Le conseguenze giuridiche della fine di Roe v. Wade
L'ultimo atto della Corte Suprema USA potrebbe riportare il Paese indietro di cinquant'anni. Ecco perché.

La notizia di poche settimane fa che ha scosso l’opinione pubblica statunitense riguarda il diritto all'aborto, già minacciato da una lunga di lista di restrizioni o abolizioni nette, come la legge approvata settimana scorsa in Oklahoma.
Una bozza di opinione della Corte Suprema è stata diffusa da Politico, una delle più grosse testate giornalistiche americane: è infatti circolata l'opinion del giudice Samuel Alito, che indicherebbe la volontà della Corte di abolire il riconoscimento a livello costituzionale del diritto all'aborto così come stabilito dalla sentenza Roe v. Wade del 1973.
Sulla stampa internazionale e statunitense si è ampiamente discusso delle possibili ripercussioni di questa decisione, prevista indicativamente tra fine giugno e inizio luglio di quest'anno; pensiamo sia però interessante indicare alcuni possibili spinti di discussione sul tema che sono necessari per inquadrare la discussione politica che ne seguirà.
In primis, è opportuno ricordare che la Corte Suprema non abolirebbe in toto il diritto all'aborto, ma smetterebbe di riconoscerlo come diritto costituzionalmente garantito: questo implicherebbe il suo ritorno a diritto conosciuto a livello nazionale e non federale, e rimetterebbe la decisione nelle mani dei singoli stati.
La prima conseguenza di questa interpretazione estremamente restrittiva è, naturalmente, la quasi totale illegalità del diritto in quegli stati del Sud e del Midwest che hanno già messo in atto, tramite legislazioni approvate dai parlamenti statali a maggioranza repubblicana, pesanti restrizioni. Non è un mistero, infatti, che le frange più estreme del Partito Repubblicano si preparino a questa decisione da anni ormai, tramite strumenti di lobbying di vario tipo, dalla nomina di giudici nazionali con orientamenti conservatori al sostegno economico e fiscale ad associazioni pro-life.
È interessante anche sottolineare come la netta opposizione all’aborto negli ambienti legati al cristianesimo evangelico e al Partito Repubblicano inizi solo a partire dall’inizio degli anni Ottanta, in quanto storicamente la sola dottrina cattolica sia esplicitamente contraria: si tratta di una vera e propria battaglia culturale cooptata dai conservatori, che si preparano da quarant’anni a questo momento.
Giuridicamente, l’opinione del giudice Samuel Alito è particolarmente interessante da analizzare in quanto il diritto all’aborto, nella formulazione originale del 1973, sarebbe costituzionalmente garantito come diritto alla privacy della donna: secondo Alito, questo diritto alla privacy non sussisterebbe affatto. Bisogna infatti ricordare che negli Stati Uniti il diritto all’aborto non è stato solamente garantito come diritto costituzionale, ma esiste, in teoria, in forma più ampia che negli Stati europei: non sono previsti limiti temporali, eccetto ovviamente quelli previsti dalle varie legislazioni nazionali, a differenza di quanto accade nella maggior parte del nostro continente, in cui il diritto è riconosciuto a livello legislativo e con determinate specifiche.
Gli effetti di questa decisione, se passasse, avrebbero anche delle conseguenze molto forti su altri diritti garantiti tramite giurisprudenza dalla Corte Suprema e anch’essi basati sul diritto alla privacy, come il diritto alla contraccezione e il diritto al matrimonio egualitario. Negando totalmente l’esistenza del diritto alla privacy la Corte Suprema apre un filone giurisprudenziale di difficile previsione, ma che potrebbe avere un impatto concreto su milioni di cittadini americani e su diritti considerati come acquisiti da anni; non è infatti da sottovalutare come i due giudici conservatori nominati più recentemente, Brett Kavanaugh e Amy Coney-Barrett, avessero espressamente detto alle audizioni del Senato che il diritto all’aborto fosse un diritto de facto costituzionale, e che non ne avrebbero negato l’applicazione durante il loro mandato.
Un’altra importantissima conseguenza riguarderebbe il puzzle nazionale che si verrebbe a creare fra gli stati guidati dai repubblicani e dai democratici, le cui differenze continuano ad inasprirsi sempre di più: i governatori della California e dello stato di New York hanno ad esempio già dichiarato che diventeranno sanctuary states, e che proteggeranno l’accesso all’aborto, mentre negli stati a trazione conservatrice sono già in atto leggi che rendono l’aborto se non illegale, particolarmente difficoltoso.
A livello demografico l’impatto di questa scelta sarebbe fortissimo, in quanto molte donne si troverebbero costrette a viaggiare verso stati con legislazioni a loro più favorevoli, con una conseguente congestione delle cliniche e delle strutture sanitarie. Uno scenario che farebbe quindi acuire l’animosità fra le due Americhe, quella più ricca e urbana e quella più povera e rurale – e in cui paradossalmente stati che da anni subiscono immigrazione interna dalle aree più ricche, come il Texas, potrebbero trovarsi di nuovo al centro di campagne elettorali feroci.
L’ultimo aspetto interessante è, naturalmente, la reazione della politica. Il partito repubblicano ovviamente potrebbe arrivare alla vittoria di una delle policy più ambiziose e promesse da lungo tempo ai propri elettori, mentre il partito Democratico si sta sfasciando sul fronte interno. Da un lato, infatti, non c’è la possibilità di salvaguardare il diritto all’aborto a livello legislativo, in quanto i Democratici non hanno la super-maggioranza necessaria al Senato; dall’altro hanno cercato di mobilitare i propri elettori in vista delle elezioni di Midterm di novembre, che giudicano come fondamentali per cercare in qualche modo di approvare leggi a tutela della donne nelle due Camere – elezioni che comunque si giocheranno sul grande tema dell’inflazione, che negli Stati Uniti sta sfiorando picchi molto alti, e sull’aumento dei prezzi del petrolio.
Gli elettori democratici, però, sono spesso delusi dal proprio Partito: non solo perché vi sono ad esempio propri rappresentanti storicamente pro-life che vengono appoggiati alle varie primarie nazionali che si stanno svolgendo (come nel Texas), ma perché molti di loro vedono nell’attuale establishment della dirigenza nazionale un voto moderato a cui si sono adeguati per evitare un secondo mandato di Donald Trump, ma le frange più radicali continuano a essere molto critiche – per quanto ovviamente questo non sia alcuna indicazione dell’effettivo scenario elettorale di novembre.
La storia del diritto all’aborto negli Stati Uniti è profondamente travagliata e sembra quasi giunta alla propria conclusione, dopo anni segnati dal terrorismo di destra nei confronti delle cliniche sanitarie e dei medici che fornivano assistenza alle donne e leggi man a mano più restrittive; la reazione della società americana, di fronte a questa decisione epocale, resta però tutta da vedere.
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