Diane Keaton e il potere di abitare i ruoli
Diane Keaton, scomparsa a 79 anni, aveva la capacità di non distanziarsi dall’idea che rappresentava sul grande schermo: non solo l’abbracciava perfettamente, ma la anticipava.
Il cappello, la cravatta, il gilet, i pantaloni dal taglio maschile, lo sguardo imbarazzato; il diritto di sentirsi fuori posto, diversa, e la capacità di dire la cosa sbagliata (che in fondo non è mai del tutto sbagliata), di nascondere per un attimo le fragilità con un sorriso, per poi accorgersi che proprio quelle fragilità sono la sostanza che dà un senso alle relazioni, alla vita stessa. Diane Keaton è per sempre scolpita nel nostro immaginario così, nei panni imperfetti di Annie Hall, il personaggio che Woody Allen ha scritto ricalcando la vita, i modi, e l’anima di Diane (al secolo, appunto, Diane Hall). Quel personaggio che ha scavato un solco profondo nei nostri sentimenti, che ci ha mostrato il potere della vulnerabilità, che ha disegnato un modo nuovo di mostrarsi al mondo.
Le morti improvvise, come quella di Diane Keaton, scomparsa a 79 anni, hanno la straordinaria capacità di lasciarci stupiti, spaesati, vuoti: soprattutto quando riguardano i divi di Hollywood che non hanno mai il diritto di cambiare, morire, invecchiare o comunque distanziarsi troppo dall’idea che hanno rappresentato sul grande schermo. Diane Keaton ne era fin troppo consapevole; e lei quell'idea, quell’immagine non solo l’abbracciava perfettamente, ma la anticipava.
Era l’irreale Annie Hall prima di diventarlo al cinema; era la radicale e appassionata Louise Bryant (giornalista marxista) prima che Warren Beatty la dirigesse in Reds (1981), il film sulla storia di John Reed, il giornalista che raccontò la Rivoluzione d’ottobre; era l’insegnante delusa dalle relazioni che cercava un temporaneo sollievo negli incontri con gli sconosciuti nel cupo e moderno In cerca di Mr. Goodbar (1977); era la donna in carriera a cui la vita toglie qualsiasi certezza (persino l’acqua calda) nel delizioso Baby Boom (Charles Shyer, 1987), che ricalca i temi classici della commedia degli anni Ottanta; era la moglie tradita e fragile di Michael Corleone in Il Padrino (Francis Ford Coppola, 1972). Ed era ancora la moglie tradita in Il club delle prime mogli (1996), in quella che forse è la parodia futura di Annie Hall degli anni Novanta: Annie (stesso nome) è una moglie amorevole e dolce, convinta di avere una famiglia perfetta, fino a quando non scopre che il marito la tradisce con la psicoterapeuta (una strizzata d’occhio ad Allen e a tutto il suo immaginario fatto di nevrosi, terapeuti costosi e uomini fragili desiderosi di essere compresi finché non si consolano con un’altra). Il suo mondo crolla e si unisce alle sue amiche (una pungente Bette Midler e una luminosa Goldie Hawn) in cerca di vendetta.
E proprio a Goldie Hawn appartiene la battuta migliore del film: “Ci sono solo tre età per le donne a Hollywood: la bambola, il procuratore legale e A spasso con Daisy”. Diane Keaton è riuscita a sfuggirle tutte, a non rimanere mai intrappolata in ruoli femminili stereotipati. Anche quando la commedia americana non aveva più grandi sceneggiature da offrirle (si pensi al tiepido Il padre della sposa, al suo mediocre sequel, o al confuso Amori in città, tradimenti in campagna), o cercava di confinarla nell’ immagine della moglie/madre nevrotica e ossessiva, Diane Keaton è riuscita a tenere egregiamente il passo e a dare corpo e consistenza a personaggi che, in altre mani, sarebbero stati dimenticabili.
Le sue donne esistevano in lei prima di essere interpretate: è una dote che ha assorbito dal teatro (che ha segnato i suoi inizi) e poi dai grandi divi del cinema, da Charlie Chaplin a Buster Keaton, da cui prese il nome d’arte. La sua capacità di contenere in un’unica figura l’incertezza e la determinazione, la malinconia e l’ironia, e di codificarle in un’immagine precisa, in un volto unico e riconoscibile, l’hanno resa una delle ultime protagoniste della commedia americana.
Qualche anno fa la incontrai per caso a Roma, in una calda giornata d’estate: vidi una figura da lontano, con il cappello, un dolcevita di cotone bianco e i capelli grigi appena appoggiati sulle spalle. Pensai: “È Diane Keaton”. Ma non era del tutto vero: era Annie Hall, era Louise Bryant, era l’idea dei suoi personaggi che portava addosso.