rapidamente sviluppato un rapporto di fiducia, stima reciproca e un profondo senso di amicizia. “What unites us is far greater than what divides us”: nel 1961, John F. Kennedy la mise così parlando al parlamento di Ottawa. Certo, sarebbe sbagliato affermare che i rapporti tra primi ministri e presidenti siano sempre stati rosei, ma quantomeno è sempre stato possibile, da parte canadese, far affidamento sulla serietà dei funzionari di Washington, dove l’importanza del Paese vicino è stata sempre trattata con riguardo, e sulla certezza di avere alla Casa Bianca un orecchio interessato alle proprie opinioni. Proprio sotto quest’ultimo aspetto già dal primo mandato l’amministrazione Trump ha rotto i rapporti con il passato e danneggiato forse irreparabilmente uno dei fondamenti dei rapporti tra le due sponde dei Grandi Laghi.
La sua policy di America First ha infatti reso molto difficile a Trudeau farsi ascoltare a Washington. La logica del “noi” (americani) contro “loro” (chiunque altro) ha scosso le fondamenta delle relazioni americano-canadesi dal principio: il Canada non era più il grande Paese amico con cui continuare una relazione privilegiata, ma solo uno stato estero come gli altri. In quanto tale doveva dimostrare il suo vassallaggio agli Stati Uniti per potersi guadagnare legittimità agli occhi della rigida Casa Bianca, che anzi puntava il dito contro NAFTA, l’accordo di libero scambio USA-Canada-Messico siglato negli anni Novanta e allora celebrato come un monumento della storia commerciale mondiale. Per Trump, però, si trattava del “peggior accordo nella storia”, attraverso cui Canada e Messico stavano “fregando” gli Stati Uniti. Nel generale round di sanzioni a destra e a manca, il Canada venne investito dai dazi imposti per motivi di sicurezza nazionale su alluminio e acciaio, mentre l’amministrazione americana minacciava di ritirarsi unilateralmente dall’accordo. L’attività di lobbying degli emissari di Ottawa riuscì poi a portare a un compromesso dando vita all’USMCA nel 2020, che secondo gli osservatori non è stato altro che un aggiornamento di NAFTA. Tutto risolto, allora?
Non è detto. Trump ha infatti affermato di voler rivedere il patto, visto che il prossimo anno, il suo sesto anniversario, sarà il termine in cui le parti hanno facoltà di rinegoziarne i termini o, eventualmente, di farlo decadere. Oggi, tre quarti delle esportazioni del Paese sono dirette negli Stati Uniti, e le due economie hanno un elevatissimo livello di integrazione, quasi maggiore che tra le province stesse, dato che all’interno del Canada non esiste un vero e proprio sistema di libero scambio tra le province a causa di una moltitudine di regolamentazioni differenti – una situazione diversa che negli USA, dove è precisamente competenza del governo e del Congresso di legiferare e regolamentare il commercio interstatale. La mossa di Trump rischia quindi di pregiudicare la salute dell’economia canadese, oltre che di quella americana e, forse, mondiale.
Un altro aspetto da considerare, per il Canada come per l’Europa, è quello della sicurezza nazionale. Un report pubblicato nel 2022 dalla University of Ottawa esprimeva preoccupazione circa gli sviluppi politici a sud del confine, evidenziando come gli Stati Uniti potessero diventare da un momento all’altro “fonte di pericolo e instabilità”. Queste previsioni sono state poi supportate da voci che rivelavano un possibile piano americano per espellere il Canada da Five Eyes, l’alleanza tra servizi di intelligence che lega i due Paesi nordamericani, il Regno Unito, l’Australia e la Nuova Zelanda. Anche se poi è stato smentito, si può immaginare quanto abbia destato preoccupazione circa l’affidabilità americana. Inoltre, sebbene non sia una novità che gli Stati Uniti cerchino di influenzare l’andamento politico di un altro Paese, la proiezione internazionale del movimento MAGA ha investito anche il Canada ponendo seri quesiti per le autorità canadesi. Nel 2022, un convoglio di camionisti è calato sulla capitale Ottawa, occupandola per una settimana per protestare contro il governo Trudeau e le sue misure anti-contagio degli anni precedenti. Ebbene, circa la metà delle donazioni a supporto delle proteste, che a tratti hanno assunto aspetti para-insurrezionali (quantomeno a parole), provenivano dagli Stati Uniti. Cosa fare dunque se la destabilizzazione giunge da un movimento affiliato al Presidente americano?
La conseguenza più devastante di quest’atteggiamento ostile, a livello più radicale e profondo, è la completa perdita di fiducia nei confronti degli Stati Uniti e del governo americano. Si può giungere ad accordi sui dazi grazie a un altro Team Canada come nel 2018, si può stringere i denti e sperare che la prossima amministrazione rappresenti un ritorno al rassicurante passato, ma il solco della ferita ormai è impossibile da cancellare, il sentimento di tradimento resterà. Soprattutto, non si può più essere sicuri che non accadrà nuovamente, e quindi c’è bisogno di sviluppare alleanze alternative. Una siamo noi, l’Unione Europea, di cui si è detto più o meno seriamente che il Canada potrebbe entrare a far parte. Un’altra è il Regno Unito, con cui Mark Carney ha un rapporto privilegiato essendo l’ex Governatore della Bank of England. Inaspettatamente, anche a Washington potrebbe essere accolto in modo diverso rispetto a Trudeau: le sue credenziali di Wall Street potrebbero essere viste con rispetto da Trump, quasi timore. Dopotutto, i due parlano la stessa lingua, venendo dallo stesso mondo finanziario newyorkese; e se, in fondo, tutto questo fosse causato da un’antipatia personale? Se inimicarsi il Canada sia stato causato semplicemente da una banale (infantile) voglia di sbeffeggiare Trudeau? Questa, quantomeno, è l’opinione di Doug Ford, il premier dell’Ontario – conservatore – che a Poilievre imputa di non aver saputo gestire la questione Trump. Ad ogni modo, Carney ha dichiarato che tratterà con Trump “alle nostre condizioni”, nella speranza che il tough talk ipnotizzi il Presidente. Nelle parole del Primo Ministro, il “vecchio rapporto con gli Stati Uniti […] è finito”, così come il sistema mondiale di scambi che ha caratterizzato il secondo dopoguerra fino ad oggi. Resta da vedere come le due nuove amministrazioni si troveranno l’un l’altra.
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