Cosa ci dicono le storie di Jimmy Kimmel e Charlie Kirk sulla libertà di parola
Una selezione di commenti e riflessioni che la stampa americana ha fatto sull'ipocrisia dell'amministrazione Trump
In un commento del Washington Post si legge duramente: “Al diavolo la libertà di parola. La comicità viene assassinata in pieno giorno”. Nell’America in cui per difendere la libertà di parola è necessario tutelare anche il diritto a istigare all’odio, le parti politiche si scontrano. Quando è free speech? Quando cancel culture? A quale principio morale, se non legale, appellarsi per sostenere che la libertà di parola non ti permette di dire proprio tutto ciò che vuoi? La sospensione di un comico può essere pericolosa quanto il proiettile di un cecchino?
L’episodio che ha sollevato questi dubbi attorno alla libertà di parola è stato l’omicidio di uno dei megafoni della propaganda del mondo MAGA di Donald Trump, Charlie Kirk. Nonostante la persona accusata dell’uccisione, Tyler Robinson, sia cresciuto nelle culture estremiste online fomentate dall’estrema destra statunitense attorno al culto delle armi, i leader conservatori hanno attaccato la sinistra per aver istigato le persone all’odio nei confronti di chi non la pensa come loro.
Poi è avvenuta la temporanea sospensione dello show di Jimmy Kimmel in onda su Abc dopo che il comico ha ironizzato che la "gang MAGA" stesse cercando disperatamente di descrivere l’assassino di Kirk come “qualcosa di diverso da loro”.
Secondo il Washington Post, “mettere a tacere gli altri in nome di Kirk è sicuramente un insulto alla sua memoria. (...) Tolleriamo ogni tipo di materiale offensivo in nome della libertà di espressione – dalla pornografia alle marce razziste – perché comprendiamo che solo proteggendo le peggiori forme di espressione dell’umanità possiamo garantire la sacralità delle migliori”.
Eppure, si legge nell’incipit dell’editoriale, “troppi americani che hanno espresso le loro opinioni dopo l’omicidio di Kirk sembrano non capire il vero significato di queste parole”. A partire dalla stessa Casa Bianca. O dalla Federal Communications Commission (FCC), autorità di regolamentazione delle comunicazioni americana, al cui vertice troviamo Brendan Carr, uno dei principali critici delle dichiarazioni di Kimmel. Proprio lui, commenta il quotidiano, starebbe sfruttando la morte di Kirk come giustificazione per la censura e il controllo governativi. L’accusa in realtà, chiarisce il Washington Post, è stata suggerita su X da Anna M. Gomez, l’unica commissaria democratica della FCC: “Lo ha detto lei, così non dobbiamo farlo noi”.
Già da mesi la stampa si sta preoccupando del sostegno sfacciato di Carr a Trump. Anziché mantenere la dovuta distanza dalla Casa Bianca come i suoi predecessori, ha scritto Politico, il presidente della FCC ha avviato indagini su importanti aziende del settore dei media – tra cui NPR, PBS e Comcast – e si è intromesso direttamente nei contenuti delle notizie, intensificando il controllo su alcune reti e programmi. Infine si è complimentato con Nexstar e Sinclair, le aziende che possiedono la maggior parte delle emittenti locali americane, per aver boicottato il ritorno dello show di Kimmel mandando in onda al suo posto programmi di loro scelta. Non è un problema di ascolti: grazie anche alla controversia, la puntata in cui il comico è riapparso sullo schermo è stata seguita in media da 6,2 milioni di spettatori, un numero quasi quattro volte superiore al suo solito pubblico. È piuttosto una questione economica: sia Sinclair che Nexstar stanno valutando accordi per la loro vasta rete di affiliate locali, accordi che richiederanno l'approvazione della FCC e di Carr. Ma l’intenzione, tendente al profitto, comporta l’effetto di orientare il pubblico a destra e di allontanarlo da Kimmel sia negli Stati repubblicani che in quelli democratici.
“Da quando Trump è tornato al potere”, scrive il New York Times, “la svolta della destra in materia di libertà di parola è stata vertiginosa”. A far storcere il naso è anche l’ipocrisia – pure il Wall Street Journal ha dovuto ammettere che la destra sta “imbavagliando la libertà di parola”, seguendo “l’esempio della sinistra”. Per anni i conservatori hanno sostenuto che la sinistra progressista stesse applicando troppe restrizioni alla libertà di espressione. Adesso, si legge nel New York Times, “attaccare le cattive idee non è cancel culture, ma cultura delle conseguenze. La differenza ora è che è il governo, e non gli attivisti, a imporre le conseguenze”.
