Convict No. 9653 for President: la storia di Eugene V. Debs
Trump potrebbe non essere il primo a correre per la Casa Bianca dalla cella. Nel 1920, Eugene V. Debs lo fece dalla prigione di Atlanta, guadagnando quasi un milione di voti.
Donald Trump potrebbe continuare la sua corsa per la Casa Bianca pur indossando una tuta arancione? Questa è la domanda che molti si sono posti dopo che, lo scorso 31 maggio, l'ex presidente e candidato repubblicano alle presidenziali è stato condannato per 34 capi d'accusa di falsificazione di documenti aziendali. Con la sentenza attesa per l’11 luglio, pochi giorni prima della Republican National Convention, dove potrebbe venire ufficialmente nominato come candidato del Partito Repubblicano per la presidenza, le speculazioni sul futuro di Trump abbondano. Comunque, reti come NBC News, la BCC e The Guardian trovano molto improbabile che Trump finisca dietro alle sbarre. Poi, anche se fosse incarcerato, non sarebbe la prima volta che un candidato presidenziale partecipa alla campagna elettorale dalla prigione. Un famoso precedente è quello di Eugene V. Debs, noto sindacalista americano che, tra il 1900 e il 1920, si candidò alla presidenza con il Partito Socialista per ben cinque volte, l'ultima delle quali dal Penitenziario Federale di Atlanta, in Georgia.
Debs naque il 5 novembre 1855 a Terre Haute, in Indiana. Figlio di due immigrati, Marguerite Bettrich and Jean Daniel Debs, Eugene si avviò presto ad una carriera nel settore ferroviario, dove lavorò prima come scrostatore di vernice nei cantieri della ferrovia di Terre Haute, e poi come pompiere di locomotiva. Nonostante la perdita del lavoro durante la crisi finanziaria del 1873, una delle forti recessioni economiche che colpì gli Stati Uniti prima della Grande Depressione, Debs rimase molto affezionato al mondo dei lavoratori ferroviari.
Si spiega così l’inizio della sua carriera sindacalista: nel 1875 Debs divenne membro ufficiale della Brotherhood of Locomotive Firemen (BLF), l’associazione dei pompieri di locomotiva, e poco dopo ne divenne segretario verbalizzante. Negli anni successivi, la celebrità di Debs all’interno della Fratellanza continuò a crescere, finché nel 1878 ne divenne segretario e tesoriere nazionale. Le posizioni di Debs sul ruolo dell’associazione e, in generale, sul rapporto tra i lavoratori tutti e il governo erano moderate: era promotore del valore della cooperazione tra industrie, tra lavoratori e i loro responsabili, e tra le industrie e il governo.
Il momento di svolta per la filosofia di Debs arrivò con il grande sciopero di Chicago del 1886. La protesta si protrasse per un intero anno, con i manifestanti che lottavano per ottenere una giornata lavorativa di otto ore, riducendo così le undici ore imposte dall'industria dell'epoca. Purtroppo, lo sciopero ebbe un tragico epilogo: il 4 maggio, durante una manifestazione a Haymarket, un ordigno esplosivo fu lanciato contro la polizia, uccidendo diversi agenti. Questo evento scatenò una serie di gravi disordini politici, culminati nella condanna a morte di cinque degli otto leader della protesta, a seguito di un processo sommario.
Fu in questo periodo che Debs iniziò ad abbandonare le sue posizioni cooperazioniste. Secondo la biografia di Debs raccontata dalla Federazione Americana per il Lavoro e il Congresso delle Organizzazioni Industriali (AFL-CIO), Debs cominciò a dubitare dell'impegno delle grandi aziende verso la cooperazione industriale e la democrazia popolare. Inoltre, iniziò a pensare che organizzare i sindacati per mestiere o professione anziché su base industriale ostacolasse l'unità dei lavoratori nella lotta contro il crescente potere delle corporazioni. Nel 1893, Debs concretizzò questa idea fondando l’American Railway Union (ARU), che riuniva tutti i lavoratori ferroviari, indistintamente dalla propria mansione. Nello stesso periodo lasciò la BLF. Presto, però, la leadership della ARU causò a Debs e ai suoi colleghi la galera.
