Aborto, inflazione e caos: cosa aspettarsi dalle midterm
I sondaggi danno i democratici in ritirata con un Congresso pronto a finire in mano ai repubblicani. Eppure le incognite sul voto di novembre non mancano, dalla popolarità di Biden al ritorno di Trump
Il rischio è di un referendum sulla Casa Bianca. L’8 novembre milioni di americani andranno alle urne per le elezioni di metà mandato. Saranno chiamati a rinnovare gran parte del Congresso: tutta la Camera dei rappresentati e un terzo del Senato. Si tratta della prima vera battaglia elettorale dopo le presidenziali di due anni fa. Sul piatto c’è il futuro della presidenza Biden, ma soprattutto quello dell’America.
L’impopolarità di Biden
Al momento il rischio maggiore per il campo democratico è dato dall’indice di gradimento di Joe Biden. I numeri sono in caduta libera. Come certifica FiveThirtyEight, il rating di approvazione si ferma al 37%, il più basso della storia per un Presidente a questo punto del mandato. A preoccupare maggiormente sono anche gli indicatori relativi alla percezione dell’economia. Gli stessi elettori democratici hanno perso fiducia nello stato di salute finanziario del Paese. Ogni indicatore riguardante il Presidente suona come un campanello di allarme per le elezioni del 2022 e anche per quelle del 2024.
Salvo rarissimi casi, come nel 1998 e nel 2002, il primo giro delle midterm per il partito del Presidente va piuttosto male. In anni recenti è successo a Barack Obama nel 2010 e a Donald Trump nel 2018. Questa tornata potrebbe non fare eccezione. Normalmente il partito del Presidente in carica cede il passo all’opposizione. È un meccanismo quasi naturale nella politica americana. Per gli elettori eleggere un Congresso di colore diverso rispetto alla Casa Bianca è anche un modo per costringere i partiti a lavorare insieme. Questo almeno fino all’avvento di Obama; ma nell’America polarizzata e divisa di oggi la spaccatura è più partigiana e meno “pragmatica” di un tempo.
Queste sono le regole: ma gli anni straordinari che gli Stati Uniti stanno attraversando riempiono la sfida elettorale di incognite. L’unica certezza è che il Partito Democratico si troverà a inseguire i repubblicani che viaggiano con il vento in poppa. I sondaggi già mostrano questa tendenza. Il modello previsionale di FiveThirtyEight parla di una Camera dei rappresentanti pronta a diventare rossa (85% di possibilità), ma anche di un Senato che dovrebbe confermare l’esatta divisione tra i due partiti. Quali saranno i temi su cui si giocherà il voto?
Cosa resta dell’agenda dem
La popolarità di Biden è il riflesso di una situazione complessa. Il Paese (e la presidenza) è assediato da un’inflazione dilagante (dati così non si vedevano dai primi anni ’80), un’impennata dei prezzi del gas e delle materie prime, una pandemia non del tutto sotto controllo e una diffusa percezione di poca sicurezza con un incremento generalizzato della violenza. Fattori che preoccupano non poco l’americano medio, quello che vive nei suburbs e che spesso è stato l’ago della bilancia al voto.
Nelle ultime settimane l’amministrazione ha anche provato a rilanciare alcune vittorie incassate negli ultimi due anni: una modesta legge per il controllo delle armi, un’impennata dei posti di lavoro, e diversi pacchetti di supporto agli americani rimasti colpiti dalla pandemia, a cui si è aggiunto il vasto piano per le infrastrutture.
I temi che però sono cari agli americani restano al centro del dibattito, in particolare l’inflazione e il costo di gas e benzina. In particolare la prima è quella attorno a cui si giocherà tutto. Il Wall Street Journal ha parlato di segnali che fanno intravvedere un picco e poi una discesa. Il problema, per Biden, è che oltre a essere prematuro potrebbe essere ormai tardi per rassicurare una gran parte elettori che di solito negli anni elettorali fissano le proprie opinioni in materia economica tra maggio e giugno. Come ha notato il Washington Post, Biden ha pubblicamente biasimato Vladimir Putin e il suo intervento in Ucraina, ma anche le compagnie petrolifere definite “avide”, per aver avuto un impatto sui prezzi.
L’altra grande questione che terrà banco nelle prossime settimane sarà sicuramente l’aborto. Proprio su questo tema l’inquilino della Casa Bianca è stato durissimo. Commentando la decisione della Corte Suprema sul caso Dobbs che ha cancellato la Roe Vs Wade, il Presidente ha parlato di un’azione “terribile ed estrema”, “errori e atti destabilizzanti”. Recentemente è entrato a gamba testa anche sulla campagna elettorale: «O eleggiamo senatori e rappresentanti federali che codificheranno l’aborto, oppure i repubblicani che verranno eletti alla Camera e al Senato cercheranno di vietare l’aborto a livello federale».
Il distaccamento tra Biden e il partito
Il menù elettorale è quindi servito: economia, sicurezza e diritti civili: ma con un Presidente a picco nei sondaggi che possibilità ha il Partito Democratico di evitare anche solo una debacle pesante? Sono proprio i sondaggi a dare un’indicazione in merito. Se è vero che un recente sondaggio New York Times/Siena College ha certificato che il 64% degli elettori democratici preferirebbe un altro candidato per le presidenziali del 2024, è anche vero che la stessa rilevazione ha individuato che il 90% dei democratici preferisce un controllo democratico del Congresso. Questo può avere delle conseguenze nelle urne.
