La crociata antiabortista dei gruppi pro-life USA
Organizzati, talvolta violenti e sostenuti dal panorama mediatico-politico conservatore: come si muovono i gruppi pro-life negli Stati Uniti.
Si possono dire tante cose sul movimento antiabortista americano, ma non che non sia estremamente organizzato. Fin da quando, con la sentenza Roe v. Wade del 1973, la Corte Suprema statunitense ha istituito la protezione federale del diritto all’aborto, una minoranza molto agguerrita ha fatto della lotta per controllare il corpo delle donne il proprio cavallo di battaglia, esercitando pressione per cinquant’anni affinché questo diritto continuasse a essere considerato divisivo, controverso, discutibile.
L’attacco ai diritti riproduttivi ha preso una moltitudine di forme. Sul campo, nel corso dei decenni sono spuntate miriadi di cliniche abortive fasulle il cui solo scopo è convincere le persone a non interrompere la propria gravidanza, mentre le cliniche vere e proprie – come quelle di Planned Parenthood, ma non solo – sono state prese di mira nei modi più disparati.
Nel migliore dei casi, le donne che si rivolgono a questi ambulatori sono costrette ad attraversare gruppi di attivisti furenti pronti a strattonarle, insultarle e farle sentire in colpa. Nel peggiore dei casi, la violenza raggiunge livelli più gravi: tra il 1977 e il 2015 negli USA ci sono stati 8 omicidi, 17 tentati omicidi, 42 attentati e 186 incendi dolosi mirati a cliniche e fornitori di aborti.
Ovviamente, si tratta soltanto dei soldati di fanteria in una guerra che vede coinvolta l’intera compagine dei media conservatori, contentissimi di offrire un megafono alle posizioni antiabortiste; facoltose famiglie di destra e personaggi legati alle frange più estremiste del cristianesimo, soprattutto evangelico; organizzazioni finalizzzate soltanto a far eleggere repubblicani anti-choice; e governi statali a trazione repubblicana, che da anni introducono leggi per ostacolare il diritto all’aborto nel rispetto formale di Roe, o nel tentativo di portare un nuovo caso fino alla Corte Ssuprema. Fino ad arrivare, appunto, alle corti federali, riempite strategicamente di giudici pronti a smantellare i diritti riproduttivi.
È così che siamo arrivati a Dobbs v. Jackson Women's Health Organization, caso attualmente dibattuto dalla Corte Suprema, chiamata a decidere sulla costituzionalità di una legge statale del Mississippi introdotta nel 2018 che vieta quasi tutte le interruzioni di gravidanza dopo le prime 15 settimane dal concepimento (molto meno delle 24 settimane stabilite con la sentenza Planned Parenthood v. Casey del 1992).
Grazie a un leak pubblicato da Politico, sappiamo che la Corte Suprema, la quale ha ottenuto una maggioranza conservatrice durante la presidenza di Donald Trump –votato da tantissime persone esplicitamente perché eleggesse giudici reazionari – ha intenzione di sfruttare Dobbs v. Jackson per rovesciare Roe v. Wade.
Se questo accadesse – e non c’è al momento ragione per credere che non accadrà –, l’aborto diventerebbe immediatamente illegale in una ventina di Stati. In alcuni di questi tornerebbero in vigore le leggi pre-Roe che non sono mai state abrogate, per la maggior parte dei divieti veri e propri. In altri, entrerebbero in azione le cosiddette trigger law, introdotte negli ultimi anni per entrare in vigore molto velocemente nel momento in cui il diritto all’aborto non fosse più garantito a livello federale. Anche in Florida, Indiana, Montana e Nebraska, poi, di recente sono stati introdotti nuovi progetti di legge per limitare l’accesso all’interruzione di gravidanza ed è molto probabile che lo bandirebbero completamente, appena possibile.
