Una violenta alienazione: la destra canadese oggi
Una storia che risale agli anni '70 e che si ricollega alla protesta antivaccinale nel cuore della Capitale Ottawa: intervista alla professoressa Melanee Thomas.
Quando si pensa a una destra radicale e aggressiva, il Canada non è certo un paese al quale si pensa tra i primi. Anche per questo l’occupazione della capitale Ottawa da parte di un convoglio chiamato Freedom Convoy ha preso alla sprovvista gli osservatori nel mondo.
In realtà la destra canadese per lungo tempo è stata moderata e con molte affinità con i Tories britannici. Qualcosa si è spezzato durante il lungo regno di Pierre Trudeau, padre dell’attuale primo ministro Justin: il budget federale del 1974 ha acceso un contenzioso tra Ottawa e le province occidentali dell’Alberta, del Saskatchewan e del Manitoba sull’uso dei proventi delle immense risorse minerarie di quel territorio.
Scontro aggravato con il National Energy program varato nel 1980 e mirante a rendere il Canada completamente autonomo dal punto di vista energetico: il punto “caldo” fu la redistribuzione da parte del governo federale di quei proventi petroliferi e minerari da utilizzare per il budget pubblico. L’Alberta divenne la sede principale di questo malcontento: molto simile a quegli stati americani remoti che in quegli stessi anni fornivano un consenso massiccio a Ronald Reagan.
Per capire meglio l’evoluzione del fenomeno, Jefferson - Lettere sull’America ha intervistato la professoressa Melanee Thomas, docente di scienze politiche all’università di Calgary. Si può iniziare proprio da questo, dalla sorpresa dei commentatori internazionali: «Voglio essere molto diretta: queste idee che sembrano radicali sono al centro dell’idea coloniale che ha portato alla fondazione di nazioni come il Canada. Del resto il suprematismo bianco è innervato con la storia del nostro Paese: basata sulla “giusta” rimozione dei nativi da parte dei coloni europei».
C’è però da dire che, in Canada, certe idee trovano poco sfogo nelle istituzioni: «Il People’s Party di Maxime Bernier ha quasi preso il 5% alle elezioni federali del 2021, con tutta la sua retorica razzista e antimmigrazione. In Europa avrebbe ottenuto un pugno di rappresentanti». Ma anche per questo, continua Thomas: «Questa frustrazione si è convogliata in un’azione eclatante come quella di febbraio 2022. Purtroppo alcuni esponenti che appartengono al Partito Conservatore legittimano in parte questi movimenti estremi per ragioni di consenso spicciolo».
Anche sul mito fondativo del moderno conservatorismo canadese c’è da compiere un’opera di revisione, secondo Thomas: «Non ha mai avuto l’intensità dell’autonomismo del Quebec, è semplicemente un risentimento di natura fiscale da utilizzare per ragioni di consenso interno».
Il Partito Conservatore federale, che ha da poco cacciato il suo vecchio leader Erin O’ Toole, fatica però a porre un limite alla sua destra: «Si focalizza solo sul vincere, o sul battere Trudeau. Questo è un atteggiamento potenzialmente corrosivo per la democrazia canadese, anche se non è ancora successo quello che è successo negli Stati Uniti».
C’è un ultimo elemento che è il collante di tutti questi fenomeni e del governo che ha retto l’Alberta, la più conservatrice delle province canadesi, quella che meno accetta il fatto che Justin Trudeau, figlio dell’odiato Pierre, abbia vinto tre elezioni federali consecutive: «Si tratta del suprematismo bianco. Questo è il carburante di molti esponenti conservatori, anche moderati, per mantenere sempre arrabbiati i sostenitori e i grandi donatori, e questo funziona in Alberta da decenni (con l’eccezione della parentesi socialdemocratica di Rachel Notley dal 2015 al 2019 N.d.A.)».
«Questa spirale potenzialmente distruttiva va fermata» conclude Thomas. Si vedrà come andrà la prossima elezione del leader del Partito Conservatore a fine 2022: da lì si vedrà se gli eredi di Stephen Harper e Brian Mulroney seguiranno una via trumpiana oppure proseguiranno in questa ambiguo equilibrismo.
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