Il “deserto” che minaccia il giornalismo americano
Dal 2004 sono stati chiusi ben 1.800 giornali, 85 solo nell'anno della pandemia. Sempre più contee rimangono così senza giornali e informazione con gravi conseguenze sociali e politiche.
Nell’immaginario di molti giornalisti europei, ma non solo, la stella polare è sempre stata la stampa americana. Se dovessimo scegliere un santino, un’immagine, anzi un video, che più di ogni altro racconti cos’era (e cosa vorremmo che fosse) il giornalismo (americano) basta guardare uno dei migliori episodi pilota di sempre, la prima puntata di The Newsroom, serie del 2012 scritta e ideata da Aaron Sorkin (uno che sapeva maneggiare bene media e politica). Nel monologo di un affranto Will McAvoy c’era tutto: l’importanza di avere una nazione informata e nell’avere cittadini con strumenti adeguati non solo per votare ma anche per vivere civilmente in un paese grande e complesso come gli Stati Uniti.
Oggi però quel giornalismo che ammiriamo e spesso invidiamo è malato. Anzi mostra tutti i segni del tempo che passa. Ma a soffrire non sono i colossi da milioni di copie o click come il New York Times che aumenta gli incassi dagli abbonati rispetto alla pubblicità, o il Washington Post del magnate Jeff Bezos, no, alla canna del gas c’è il vasto sottobosco dei media locali. Sottobosco che cede terreno al deserto.
Due storie sono emblematiche di questo momento difficile per la stampa americana. Tra il 2020 e 2021 hanno chiuso due giornali, il quotidiano The Vindicator edito nella città di Youngstown, in Ohio e il The Sentinel, un settimanale edito in Maryland nei sobborghi di Washington. Con la chiusura del primo Youngstown è diventata la prima città del Paese a rimanere senza un quotidiano; mentre la fine del secondo ha lasciato circa un milione di persone nella contea di Montgomery senza un giornale.
I numeri di un tracollo
Per avere una vaga idea di quello che sta succedendo è necessario partire dal report annuale State of the News del Pew Research Center. Nell’Annus horribilis 2020 la diffusione (cartacea e digitale) dei giornali si è attestata a 24,3 milioni di copie giornaliere che salivano a malapena a 25,8 la domenica. Un calo del 6% rispetto all’anno precedente. Si capisce meglio il declino se si riportano le lancette a 30 anni fa circa. Nel 1990 le copie venute ogni giorno erano ben 63,2 milioni. Da quel momento la diffusione è calata di anno in anno.
A questo punto l’equazione è facile: meno vendite, meno introiti, meno giornalisti, meno giornali. Secondo una rilevazione di Poynter nel solo periodo pandemico ben 85 redazioni locali sono state definitivamente chiuse. Il database più esaustivo che tiene traccia delle chiusure in tutta l’Unione è quello della Hussman School of Journalism and Media dell’Università del Nord Carolina (Una). Dal 2004, anno dei primi monitoraggi, sono stati chiusi ben 1.800 giornali con una media di 100 chiusure l’anno. Ancora oggi in tutti gli Stati Uniti vengono pubblicati 7 mila giornali, la maggior parte dei quali, l’80%, sono settimanali che si trovano in aree piccole e rurali con tirature che non superano le 15 mila copie.
I ricercatori dell’UNC hanno definito i news desert come quelle comunità in cui gli abitanti non hanno giornali locali o hanno comunque un accesso ridotto alle notizie che permettano esercizi democratici di base. Ma quanto è grande questo “deserto”? Delle 3.143 contee in cui sono divisi gli USA circa 200 sono senza giornali o periodici per circa 3,2 milioni di persone scoperte. Altre 1.449 sono quelle che invece ne hanno solo uno, di solito solo in formato settimanale. Complessivamente quindi circa 2 mila contee non hanno quotidiani che escono ogni giorno.
Sempre secondo il monitoraggio dell’Unc una fetta dei giornali che hanno chiuso i battenti dal 2004, 1.300, si trovava nei sobborghi. Tutti, tranne una cinquantina, erano dei settimanali con una tiratura inferiore alle 10 mila copie. La loro scomparsa lascia un enorme vuoto in molte zone dove i cittadini facevano affidamento sui media locali per tenersi aggiornati su cosa succedeva nel vicinato. Altri 500 hanno chiuso in aree rurali, molti dei quali in aree con regioni con tassi di povertà più alti della media nazionale.