In almeno 11 di questi Stati, il divieto non include eccezioni nemmeno in caso di stupro o incesto, una posizione particolarmente radicale anche tra gli antiabortisti più estremi, che la giustificano parlando di queste eccezioni come «pregiudizi contro i bambini concepiti in questo modo».
Non c’è nessuna ragione di pensare che il movimento antiabortista si riterrà soddisfatto anche dopo il rovesciamento di Roe. Nella bozza pubblicata da Politico, il giudice Samuel Alito afferma: «È il momento che si rimandi la questione dell’aborto ai rappresentanti eletti delle persone». In tutta risposta, a pochi giorni di distanza, il leader dei repubblicani al Senato, Mitch McConnell, ha dichiarato che «vale la pena discutere» l’introduzione del divieto di abortire a livello federale, «se ci sono i voti».
Ovviamente, McConnell non parla dei voti della popolazione – anche perché una maggioranza considerevole degli statunitensi è a favore della legalizzazione dell’aborto almeno dagli anni Novanta – ma dei voti in Senato.
Il che ci porta alla fitta rete di gruppi politici anti-choice, organizzati tra lobbying, finanziamento delle candidature di candidati prescelti, e definizione delle priorità e delle politiche del Partito repubblicano fino alle più alte sfere. Come scrivono Mia Ortegon e Ian Vanderwalker sulla rivista femminista Ms Magazine: «A causa della corsa agli armamenti per il finanziamento della campagna elettorale, i candidati e i funzionari eletti prestano troppa attenzione agli interessi dei megadonatori e agli interessi speciali, smorzando le voci della gente comune. Anche se la grande maggioranza degli americani è favorevole a mantenere legale l'aborto, una minoranza attiva e facoltosa è in grado di esercitare un'influenza sulle nomine politiche e giudiziarie attraverso le spese elettorali, portando a leggi estreme e ad una Corte Suprema che le sostiene».
In cima alla lista c’è la Susan B. Anthony List (SBA), che prende il nome da una delle pioniere del movimento per l’emancipazione delle donne negli Stati Uniti, la cui figura è stata ingiustamente fatta propria dal fronte antiabortista per via di alcune citazioni fuori contesto. Fondata come controparte della lista EMILY, che dal 1985 si organizza per far eleggere donne favorevoli ai diritti riproduttivi, la SBA sostiene candidati e promuove leggi il cui fine ultimo sia rendere illegale l’aborto. Nel 2016, SBA e loro PAC (Political Action Committee), Women Speak Out, hanno speso 18 milioni in attività elettorali, un numero aumentato a dismisura nel 2020, quando hanno speso 54 milioni per sostenere la rielezione di Donald Trump.
Tra le associazioni che muovono grandi somme di denaro c’è poi Students for Life, un’organizzazione che afferma di organizzare gli studenti antiabortisti nelle scuole superiori e all’università “dal basso” ma che nel 2019 aveva un budget di 12 milioni di dollari. A capo troviamo Leonard Leo, avvocato conservatore arrivato dalla Federalist Society, che ha anche servito come consigliere legale di Donald Trump, esercitando grande influenza nella selezione di Amy Coney Barrett e Brett Kavanaugh come giudici della Corte Suprema. Tra i loro finanziatori ci sono Betsy DeVos, ex segretaria all’Istruzione, l’organizzazione cristiana Prince Foundation, nonché le fondazioni di diversi milionari, tra cui la famiglia Hetland e Raymond Ruddy.
Students for Life sta lavorando in prima linea per spostare ulteriormente a destra la posizione del Partito Repubblicano a livello nazionale: la loro direttrice esecutiva, Kristan Hawkins, in passato ha affermato che nel suo mondo ideale i contraccettivi sarebbero illegali, e ha recentemente elogiato il governatore dell’Oklahoma per aver firmato un disegno di legge che renderebbe illegale l’aborto anche in caso di stupro e incesto, salvo il caso in cui la vita della donna fosse in pericolo immediato. La punizione per i medici che svolgono la procedura sarebbe di 10 anni di carcere.
