Complotto e apocalisse: chi è il "Katéchon"?
Una figura che separa l'ordine dal caos: che cos'è il "Katéchon" e perché è così importante nella teologia dei conservatori?
Il papato di Francesco, che in questi giorni giunge al decimo anniversario, ha messo fin da subito in agitazione il cattolicesimo conservatore americano. Lo scenario interno alla chiesa cattolica statunitense, infatti, è fortemente polarizzato e in ciò rispecchia la situazione politica del Paese. I due piani s’intrecciano fortemente.
Come ha spiegato lo storico delle religioni Massimo Faggioli nel suo recente saggio Joe Biden e il cattolicesimo negli Stati Uniti: «Il pontificato di Francesco, adottato dai cattolici liberal e criticato, se non talvolta apertamente respinto, dai cattolici neoconservatori e neotradizionalisti, ha messo in luce e svelato la profondità di questa frattura preesistente in America, a cui si somma la crisi della globalizzazione cattolica che con Francesco ha trovato spazi di espressione in Vaticano sotto forma di forme più o meno sottili di ribellione: sul palcoscenico di questo dramma ecclesiale, la Chiesa americana ha un ruolo di primo piano», scrive Faggioli.
L’attrito tra il magistero di Bergoglio e i neoconservatori riguarda diverse faccende, ma trova il suo punto di coagulo nelle cosiddette life issues (morale sessuale, aborto, eutanasia), sulle quali gli ultra-tradizionalisti concentrano da tempo il proprio rapporto con la politica, alimentando una culture war fatta da due parole d’ordine opposte: pro-life, per il Partito Repubblicano, pro-choice per quello Democratico. In tale scenario si è verificata – ci ricorda ancora Faggioli nel libro citato – un’innegabile sovrapposizione tra il sostegno a Trump da parte degli elettori religiosi (cristiani e cattolici in particolare) e il tentativo di settori non marginali della Chiesa degli Stati Uniti di delegittimazione ecclesiale e politica contro Papa Francesco: il Papa argentino, infatti, sarebbe troppo sbilanciato sulla questione sociale e troppo poco risoluto sui temi identitari, favorendo così la “deriva progressista” della Chiesa iniziata col Concilio Vaticano II.
Il ritorno del “Katechón”
La posta in gioco è alta. Questa forma di neoconservatorismo (o neo-integralismo) di ampi settori dell’episcopato e del laicato cattolico americano, infatti, passa dalla critica al magistero di Francesco, al ripudio più o meno esplicito del Concilio Vaticano II, fino a forme di cattolicesimo intransigente neo-ottocentesco, disposte a revocare in dubbio l’opzione per la democrazia liberale e la modernità teologica e politica. Da qui a consorziarsi, in modo più o meno organizzato, con quella sorta di “Internazionale del Cospirazionismo”, che negli ultimi anni raduna i portatori delle più disparate teorie del complotto, scettiche verso le istituzioni democratiche, il passo è alquanto breve.
Non si tratta di un fenomeno innocuo: si pensi all’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Assai indicativa, a tal proposito, l’intervista dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex-nunzio apostolico negli Stati Uniti, rilasciata il 4 gennaio 2021 a Steve Bannon (già stratega politico di Trump) per The National Pulse, nella quale aveva parlato di frodi elettorali nelle presidenziali americane, del complotto del Grande Reset dietro il quale starebbero il Deep State (che avrebbe piazzato Biden alla Casa Bianca) e la Deep Church, che starebbe dietro Bergoglio. Naturalmente, nell’intervista il prelato invitava a pregare per vincere questa battaglia del bene contro il male. Lo stesso Viganò, nell’estate del 2018, aveva chiesto pubblicamente le dimissioni di Papa Francesco con delle accuse poi risultate infondate. Alla luce di questi toni millenaristi, non è forse un caso, allora, che una delle categorie più usate dall’ultradestra cattolica degli ultimi anni sia quella del Katéchon, cui è utile dedicare un po’ di attenzione. Di cosa si tratta?
Nella seconda lettera ai Tessalonicesi, Paolo di Tarso scrive che prima della parusìa, prima cioè della seconda e ultima venuta del Cristo che verrà a chiudere la storia, nella chiesa dovrà accadere l’apostasia finale e si dovrà manifestare l’«uomo iniquo», il «figlio della perdizione», colui che sarà poi identificato con l’Anticristo. In quelle stesse righe, però, l’apostolo parla anche di un’altra figura, alquanto enigmatica, il cui compito sarebbe quello di trattenere lo scatenamento finale dell’iniquità, cioè di ritardare il manifestarsi della anomia e dunque dell’apostasia finale. Da qui un’ambiguità: da un lato tale entità è un potere che frena la deflagrazione ultima delle forze del male e del disordine, dall’altro con ciò ritarda la definitiva venuta del Cristo e la salvezza. Di chi sta parlando Paolo? Come interpretare questi passi? Il Katéchon ha a che fare con l’Anticristo e nel contempo partecipa alla battaglia contro l’Anticristo.
