Winter is not coming: la desolazione agricola statunitense
Il freddo invernale dura sempre meno e ciò rappresenta una sfida durissima per il futuro dell’agroalimentare USA. Sotto questo aspetto il ruolo della politica federale nei prossimi anni sarà cruciale.
Autunni sempre più lunghi, precoci fioriture primaverili, temperature sempre più calde. È una tendenza consolidata: l’inverno sta scomparendo.
Se da un lato c’è chi è felice delle minori spese per il riscaldamento, dall’altro chi si occupa di agricoltura, allevamento e pesca suda freddo al solo pensiero. Settori, questi, nei quali l’istinto del profano è spesso fuorviante. Per l’uomo della strada la scomparsa dell’inverno significa più tempo utile per coltivare, meno gelate e migliori condizioni di crescita per le piante, che in genere traggono beneficio da ambienti più caldi e umidi (cosa c’è di più rigoglioso dell’Amazzonia, no?). I vantaggi sembrano traslabili anche all’allevamento: meno freddo significa bestiame che passa più tempo al pascolo e meno in stalla, per una miglior qualità del prodotto finale.
L’istinto però non è scienza. Gli studi in materia rivelano che per il comparto agroalimentare statunitense l'ineluttabile scomparsa degli inverni rischia di essere un bagno di sangue.
Le difficoltà per gli agricoltori
Gli Usa sono uno dei più importanti produttori di derrate alimentari a livello mondiale (dati WASDE Report | USDA). Per esempio, sono costantemente tra i primi posti per quanto concerne la produzione di cereali (grano, riso, mais), la cui quota è destinata ad aumentare nel breve periodo a causa della guerra tra Russia e Ucraina, entrambi importanti granai la cui produzione incontra ora delle difficoltà.
È vero che in alcune aree l’innalzamento delle temperature invernali può avvantaggiare le colture autoctone, o quantomeno consentire agli agricoltori di sostituirle con specie tipiche di aree più calde, ma se la temperatura è troppo alta – come avverrà sempre più spesso – i raccolti sono destinati comunque a calare per una serie di motivi.
Gli eventi estremi
L’aumento della temperatura influisce sulla disponibilità di acqua, che si traduce in un flusso meno costante e legato a fenomeni meteorologici estremi alternati a periodi di siccità. Le due cose combinate – flusso d’acqua scostante e violento abbinato a temperature più alte – tendono a lavare via le sostanze nutritive dal terreno, per cui l’atteso aumento della resa viene vanificato, se non invertito.
In merito agli eventi meteorologici estremi essi non sono una prospettiva futura ma una realtà che gli agricoltori statunitensi conoscono bene, e da vari anni: cicli alternati di siccità e inondazioni sono ormai la nuova normalità, con un pattern che ricorda più i climi tropicali che quelli temperati e si traduce in una sensibile riduzione dei raccolti e delle performance degli allevamenti.
Ad esempio, nel 2010 e nel 2012 le alte temperature notturne hanno abbassato la resa dei raccolti di mais, mentre un aumento precoce delle temperature nei primi mesi del 2012 dovuto a un inverno troppo caldo e breve ha causato perdite per 220 milioni di dollari nel settore della coltivazione delle ciliegie in Michigan.
Sebbene l’aumento dell’anidride carbonica atmosferica – principale responsabile della progressiva scomparsa dell’inverno – possa stimolare la crescita delle piante, esso riduce la concentrazione di proteine e minerali nella maggior parte delle specie vegetali, tra cui grano, soia e riso, con un potenziale effetto anche sulla nutrizione umana.
Infestanti, parassiti e funghi
Molte piante infestanti, parassiti e funghi prosperano in climi più caldi e umidi. Al cambiare delle condizioni climatiche minacce che un tempo erano assenti grazie al freddo invernale ora migrano da zone più calde, cogliendo gli agricoltori impreparati. Anche le specie autoctone fanno sempre più danni: i cicli riproduttivi diventano incontrollabili e portano a ondate esplosive, alle quali gli operatori non sono abituati.
Quanto alle piante infestanti – tra i principali nemici delle colture, con le quali competono per luce, acqua e nutrienti – gli agricoltori statunitensi spendono più di undici miliardi di dollari all’anno per combatterle. Nonostante i forti investimenti è presumibile che gli areali di queste specie aumenteranno con il contrarsi della stagione invernale, portando a un uso sempre maggiore di prodotti chimici per contrastarle.
Il proliferare dei parassiti, che trovano negli ambienti caldi un habitat ideale, porta a un impiego sempre maggiore di pesticidi, con il rischio che anch’essi finiscano sul piatto delle famiglie americane e che i parassiti sviluppino forme di resistenza nei loro confronti.
La costante contrazione della stagione fredda porta con sé un ovvio effetto collaterale: inverni brevi significano estati più lunghe. L’ampliamento dei periodi di forte caldo secco, soprattutto nel Midwest degli Stati Uniti, potrebbe portare a una diffusione sempre maggiore dell’aflatossina, una pericolosa muffa che rende inutilizzabili i raccolti.
Viceversa, nelle regioni più settentrionali la situazione dovrebbe migliorare. La contrazione del periodo invernale e la conseguente dilatazione della stagione produttiva portano a proiezioni migliori nei Paesi dove un tempo il freddo era il principale fattore limitante in ambito agricolo. È il caso del Canada e, in Europa, della Scandinavia.