Tra l’altro, Trump ha recentemente intentato una causa per diffamazione da quindici miliardi di dollari contro il New York Times. E quando un giornalista gli ha chiesto delucidazioni in merito alle dichiarazioni del Procuratore Generale Pam Bondi – in che senso il Dipartimento di Giustizia “prenderebbe di mira” e “perseguiterebbe” chi incita all’odio se, proprio per salvaguardare la libertà di parola, l’incitamento all’odio è perfettamente consentito dalla legge americana? – Trump ha risposto che forse avrebbero dovuto perseguitare lui, il giornalista che ha osato porgli una domanda, perché, come gli altri dei suoi, ha “tanto odio nel cuore” e lo tratta “in modo così ingiusto”.
Sulla “legalità” dei messaggi d’odio, il New York Times si chiede: “L’approccio americano è insolito?”. E si risponde: “Sì. Molti altri Paesi vietano epiteti razziali, ostentazioni di insegne naziste ed esortazioni a discriminare i gruppi religiosi. Tutto ciò è consentito negli Stati Uniti”. È scritto nel Primo Emendamento. La libertà di esprimersi con le parole non conosce alcun limite. Vuol dire che legittima l’incitamento alla violenza? No, ma la Corte Suprema ha stabilito che le parole devono essere suscettibili di produrre immediatamente violenza o illegalità per andare contro la Costituzione. La mera istigazione alla violenza è legale. E allora, si chiede il quotidiano americano, “se l'incitamento all’odio è legale, perché le persone vengono licenziate per cose che hanno detto su Kirk?”.
Secondo il New Yorker, la risposta all’omicidio di Kirk ha mostrato una grossa ipocrisia. “Kirk viene celebrato come un paladino della libertà di parola, disposto a discutere con chiunque, ovunque, e ucciso da qualcuno che non tollerava le sue opinioni. Allo stesso tempo, gli ammiratori di Kirk stanno conducendo una campagna per far licenziare dal loro lavoro chi fa commenti negativi su tali opinioni. Evidentemente dire cose razziste non è incitamento all’odio, ma accusare qualcuno di dire cose razziste lo è”.
Nell’articolo si legge ancora: “Oggi le persone combattono per le parole. Le vite delle persone vengono danneggiate e a volte distrutte non per qualcosa che hanno fatto, ma per qualcosa che hanno detto”. Il Presidente e la sua amministrazione sono costantemente in guerra per queste parole. Riporta il New Yorker: “Hanno bandito l’Associated Press da alcuni eventi stampa perché non si riferiva al Golfo del Messico come al Golfo d’America, hanno sanzionato gli studi legali che rappresentavano clienti le cui opinioni politiche sono considerate ostili, hanno arrestato e cercato di deportare immigrati negli Stati Uniti per opinioni espresse in discorsi o sulla stampa, hanno tagliato i fondi alle università per presunti discorsi antisemiti e pregiudizi di sinistra, hanno fatto causa al Wall Street Journal per diffamazione, hanno estorto sedici milioni di dollari al proprietario aziendale della CBS per il modo in cui è stata modificata un’intervista di 60 Minutes, hanno iniziato a smantellare The Voice of America perché ‘anti-Trump’ e ‘radicale’, hanno costretto aziende, college e università private a eliminare la parola ‘diversità’ dai loro siti web e hanno ordinato al National Endowment for the Arts di respingere i finanziamenti per progetti che ‘promuovono l'ideologia di genere’”. Va da sé che venga spontaneo pensare: forse meglio essere cauti. Forse meglio non dire nulla che a loro non piaccia.
Invece, alla notizia dell’oscuramento di Kimmel comici ed esperti sono inorriditi. Hanno espresso solidarietà al presentatore ironizzando sulla censura. E quando Kimmel è tornato in onda, ha deciso di parlare subito della nuova iniziativa del Segretario alla Difesa Pete Hegseth che richiede ai giornalisti accreditati che si occupano del Pentagono di firmare un impegno a tenere nascoste al pubblico americano informazioni di cui l’amministrazione non ha specificamente autorizzato la divulgazione. “So che non è così interessante come imbavagliare un comico”, ha detto, “ma è così importante avere una stampa libera, ed è assurdo che non le prestiamo maggiore attenzione".
Può sembrare la prova che, almeno per ora, Kimmel ha ancora la libertà di dire più o meno quello che vuole. Ma questa non sarà la fine della storia, come Carr stesso ha chiarito: “Non abbiamo ancora finito”. Il Washington Post avverte: “Trump ha chiarito che intende intensificare la tensione. Fan del Primo Emendamento: rimanete sintonizzati”.