Cosa è successo a YMCA?
Da inno queer a inno MAGA, la nota hit dei Village People è ora più che mai un simbolo di Donald Trump contro la nostra volontà
Nel 2020, quando stavamo seguendo le elezioni presidenziali, noi della redazione di Jefferson avevamo iniziato a notare la bizzarra scelta di YMCA dei Village People come sottofondo musicale durante i rally di Donald Trump, che andava a cercare la riconferma alla Casa Bianca.
“Lo sa che è un inno queer, vero?”, penso di aver chiesto all’epoca a Emanuele, o Matteo. Trovavo abbastanza esilarante la visione di questo Presidente che, mentre sproloquiava le sue idee conservatrici a un pubblico che di liberale ha ben poco, agitava successivamente le braccia a ritmo (più o meno) di questa canzone. Non una qualunque, ma con un pezzo di storia da raccontare.
La conoscete tutti YMCA: l’avete ballata a qualche festa, matrimonio, villaggio turistico, in oratorio per il momento balli di gruppo al centro estivo (esperienza personale). Sapete tutti a memoria i movimenti da fare con le braccia al cielo nel momento del ritornello, così come conoscete tutti l’iconografia dei Village People. Sei uomini, capitanati dal poliziotto del traffico Victor Willis, tra cui un operaio, un nativo americano, un soldato, un motociclista e un cowboy, che cantano in allegria quello che in realtà, appunto, è un inno storico della comunità LGBTQ+.
YMCA è stata scritta dai produttori francesi Jacques Morali e Henri Belolo, due colonne della produzione musicale disco degli anni Settanta. Proprio dalle loro menti nascono i Village People, il cui nome richiama il Greenwich Village di Manhattan, noto per essere un quartiere frequentato dalla comunità queer. Anche in altre città del mondo, il termine “village” indica quartieri LGBTQ+ friendly. YMCA è la sigla che sta per Young Men’s Christian Association: cosa c’entra con la comunità queer, direte. Fondata nel 1844 in Regno Unito e approdata negli States nel 1851 con l’idea di aiutare i giovani uomini arrivati nelle città per lavorare nelle fabbriche nate con la rivoluzione industriale, la YMCA è tutt’oggi un’organizzazione mondiale con vocazione umanitaria e assistenziale. Tuttavia, i centri YMCA erano conosciuti all’interno della comunità gay maschile come luoghi per conoscere persone dello stesso sesso: questo ha generato, nel corso del secolo scorso, diversi scandali, come quello di Portland del 1912 quando 70 uomini finirono alla sbarra con l’accusa di sodomia. Un riferimento, dunque, quello del testo dei Village People, a un sottobosco più che noto all’interno del mondo queer; un occhiolino a chi sapeva.
Uscita nel terzo album Cruisin’ – un altro termine piuttosto noto specialmente nella comunità omosessuale maschile – diventa un successo disco dance, con il suo ritmo catchy e orecchiabile; ma è anche un inno alla rappresentazione, sulla scia dei movimenti di liberazione sessuale di fine anni Sessanta, con innuendo, doppi sensi e riferimenti alla comunità queer che la accompagneranno per oltre quarant’anni. I Village People, quasi tutti uomini gay tranne Willis, reinventano e giocano con gli stereotipi dell’uomo gay, con l’iper-mascolinizzazione dai muscoli in bella vista, in costumi che urlano Stati Uniti da ogni fibra, quasi come dire: “Ci siamo, siamo tra voi”. La cultura underground dei leather club BDSM gay viene sdoganata, inizia finalmente a esserci visibilità dopo troppo tempo passato a vivere nell’ombra. E nonostante pure all’epoca qualcuno accusasse i Village People di aver portato al mainstream la sottocultura queer per commercializzarla con un rainbow washing ante litteram, ancora oggi – o almeno fino a novembre scorso – YMCA era a ogni pride, ogni marcia, ogni festa LGBTQ+ e non solo. YMCA è davvero ovunque. Così dannatamente iconica da essere riconosciuta come patrimonio storico dalla US Library of Congress nel 2020.