Geografia del disastro
Chiaramente in un simile scenario nessuno degli Stati dell’Unione è stato risparmiato. Dai più popolosi a quelli più rurali. Ma alcuni numeri svettano sugli altri. È il caso ad esempio del Maryland dove ha chiuso il 52% dei giornali, del Connecticut (-46%), dello Stato di New York (-40%), ma anche di Ohio (-39%), Florida (-34%), Illinois (-33%), Texas (-31%) e California (-24%). Ma il segno meno si trova ovunque, persino nello stato che ha pagato il debito minore, il Nord Dakota che in 15 anni ha perso solo un giornale.
Se però usiamo la lente di ingrandimento e ci muoviamo di contea in contea e raggruppiamo i dati in base alle macro regioni vediamo che il Sud ha ben 108 contee senza giornali, contro i 31 del Midwest, i 29 dei Mountain States, e i 23 degli Stati affacciati sul pacifico.
Gli effetti
Oltre alle chiusure, il mercato editoriale ha visto anche altri movimenti più inquietanti con un impatto negativo sulla diffusione dei giornali e giocoforza sulla capacità dei cittadini di essere informati cioè un incremento di fusioni e acquisizioni. Oggi 25 editori controllano oltre il 33% di tutti i giornali in circolazione contro il 20% del 2004 e circa metà dei giornali ha cambiato proprietà negli ultimi tre lustri. A vendere sono stati soprattutto gli editori famigliari dei piccoli giornali, spesso quelli iperlocali. Giocoforza a comprare sono stati soprattutto i grandi gruppi.
Ma cosa significa vivere in luoghi in cui manca la stampa? Il primo effetto è che mancano fonti per leggere la quotidianità che circonda i cittadini. Restano i quotidiani delle contee vicine, così come radio e tv regionali, ma la copertura dei fatti nel vicinato viene via via abbandonata lasciando sempre maggiore spazio ai social media con i rischi di disinformazione che questo comporta.
Ma non solo. Confrontando i deserti informativi con i dati del US Census Bureau si scopre che queste aree sono spesso abitate dai cittadini più vulnerabili, quelli più poveri, anziani e meno istruiti rispetto alla media nazionale: il 18% dei residenti in questi deserti vive in condizioni di povertà contro il 13% della media nazionale. Tra i residenti solo il 20% è laureato contro il 50% della media nazionale. E quasi la metà di chi vive nei “deserti informativi” vive anche nei cosiddetti “deserti alimentari”, zone del Paese che non dipongono di facile accesso a cibi freschi, salutari o comunque vicino a negozi o grandi catene.
Il problema, ha notato l’economista James Hamilton, è che ci si trova di fronte a un circolo vizioso molto pericoloso. Le aree più povere attirano meno inserzionisti pubblicitari perché spesso l’acquisto di giornali passa in secondo piano e questo a sua volta ha ricadute proprio sulle media company che vedono calare gli introiti e quindi chiudono di fatto precludendo a quegli stessi cittadini l’accesso alle informazioni e creando le condizione per un abbandono delle persone dalla vita pubblica.
Cosa succede ora
Come ha sottolineato la società di consulenza Bia in un intervento su Forbes a questo punto gli scenari per i media locali americani sono almeno tre. Il primo, quello più inquietante e preoccupante, prevede l’accelerazione del declino dovuta a una progressiva diminuzione degli introiti. Se nel 2021 le stime parlando di circa 11,7 miliardi di dollari di inserzioni per tutto il comparto locale, la previsione per il 2025 parla di un calo a 8,4 miliardi.
Ma non è detto che il destino debba proprio essere questo. La seconda considerazione del Bia è che le nuove leggi, in particolare il Local Journalism Sustainability Act, possano ridare ossigeno alla stampa locale. Il provvedimento in questione, al vaglio del Congresso e in parte toccato dal mega pacchetto da 3.500 miliardi su cui stanno lavorando i democratici, permetterebbe una serie di agevolazioni fiscali per abbonati, editori e inserzionisti. Ossigeno vero per cercare di salvare quello che resta del tessuto giornalistico a livello di città e contee.
Il terzo punto è forse quello più interessante. Dopo ondate di fusioni e acquisizioni da parte di grandi fondi di investimento o editori nazionali, si sta facendo strada una tendenza opposta, cioè restituire alcuni giornali più piccoli a proprietari locali. Se nel 2019 le società editrici Gannett e Gatehouse si sono fuse creando un’unica azienda con 100 pubblicazioni sparse in 34 stati, nel 2021 il gruppo ha rivenduto 23 dei suoi giornali a nuovi proprietari locali. Un trend ancora timido, ma interessante perché può segnare anche un nuovo patto all’interno delle singole comunità locali tra cittadini-lettori e giornali. Un piccolo fiore in un deserto in espansione.
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