DeSantis è un'alternativa credibile a Trump?
Da quando Trump è passato alla storia come uno dei pochi Presidenti che hanno mancato la rielezione, il Partito Repubblicano vuole riprendersi la sua normalità: è possibile con Ron DeSantis?
Appaiono perfettamente "alla pari" Donald Trump e Ron DeSantis nello spot con il quale lo scorso 25 aprile Joe Biden ha annunciato ufficialmente la sua ricandidatura. Appaiono solo per un istante, il trentasettesimo secondo del video, in una posa così perfettamente simmetrica da far pensare a una ricerca minuziosa di un’immagine come questa, che non lasciasse percepire alcun pronostico su chi dei due sarà alla fine l'antagonista di Biden l'anno prossimo. Troppa incertezza, troppo facile sbagliare.
Da quando Donald Trump è passato alla storia come uno dei pochi Presidenti che hanno mancato la rielezione dopo il primo mandato, il Partito Repubblicano vuole riprendersi la sua normalità: la politica nuovamente nelle mani di un politico di professione, una leadership soggetta a ciclico ricambio e non monarchica, sul modello Forza Italia, che però Berlusconi stesso aveva creato personalmente da zero, contrariamente a Trump che il Partito Repubblicano l'ha improvvisamente "scalato dall'esterno"; una selezione del candidato basata non sul fatto di essere più richiesto come personaggio televisivo, più virale sui social, più pittoresco, bensì sul curriculum, sulle cose importanti fatte, preferibilmente come Governatore di un grande Stato, oppure nelle alte sfere di Washington DC.
Quindi, su chi puntare se non sul Governatore più amato di tutti, lo Zaia d'Oltreoceano, "il Governatore d'America", un po' come i Dallas Cowboys erano "America's Team" negli anni ‘80?
Tutto porta a DeSantis perché DeSantis = Florida. La Florida è la "success story" perfetta, il pezzo d'America dove tutti gli americani vorrebbero vivere.
Fino a 10 anni fa era il quarto Stato dell'Unione per numero di abitanti, ma nel 2014 ha superato New York ed è arrivata a essere il terzo, dietro a California e Texas.
Questo perché la Florida è seconda solo al Texas per aumento della popolazione residente nello scorso decennio e, ultimamente, ha superato anche il Texas divenendo lo stato che sta "crescendo" più di tutti: nel 2022 gli americani che hanno traslocato in Florida sono stati quasi 319mila, quelli che sono andati a vivere in Texas "solo" 231mila.
Del resto lo stesso Trump, da buon newyorkese anziano e benestante, si è trasferito lì tre anni fa.
In teoria per la destra a stelle e strisce la Florida oggi dovrebbe avere un potere simbolico, evocativo, senza pari. Dovrebbe essere l’epicentro di tutto. Fino a una decina d'anni era un gigantesco ago della bilancia, il peso massimo tra i cosiddetti "swing state", gli stati in bilico fra destra e sinistra: pur non essendo lo Stato che assegnava il maggior numero di voti elettorali alle presidenziali, era di gran lunga quello che ne assegnava di più tra quelli "contendibili". Si era soliti ripetere che mentre nel nord dello stato, nelle zone limitrofe all'Alabama e alla Georgia, risiedeva un elettorato classicamente "sudista" e conservatore - non a caso DeSantis viene da lì, da Jacksonville -, a sud, specialmente a sud est nei dintorni di Miami, l'alta concentrazione di pensionati newyorkesi e di immigrati latinoamericani determinava viceversa una netta prevalenza di voto democratico. Nella parte centrale della penisola invece, nella fascia che va da Tampa a Daytona, che ospita poco meno della metà dell'elettorato del Sunshine State – solo nella zona di Tampa risiedono tanti elettori quanto l'intero Colorado, o l’Arizona – il voto oscillava.
Ora invece la Florida è diventata un "red state", uno stato di destra; ciò a dispetto del fatto che lì sussistono tutte le circostanze classicamente adatte a favorire l'opposto: grandi città, immigrazione, popolazione etnicamente variegata, di cui circa la metà di colore.
Trump nel 2020, pur avendo mancato la rielezione, in Florida aveva vinto; e aveva vinto con un margine doppio rispetto a quello del 2016, soprattutto grazie all'accresciuta popolarità fra gli elettori latinoamericani.
Tuttavia, DeSantis due anni dopo, nel 2022, ha fatto molto meglio di Trump: ha vinto, di ben 13 punti persino nella contea di Miami-Dade, la più popolosa di tutto lo Stato e da sempre roccaforte democratica. Si pensi che Biden in quella contea aveva vinto con un margine di 7,4 punti; risicato, peraltro, rispetto a quello di 29,4 con il quale aveva vinto Hillary Clinton nel 2016.
Mentre il Partito Repubblicano, ancora pesantemente "trumpiano", mancava clamorosamente l'obiettivo di strappare la maggioranza al Senato alle midterm, DeSantis è stato rieletto Governatore con quasi il 60%, con un margine di quasi 20 punti, il più ampio dell'ultimo mezzo secolo e il più ampio di sempre per un Repubblicano in Florida.
Lì per lì pareva che si stesse aprendo uno scenario: DeSantis che "funziona" meglio di Trump, DeSantis vincente contro Trump lo sconfitto, il loser. Tuttavia, non è così semplice - anzi.
DeSantis deve cercare di essere il candidato del ritorno alla normalità, della sostanza e dell'esperienza amministrativa contro la personalità mediatica e le tifoserie da social, ma al tempo stesso deve anche tentare di essere il candidato del "trumpismo senza Trump” del quale tanto si discetta, ma la cui realizzabilità è ancora tutta da dimostrare.
Ecco perchè DeSantis deve fare di tutto per non apparire moderato.
Le sue recenti uscite estremiste, i suoi tentativi di sorpassare Trump a destra su numerosi temi, dall'aborto all'immigrazione, potrebbero in realtà essere letti come sintomi del fatto che lui,contrariamente a Trump, è un politico e quindi si posiziona con opportunismo tattico, ben conscio del fatto che la parte più difficile e perigliosa della sua sfida è scippare a “The Donald” i consensi di quell'elettorato "nuovo", più o meno arrabbiato - e ormai numericamente imprescindibile - che Trump stesso ha "portato" nel 2016, e che tutt'ora molti vedono come la base di un partito nel partito, una tribù a parte giustapposta, ma non integrata nella base elettorale repubblicana storica/tradizionale.
Tuttavia, una delle tante caratteristiche che rendono DeSantis diverso da Trump è, a quanto pare, una certa debolezza sul piano mediatico: ha poca personalità nel comunicare, non è mai stato simpatico né carismatico.
Quindi il suo gioco si fa scivoloso, rischia di risultare un giocatore di poker che non sa bluffare. Rischia di apparire solo come una pallida imitazione di Trump e in politica a una imitazione, si sa, gli elettori finiscono quasi sempre per preferire l'originale. Persino se l'imitazione ha la possibilità di governare per otto anni e l'originale solo per (altri) quattro. Persino se l'imitazione ha 44 anni e l'originale l'anno prossimo ne farà 78 - la stessa età che aveva Biden quando venne eletto. Perché rimane sempre quel dettaglio: molti elettori di questi tempi votano seguendo la pancia più della testa, non dimentichiamolo.
Ottimo articolo!