Nel 1894, l’Unione era rappresentante di circa il 35% dei lavoratori della Pullman Palace Car Company, che nell’aprile di quell’anno avevano iniziato a manifestare contro il ribassamento dei loro stipendi. Quando la compagnia di carrozze ferroviarie si rifiutò di negoziare, l’Unione invitò a boicottare i prodotti della Pullman a livello nazionale, causando estremi disagi alla circolazione di merci e persone. Il Presidente Cleveland reagì con l’intervento di truppe federali, e i rappresentanti della ARU vennero arrestati. Debs era tra di loro.
In prigione, la trasformazione delle idee di Debs fu totale: abbandonò completamente la causa cooperazionista per abbracciare il socialismo rivoluzionario. Dopo aver sostenuto il candidato Democratico e del People’s Party William Jennings Bryan alle presidenziali del 1896 e dopo averne assistito alla sconfitta, Debs organizzò il Partito Socialdemocratico. Nel 1900 si candidò alla presidenza, ottenendo 96.000 voti. Nel 1901, il suo partito si unì a quello riformista per formare il Partito Socialista d'America. Debs si candidò di nuovo nel 1904, nel 1908 e nel 1912, anno in cui raccolse quasi un milione di voti. Nel 1905 contribuì a fondare i Lavoratori Industriali del Mondo (IWW).
Nonostante le sconfitte personali di Debs, il Partito Specialista Americano riscosse qualche successo a livello statale e locale, prima di andare all’ombra dei Democratici di Woodrow Wilson e del loro programma di riforme progressiste, tra cui la promulgazione di leggi a favore di agricoltori e i lavoratori.
Tuttavia, la campagna per cui Eugene Debs è più noto è quella del 1920, che il sindacalista affrontò dalla prigione. Nel 1918, Debs aveva violato pubblicamente l'Espionage Act del 1917 e il Sedition Act del 1918. Entrambi furono approvati dal Congresso l’anno prima in risposta alle proteste contro la decisione del presidente Wilson di dichiarare guerra alla Germania e ai suoi alleati. Il primo criminalizzava l’ottenimento e la diffusione di informazioni che potessero compromettere l’impegno bellico, mentre il secondo danneggiava severamente la libertà di espressione protetta dal Primo Emendamento. Dopo aver dato una serie di discorsi antibellici, Debs fu trovato colpevole di tradimento e condannato a dieci anni di prigionia. Questo non gli impedì di candidarsi alle elezioni presidenziali del 1920 con il Partito Socialista, che lo nominò candidato ufficiale. I suoi sostenitori indossavano una spilla che diceva: “Convict No. 9653 for President.” Nonostante l’immobilità forzata dalla prigionia, Debs ottenne quasi un milione di voti, il 3,4 percento, che però non bastarono per sconfiggere il candidato Repubblicano Warren Harding. Fu il presidente Harding, nel Natale del 1921, a commutare la condanna di Debs in pena scontata. Debs morì 5 anni più tardi a causa di problemi cardiaci.
L’esperienza di Donald Trump dopo la sentenza dell’11 luglio potrebbe somigliare molto poco alla vicenda di Eugene V. Debs, e, in realtà, lo è già. Come fa notare Elizabeth Chuck in un articolo di NBC News del 31 maggio scorso, ci sono delle differenze molto importanti tra i due candidati. La prima è che, come si diceva all’inizio, Trump potrebbe evitare completamente la prigione e incorrere invece nel pagamento di una multa. La seconda riguarda le accuse e le risposte fornite dai due uomini. Mentre Trump ha negato la sua colpevolezza riguardo agli addebiti che coinvolgevano pagamenti non dichiarati a Stormy Daniels, Eugene V. Debs ha ammesso fieramente di aver violato le imposizioni dell’Espionage Act e del Sedition Act. Nel suo discorso del 18 giugno 1918 a Canton, Ohio, Debs dichiara:
“Mi rendo conto che, parlando a voi questo pomeriggio, ci sono alcune limitazioni al diritto di parola. Devo essere estremamente attento e prudente su ciò che dico, e ancora più attento e prudente su come lo dico. Forse non potrò dire tutto quello che penso, ma non dirò nulla che non penso. Preferirei mille volte essere un'anima libera in prigione che essere un sicofante e un vigliacco per le strade.”
Quel giorno, Debs era pienamente consapevole delle conseguenze delle proprie azioni: preferì la prigione piuttosto che tradire i suoi principi e le sue convinzioni. È difficile attribuire a Trump lo stesso senso d'onore.