Nate Silver in un lungo articolo ha provato a studiare il “disaccoppiamento” tra Biden e il partito dell’asinello e messo in luce che non sarebbe assurdo avere elettori che disapprovano il Presidente ma non votano per i repubblicani. Questo è vero soprattutto se teniamo conto che dal 2020 in poi il Gop è rimasto saldamente un oggetto trumpiano.
Un dato su tutti per averne un’idea: almeno 120 candidati repubblicani che hanno vinto le primarie (per il Congresso, a Governatore o Segretario di Stato) sposano la teoria cospirativa dell’elezione rubata nel 2020. In più il partito è percepito come sempre più radicale e conservatore, lontano dai temi cari ai moderati o anche solo alla stragrande maggioranza del Paese. Questo fa capire come non è affatto detto che gli elettori democratici delusi da Biden vadano a votare per un candidato repubblicano.
Pur non esistendo questo automatismo, la vera sfida sarà portare gli americani alle urne. Nell’America polarizzata di oggi la quota di swing voters, cioè elettori propensi a cambiare partito, è scesa e si attesta intorno al 7-10% del totale. Questo vuol dire che per vincere un’elezione è importate galvanizzare la propria base. Un passaggio che i dem hanno già sfruttato con discreto successo in Georgia grazie all’impegno di Stacey Abrams nella registrazione degli elettori. La mobilitazione diventa quindi un fattore chiave per arginare la possibile onda rossa nel Congresso.
Fattori di imprevedibilità
Tutti questi fattori rendono lo scenario complicato, a tratti imprevedibile. Le regole delle mid term, ha scritto Stuart Rothenberg su Roll Call valgono sempre meno. In un eloquente articolo dal titolo “Confusi sul 2022? Dovreste esserlo” evidenzia come la politica americana è sempre meno lineare e sempre più imprevedibile. Se è vero che la maggior parte dei dem non vorrebbe un secondo mandato di Biden, persino tra i repubblicani c’è chi non vorrebbe di nuovo Donald Trump tra i candidati. Per il New York Times almeno la metà degli elettori del Gop vorrebbe votare qualcuno di nuovo alle primarie per il 2024.
Questo rende ogni previsione difficile. Nonostante manchino circa 100 giorni al voto, le variabili che possono smuovere le basi dei partiti non mancano. Basti pensare a come fino al 24 giugno la strada verso un flop dem fosse segnata. Poi la Corte Suprema ha decretato la fine della tutela dell’aborto a livello federale fornendo indirettamente un argomento ai democratici. Infatti, i sondaggi pre-sentenza vedevano i repubblicani più attivi e galvanizzati in vista del voto. Ora si nota un maggiore attivismo dopo la mossa della Corte e sondaggi in movimento.
Un altro fattore che rende le elezioni imprevedibili sarà il voto di giovani e minoranze. I primi, che rappresentano un segmento quasi sempre democratico, hanno mostrato segni di insofferenza per l’amministrazione Biden, considerata incapace di lavorare su questioni chiave come il cambiamento climatico o la cancellazione dei debiti studenteschi. Anche qui la chiave non sarà se questi giovani voteranno repubblicano, ma se si recheranno alle urne o meno.
Tra le minoranze i sondaggi continuano a registrare il passaggio di grosse fette del voto ispanico da sinistra a destra, e una maggiore disaffezione di quello afroamericano. Da qualche anno il voto delle comunità sta lentamente diventato più variegato e certi atteggiamenti dell’amministrazione lo stanno alienando ancora di più. Se nel 2021 Biden aveva apertamente denunciato gli sforzi delle amministrazioni repubblicane che cercavano di porre limiti al diritto di voto degli afroamericani parlando addirittura di versioni aggiornate delle leggi Jim Crow, nel 2022 il tema sembra essere scomparso dalle agende.
L’ultimo grande punto di domanda che può sparigliare ancora di più le carte sul tavolo resta Donald Trump. Le voci di una sua candidatura per il 2024 si susseguono. C’è chi sussurra che qualche novità potrebbe arrivare dopo il 5 settembre, giorno del Labor Day che segna il ritorno della politica al lavoro. Una sua candidatura potrebbe avere un effetto dirompente. Se da un lato può galvanizzare ancora di più la base elettorale del Gop, dall’altro farebbe suonare un campanello di allarme tra gli elettori democratici, magari risvegliandoli dal torpore e convincendoli a tornare alle urne.
L’analista Chris Stirewalt si è chiesto se l’aiuto più grande per i dem non possa arrivare proprio dal tycoon. In fondo, ha notato su The Dispatch, se è vero che Biden è a picco negli indici di preferenza, com’è possibile che a livello nazionale i repubblicani siano avanti di un solo punto (44.3% a 43.2%)? Nel 2010, anno del crack di Obama alle mid term i repubblicani erano avanti di 5 punti, mentre nel 2018 quando Trump aveva un’indice di gradimento sotto di 11 punti (oggi quello di Biden e di -23,8) i democratici erano avanti di 8. Numeri che rendono la sfida più aperta di quanto sembri.
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