Restiamo proprio nel 2020, con Donald Trump che balla da zio ubriaco ai matrimoni durante i suoi rally per la campagna elettorale. Inizialmente Willis, unico membro permanente dei Village People, si oppone all’utilizzo di YMCA e di altre hit storiche del gruppo come Macho Man ai comizi del tycoon. Scriveva su Facebook: “La nostra musica è inclusiva e certamente tutti hanno il diritto di ballare YMCA, indipendentemente dalla propria affiliazione politica. Detto questo, non ne approviamo l’uso, perché preferiremmo che la nostra musica rimanesse estranea alla politica”. Non è nemmeno il primo tra gli artisti a reagire in modo negativo sull’uso della propria musica da parte di Trump e del suo seguito MAGA. Willis, un uomo di colore, aveva reagito ancora più duramente dopo la morte di George Floyd, che avevano acceso le proteste di Black Lives Matter, con Trump che minacciava di mandare i militari per le strade per fermare i dimostranti. Trump perse nel 2020, lo sappiamo, e ricordo che mentre lo guardavo salire sull’elicottero che lo conduceva fuori dalla Casa Bianca ho messo a tutto volume proprio YMCA.
Il resto è storia, almeno fino allo scorso gennaio, quando sul palco del Capital One Arena di Washington D.C. vicino a un felice e trionfante Donald Trump ci sono proprio i Village People, che fanno ballare la folla MAGA che mima le lettere YMCA con le braccia. Gli stessi Village People che avevano dato l’endorsement a Kamala Harris. La domanda che sorge spontanea è: “Perché?”. Com’è possibile che un inno appartenente in primis alla comunità queer finisca su un palco tra persone che non hanno a cuore le battaglie LGBTQ+ e che non nascondono la loro omofobia e transfobia? “YMCA è un inno globale”, scrivono sulla loro dichiarazione a tal proposito i Village People. “Speriamo aiuti il Paese a riunirsi dopo una campagna elettorale tumultuosa” in cui la loro candidata preferita ha perso, dicono. Da lì a qualche giorno Victor Willis ha abiurato alla natura storica di YMCA, dichiarando che non si tratti di un inno gay e che chiunque dovesse solo ventilare la cosa si sarebbe trovato ad affrontare azioni legali (viecce!).
Torniamo al perché, a cui possiamo dare una risposta abbastanza razionale e, contemporaneamente, una non-risposta. La prima è spiegabile con il fatto che pecunia non olet, ed è probabile che Victor Willis, soprattutto dopo una lunga dipendenza dalle droghe e una carriera in declino, abbia bisogno di denaro, saltando sul carro del vincitore che sta portando la sua musica alla ribalta. La seconda invece è parte del caos randomico che è Donald Trump. Una scelta forse casuale, solo perché gli piaceva, forse dettata dalla nostalgia per i balli felici alle feste dove partiva YMCA, chi lo sa. Spiegare a volte il tycoon è molto difficile, come quella volta che a un Town Hall in Pennsylvania ha concluso il tutto con un ballo su una jam session di 40 minuti pieni con musica completamente a caso, tra cui proprio YMCA e l’Ave Maria di Schubert. C’è chi dice che è tutto trolling ai liberali, appropriandosi di un simbolo della comunità queer e trasformandolo in un inno MAGA, che ormai lo segue ovunque. Può essere. Non è la prima volta che la campagna Trump prende qualcosa di LGBTQ+ e lo usa, probabilmente senza capirne il significato: è successo al produttore francese Woodkid con la sua Run, Boy, Run, una canzone meno nota di YMCA ma esplicitamente scritta a favore dell’atto di coming out e liberazione, basandosi sulla storia personale dell’artista, utilizzata dalla campagna Trump per uno spot elettorale. In quel caso, Woodkid aveva reagito duramente.
I Village People che ballano con Trump sono forse l’icona di come il Presidente sia estremamente capace, non si sa come, a reinventare la realtà, far abiurare dopo decenni le persone ai loro credi, a negare anni di storia. E se la democrazia muore nell’oscurità, come un noto giornale americano di appartenenza a Jeff Bezos scrive sulla testata principale, forse YMCA è il simbolo di come il movimento MAGA sia capace di fagocitare qualsiasi cosa, anche quello che non gli appartiene e che vediamo la democrazia americana affievolirsi e i diritti delle minoranze venire azzerati, mentre balliamo alzando le braccia al cielo senza sapere che diamine stiamo facendo.