Cutro da fuori: il racconto del naufragio sulla stampa americana
In un tentativo di ricostruire il dramma dall’esterno, la stampa USA utilizza tutto il suo armamentario narrativo per esplicitare che si è trattato del naufragio più grave dal 2013 in Italia
Inizia con Vincenzo Luciano, il pescatore che ha promesso a una sopravvissuta di ritrovargli il figlio disperso sulle coste. Poi racconta il naufragio. Infine si chiede chi dovremmo incolpare. Nell’ultimo pezzo dedicato alla strage di Cutro, il New York Times mette in primo piano le storie di chi era sulla barca di legno che si è spezzata ed è naufragata davanti alle coste calabresi il 26 febbraio, uccidendo 87 delle 180 persone a bordo, tra cui più di 30 bambini al di sotto dei 12 anni. Il quotidiano americano continua un discorso iniziato più di due settimane fa, quando già il giorno stesso del naufragio scriveva che «non era un’emergenza numerica, ma un’emergenza umanitaria».
La tragedia ha messo a fuoco anche per l'America la rotta migratoria tra la Turchia e l’Italia e l’inasprimento delle politiche migratorie italiane ed europee, «che dal 2015 più che dedicarsi ai soccorsi hanno dato priorità alla sorveglianza delle frontiere», scrive il Washington Post.
Leggere quello che si scrive oltreoceano di una questione tutta europea – da anni abbiamo l’impressione che gli sbarchi siano la più grande, se non l’unica, storia che può raccontare l’Europa, e soprattutto l’Italia in Europa – può aiutarci a guardare alle coste di Cutro con occhi diversi, non con quelli assuefatti e cinici di chi assiste ai viaggi della disperazione da più di una decade.
Sui giornali italiani, infatti, il dibattito è vecchio: dovevano o non dovevano partire. Perché la politica dice che non dovevano partire. Meloni ha detto che quelle vite sono state “strappate dai trafficanti”, Piantedosi che è necessario fermare gli sbarchi perché causano tragedie come queste, offrendo ai migranti il miraggio di una vita migliore in Europa che non possono avere. Non dovevano partire.
La Stampa è costretta a scrivere un articolo di giustifica. “Cinquantasette delle 79 vittime della strage di Cutro venivano dall’Afghanistan”: dunque scelta non c’era, se la scelta era partire o morire. Dovevano partire.
In un tentativo di ricostruire il dramma dall’esterno, la stampa americana utilizza tutto il proprio armamentario narrativo per esplicitare che, se non si fosse capito, quello appena successo è il naufragio più grave dal 2013 sulle coste italiane.
La storia del New York Times del pescatore calabrese alla ricerca del figlio della donna sopravvissuta è un esempio di giornalismo emotivo a cui si affianca un giornalismo costruttivo che mette in luce il contesto, per esempio attraverso i dati. I lettori si sentono scavare nelle budella dalla storia di Luciano che punta ad emozionare senza essere respingente. Questo perché alla narrativa della dura realtà si aggiungono elementi positivi e speranzosi: gli abitanti di Cutro che aiutano i sopravvissuti, provano cordoglio per le vittime, smentiscono l’idea che gli italiani siano solo frustrati e spaventati dai migranti. Il messaggio positivo lanciato dal quotidiano americano permette di narrare il dramma senza però correre il rischio di irritare i lettori che, sfiniti dalla quantità di cattive notizie, per istinto di sopravvivenza si chiuderebbero anziché riflettere sulla tragedia.
«Ogni mattina va in spiaggia a guardare le onde, cercando di mantenere la promessa fatta a una madre di trovare il suo bambino», racconta il New York Times. «Gliel’ho promesso», ha detto.
Molto cuore, molta commozione, sono inevitabili di fronte a un evento estremo, ragione per cui chi scrive può correre il rischio di sviluppare scarsa attitudine a proporre analisi, prospettiva storica e stimolare una discussione profonda. Di solito, il giornalismo angloamericano impone, in un patto di massima lealtà col lettore, la separazione tra notizia e commento, nel rispetto della persona e del suo diritto a formarsi un’opinione libera, non inquinata da elementi di giudizio e coloriture passionali. Esempio di tale separazione è il pezzo in cui il Washington Post racconta il viaggio prima e il naufragio poi attraverso una minuziosa analisi cronologica degli eventi e l’offerta di tutti i punti di vista in campo – Frontex, il governo italiano, i sopravvissuti – senza particolare uso di elementi emotivi.
«Sabato 25 febbraio alle 22:26 un aereo di Frontex che pattugliava il Mar Ionio ha avvistato un’imbarcazione diretta verso la costa italiana»; «Alle 3:48 di domenica 26 febbraio i mezzi della guardia di finanza sono rientrati alla base, senza aver raggiunto l’imbarcazione a causa del maltempo»; «La polizia italiana è arrivata sul posto alle 4:30 del mattino, la stessa ora in cui la guardia costiera afferma di aver ricevuto le prime chiamate di emergenza relative alla barca. A quel punto, i corpi venivano già tirati fuori dall’acqua con persone che gridavano aiuto mentre altri tentavano di rianimare le vittime…».
Infine, la stampa americana si chiede di chi sia la responsabilità. Meloni ha detto al parlamento che la sua coscienza è pulita, ma il New York Times specifica che «le autorità italiane hanno deciso di non schierare le navi della guardia costiera, che negli anni hanno salvato centinaia di migliaia di vite nel Mediterraneo. Invece, hanno inviato barche delle forze dell’ordine meno equipaggiate, che sono dovute rientrare in porto a causa del mare mosso» e anzi, che «il governo di coalizione guidato dall’estrema destra ha recentemente emanato ulteriori restrizioni agli enti di beneficenza che equipaggiano le navi di salvataggio dei migranti, sebbene queste organizzazioni non abbiano operato nelle acque al largo della Calabria, la regione in cui si è verificata l’ultima tragedia».
Sul Washington Post le parole del Presidente del Consiglio: "Mi chiedo se ci sia qualcuno in questa nazione che creda onestamente che il governo abbia deliberatamente lasciato morire più di 60 persone, compresi alcuni bambini". A tal proposito Il Giornale scrive sia “follia” accusare Meloni di “avere le mani sporche di sangue”.
In effetti i due principali quotidiani democratici d’America chiedono di aggiungere un posto alla fila degli imputati. Si chiedono: «Dov’è l’Europa?». Sì, negli anni «politici populisti, tra cui Meloni, che ha parlato di ‘sostituzione etnica’, hanno costantemente giocato sulle paure degli italiani diffondendo video di migranti che agiscono in modo criminale o arrivano in massa», sostituendo programmi ambiziosi di salvataggio nel Mediterraneo con ferrei «controlli delle frontiere» e promesse di «blocchi navali». Tuttavia, aggiungono, il corpo senza vita di una bimba morta sulle coste calabresi, l’ennesima, pesa come «un macigno sulla coscienza dell’Europa tutta».