I rischi per il bestiame
Come avviene per le colture destinate all'alimentazione umana, una maggiore presenza di anidride carbonica atmosferica è associata a un ridotto contenuto di proteine anche nelle piante di erba medica e soia a uso animale.
La riduzione della qualità del foraggio trasla il problema anche sul settore dell’allevamento, a causa del calo della capacità dei pascoli di sostenere il bestiame dal punto di vista nutrizionale. Questo spinge a una maggior produzione di cibo per mantenere la stessa quantità di capi, con un incremento nel consumo di superficie coltivata a questo scopo.
La progressiva scomparsa della stagione fredda rischia di avere ricadute devastanti per quanto riguarda la lotta ai parassiti e alle malattie. Gli inverni caldi potrebbero consentire ad alcuni parassiti di sopravvivere con maggior facilità da una stagione calda all’altra, e nelle aree con maggiore piovosità possono prosperare patogeni dipendenti dall’umidità.
È presumibile che in futuro verranno adottati dei cambiamenti nei protocolli veterinari in risposta alle mutate condizioni climatiche, con un aumento dell’uso di antiparassitari. Ciò potrebbe incrementare il rischio di contaminazione, per cui varie sostanze chimiche usate per la cura del bestiame potrebbero entrare nella catena alimentare umana. Altro rischio correlato è che i parassiti sviluppino resistenze verso i prodotti attualmente usati, con conseguenti implicazioni per la sicurezza igienico sanitaria.
L’effetto sulla pesca
Molte specie ittiche possono reagire all’aumento delle temperature migrando verso zone più fredde a nord o verso il mare aperto. Tuttavia, il trasferimento in nuove aree può mettere queste specie in competizione con quelle autoctone, danneggiando l’ecosistema con un conseguente calo della pescosità sul lungo periodo.
Al pari del bestiame, anche le specie acquatiche corrono rischi simili in merito alle malattie e ai parassiti. Ad esempio, temperature dell’acqua più elevate e maggior salinità degli estuari hanno consentito una maggior diffusione dei parassiti delle ostriche, mentre nell’Artico l’innalzamento delle temperature invernali sta contribuendo alla diffusione di malattie nelle popolazioni di salmoni, in particolare nel Mare di Bering. Temperature più elevate hanno causato focolai di infezioni nel corallo, in alcune specie di alghe e nell’abalone, rinomato mollusco pescato a uso alimentare.
I cambiamenti di temperatura influiscono sui cicli riproduttivi e migratori di molte specie. Si prevede che questo aspetto contribuirà a un netto calo delle popolazioni di salmoni nel prossimo futuro.
Il nodo delle coperture assicurative
Gli agricoltori lavorano sodo per arrivare al momento del raccolto e godere dei frutti dei propri sacrifici, ma come abbiamo visto non sempre tutto va per il verso giusto. L’accorciamento della stagione fredda e i fenomeni a essa correlati portano sempre più spesso alla perdita di importanti quote della produzione.
Il comparto agroalimentare statunitense gode però di coperture assicurative federali, che hanno lo scopo di tutelare le aziende agricole da questi eventi straordinari. A finanziare queste coperture sono i contribuenti, che da una parte pagano di tasca propria, dall’altra evitano di far schizzare alle stelle i prezzi delle forniture alimentari nei momenti di maggior difficoltà. Senza contare il rischio sistemico di veder fallire numerose aziende a causa di crisi climatiche ripetute, cosa che rischia di tradursi in un circolo vizioso di produzione che cala e prezzi che aumentano.
Il problema è che il riscaldamento globale sta stressando il sistema già ora, in un crescendo che va avanti da molti anni, al punto che difficilmente sarà sostenibile in futuro. Nel solo, terribile 2012 le indennità erogate hanno superato i diciotto miliardi di dollari, rendendolo l'anno più costoso di sempre per il programma assicurativo. Gli esperti del governo Biden, nonché varie compagnie private, stimano che anni come il 2012 in futuro saranno sempre più frequenti, con un proporzionale rialzo dei premi assicurativi.
Il lato positivo
Non tutto è però perduto. Il comparto della produzione agroalimentare è responsabile di circa il 10% delle emissioni nazionali di gas serra, ma gli esperti stimano che con una corretta politica di incentivi sia possibile implementare soluzioni efficaci nel sequestrare anidride carbonica atmosferica, migliorando sensibilmente questo dato.
La buona notizia infatti è che esistono pratiche che permettono ai coltivatori di diventare sostenibili sul lungo periodo. Queste soluzioni includono il dissodamento del terreno limitato al minimo indispensabile (e azzerato nelle fasi non produttive), l’implementazione estensivo delle cover crop e del pascolo a rotazione, la cattura del metano generato dai rifiuti organici prodotti dal bestiame e dalle coltivazioni, una maggiore efficienza energetica per attività come l'irrigazione e l'essiccazione nonché una spinta nella produzione e nell'uso dell’energia rinnovabile, campo in cui il settore primario ha un ruolo molto importante.
Già ora il governo federale mette a disposizione vari programmi facoltativi per incentivare l’adozione di questo tipo di pratiche, sotto forma di assistenza tecnica, condivisione dei costi e incentivi fiscali. Eppure, nonostante queste iniziative, gli sforzi del governo non sono sufficienti.
Se ci sarà la volontà e l’opportunità politica di implementare soluzioni più decise è ancora tutto da vedere. Riforme di questo tipo richiedono tempo per essere messe in piedi, assimilate dagli operatori e poi fatte funzionare: la palla ora è in mano all’amministrazione Biden, ma molto dipende dai governi che verranno.
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