Il gruppo è anche in cima ai firmatari di una lettera aperta a Ronna McDaniel, capo del Republican National Committee dal 2017, in cui una lunga lista di influenti gruppi antiabortisti – da Students for Life of America al Priests for Life, da Live Action alla Human Life Alliance – in cui si chiede che il partito repubblicano sposi la posizione ancora più radicale di mettere al bando tutte le interruzioni di gravidanza, a prescindere dalle circostanze del concepimento.
Al loro fianco, nello scrivere la lettera, c’è anche il Family Research Council, un’organizzazione e think tank che è considerata un gruppo d’odio dal Southern Poverty Law Center per i suoi sistematici attacchi alla comunità LGBTQ+. Sul sito del Centro, che nel ciclo elettorale del 2020 ha finanziato candidati repubblicani per un totale di 121 mila dollari, si legge: «Roe v. Wade, che dichiarava l'aborto un 'diritto' costituzionale, era priva di fondamento nel testo della Costituzione e quindi è stata decisa erroneamente, e non vediamo l'ora di il giorno in cui questo grave errore sarà corretto». Tra le altre cose, il gruppo si oppone alla pillola del giorno dopo nonché a diversi tipi di contraccezione e sostiene che «la maternità nel contesto del matrimonio promuova risultati positivi per la salute delle donne».
Spiegando il suo rapporto con altri gruppi conservatori, l’organizzazione afferma di lavorare a stretto contatto con altri gruppi vocalmente antiabortisti, come Focus on the Family, Concerned Women for America ed Eagle Forum. «Ogni organizzazione si adatta a una nicchia e ci si adatta bene. Quando abbiamo l'opportunità di incontrarci e discutere le strategie, lo facciamo. Organizziamo vertici conservatori. State certi che i leader della "destra religiosa" conversano spesso» affermano sul proprio sito.
Tra gli eventi cardine del movimento è impossibile non citare la March for Life, che viene organizzata a Washington D.C. tutti gli anni dal 1974 in concomitanza con l’anniversario di Roe v. Wade e a cui Donald Trump ha partecipato nel corso della sua presidenza. Durante l’evento, gli attivisti antiabortisti hanno l’occasione di connettersi, fare rete, condividere informazioni e protestare insieme nel contesto del «più grande evento a favore della vita del mondo». Vi presenziano spesso noti suprematisti bianchi, e quest’anno è stata invitata a parlare la parlamentare Marjorie Taylor Greene, già nota per la sua aderenza totale alla teoria del complotto QAnon.
Questi gruppi esercitano un’enorme influenza sul Council for National policy, associazione che dal 1981 mette in contatto attivisti reazionari e politici repubblicani per «portare più attenzione e forza alla difesa conservatrice» e raggiungere obiettivi comuni. Fondata dal reverendo Tim LaHaye, capo della Moral Majority, e Paul Weyrich, cofondatore della Heritage Foundation, il gruppo ha svolto un ruolo fondamentale nel cementificare l’opposizione ai diritti riproduttivi tra le priorità del partito repubblicano.
Con le elezioni di metà mandato dietro l’angolo, è ragionevole aspettarsi che la libertà (o meno) delle donne di scegliere cosa fare del proprio corpo continuerà a essere uno dei temi centrali delle campagne nei vari Stati. A maggior ragione perché il movimento antiabortista sembra essersi fuso definitivamente con il Partito Repubblicano di Trump, che d’altronde è riuscito a far ottenere al movimento antiabortista delle vittorie che prima della sua elezione sembravano lontanissime.
La decisione della Corte Suprema, ha affermato Terry Schilling (presidente dell'associazione conservatrice American Principles Project), «è davvero solo l’inizio del lavoro. Le organizzazioni sono state davvero ben collegate ai leader statali e hanno investito in campagne a livello locale negli Stati in bilico» ha detto a NPR.
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