L’enigma del katéchon
La questione è complessa e si dibatte da secoli. Perfino Agostino d’Ippona, nel XX libro de La città di Dio, riferendosi all’autore del passo biblico ammette: «Io davvero confesso che ignoro cosa intendeva dire». Tra l’altro, una prima volta Paolo parla di «ciò che trattiene» (to katéchon) mentre poco dopo parla di «chi trattiene» (ho katéchon). Il concetto di katéchon non ha solo una valenza teologica, ma anche politica: è una forza che differisce la fine del mondo (o di un mondo): si trattava dell’Impero Romano? Di una determinata figura politica? Quale potere rimanda l’Apocalisse?
Non a caso Carl Schmitt, tra gli intellettuali che più hanno riflettuto su tale nozione, nel 1974 scriveva a Hans Blumenberg che il Katéchon «è la questione di fondo» di tutta la teologia politica. Il dato interessante, come anticipato, è il richiamo alquanto insistente a questa figura nella retorica dell’ultradestra cattolica. L’aura di suggestiva ambiguità che la circonda, unita all’intreccio tra teologia e politica di cui è portatrice, fanno dell’idea katechontica nello stesso tempo sintomo e spazio concettuale idoneo per ermeneutiche del presente incentrate su un apocalittico scontro tra bene e male, nonché un laboratorio di alleanze con cospirazionisti di ogni risma, che proprio sull’idea di un decisivo duello tra un establishment globalista e corrotto da una parte, e il popolo dei “risvegliati” dall’altro, trova il frame di riferimento per la propria narrazione.
Trump e Putin: Katéchon anche loro?
Il primo che si può citare è ancora il trumpiano arcivescovo Viganò, che in riferimento all’invasione russa dell’Ucraina, si è schierato con la Russia di Putin e il 6 marzo dell’anno scorso affermava (ripetendo tesi del patriarca di Mosca, Kirill, e del filosofo russo, Aleksandr Dugin): «la Roma dei Cesari e dei papi è deserta e muta, come lo è stata per secoli la seconda Roma di Costantinopoli. Forse la provvidenza ha stabilito che sia Mosca, la terza Roma, ad assumere oggi dinanzi al mondo il ruolo di Katéchon, ostacolo escatologico all’Anticristo»; ma non è tutto.
Nel 2019, in un intervento pubblicato sulla rivista The American Conservative, Rod Dreher, spiegando perché avrebbe votato per Trump alle elezioni presidenziali, scriveva: «Vedo Trump come un Katéchon. Non credo che le forze politiche che egli trattiene possano essere contenute ancora a lungo, semplicemente perché stanno crescendo in popolarità. […] Il meglio che i piccoli cristiani ortodossi e gli altri tradizionalisti culturali possono sperare è che i nostri leader politici (tra i quali includo i giudici federali) riescano a trattenerla abbastanza, per un tempo sufficiente, per darci l'opportunità di costruire istituzioni e altre strutture che ci permettano di superare il diluvio che ci attende».
Anche in questo caso – fatte le debite differenze – torna l’atteggiamento dualistico e il richiamo, anche se più sfumato rispetto a Viganò, a un tempo di lotta tra bene e male, in cui è necessario schierarsi. Dreher non è uno qualsiasi. Nel 2017 ha pubblicato The Benedict Option – A Strategy for Christians in a Post-Christian Nation (edizione italiana: Opzione Benedetto. Una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano), un saggio molto discusso anche in Italia.
Nel libro si esplora la possibilità che i cristiani contemporanei, in un tempo che presenta analogie con quello della caduta dell’Impero Romano e l’arrivo dei barbari, sull’esempio di Benedetto da Norcia formino comunità separate dal resto del mondo, per ritrovare la propria identità e tornare ad essere significativi nel mondo d’oggi. Queste idee trovano poi continui rilanci nella vastissima galassia di siti e pagine social ultraconservatrici, con vari livelli di radicalismo. Anche Papa Benedetto XVI, scomparso qualche mese fa, è stato suo malgrado aspirato in questo scenario, talvolta per essere contrapposto al suo successore. È ancora Rod Dreher su The American Conservative a offrirci una lettura paradigmatica.
Colui che aveva intravisto in Trump la figura in grado di trattenere lo scatenamento delle forze del male (che corrispondono più o meno all’agenda politica progressista sui temi etici sensibili), il 4 gennaio scorso, ha scritto un articolo dal significativo titolo Benedict XVI as Katéchon. Dreher fa ampie citazioni del giornalista cattolico italiano Antonio Socci, in passato molto critico verso Papa Francesco, per concludere così sul pontefice tedesco: «Ha offerto sé stesso e il suo papato come una sorta di sacrificio per il bene spirituale del mondo, per dare ai cristiani il tempo di prepararsi a ciò che verrà».
Di nuovo un richiamo da “resa dei conti” finale tra bene e male. L’accostamento della figura di Joseph Ratzinger a quella del katéchon è stato operato anche da più voci italiane: si va da quelle del moderato conservatorismo a quelle dell’integralismo più intransigente: anche in quest’ultimo caso, motivi teologici si mescolano alle teorie complottiste più ardite, da quelle dei no-vax ai giustificazionisti di Putin, in una visione apocalittica decisamente antimoderna.
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