Come vive l’altra metà: chi sta senza banche
La vita dei poveri americani tra crisi del lavoro, nuovi sindacati e inclusione predatoria
Nell’indagare le profonde forze strutturali che determinano il modo in cui i poveri americani vivono e la misura in cui essi vengono abitualmente sfruttati, il sociologo Premio Pulitzer Matthew Desmond, nel suo nuovo libro Poverty by America, individua lo sfruttamento dei poveri nei mercati del lavoro, degli alloggi e della finanza come la ragione principale dello stallo dei progressi nella riduzione della povertà negli Stati Uniti.
Si legge, in Poverty by America: «Ad oggi le molteplici forme di sfruttamento hanno trasformato i programmi contro la povertà in qualcosa di simile alla dialisi, un trattamento progettato per rendere la povertà meno letale, senza farla scomparire del tutto». Dunque, secondo Desmond, gli attuali investimenti governativi nei programmi contro la povertà non basterebbero ad abolire il problema.
Ciò sta a significare che non soltanto l’America ha bisogno di investimenti contro la povertà più radicali ed interconnessi all’ambiente sociale, bensì occorrono politiche diverse, che rifiutino di collaborare con la povertà e che promettano di minacciare la sua stessa sopravvivenza nella vita dei cittadini americani.
Sfruttamento dei poveri nel lavoro: la crisi dei sindacati e nuove battaglie
Secondo uno studio dell’U.S. Census Bureau, una quota maggiore di lavoratori negli Stati Uniti ha una bassa retribuzione, guadagnando meno di due terzi del salario mediano rispetto agli altri Paesi appartenenti all’ OCSE – Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Quasi il 23% dei lavoratori americani svolge lavori poco retribuiti, rispetto al 17% circa della Gran Bretagna, all'11% del Giappone e al 5% dell'Italia.
Ad oggi, è ampiamente dimostrato che i sindacati svolgono un ruolo fondamentale nell’aumentare la produttività delle aziende, ma per anni i lobbisti delle imprese hanno detto che il lavoro organizzato era un freno all'economia e che, una volta neutralizzati i sindacati, l'economia si sarebbe risollevata. Eppure, alcuni reports dell’U.S. Bureau of Labor Statistics mostrano come produttività, salari e profitti aumentino e diminuiscano di pari passo. Per farla breve, l’economia americana è meno produttiva oggi rispetto al periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, epoca nella quale i sindacati erano al massimo della loro ascesa. Anche le economie di altri Paesi ricchi hanno subito un rallentamento, compresi quelli con una forza lavoro più sindacalizzata, ma è chiaro che la diluizione del potere lavorativo in America non ha scatenato la crescita economica né ha portato la prosperità a un maggior numero di persone.
L’avvocato Eric Posner e l’economista Glen Weyl, nel loro libro Radical Markets: Uprooting Capitalism and Democracy for a Just Society edito dalla Princetown University, spiegano come il dinamismo tra i lavoratori, in particolare gli operai, stia diminuendo nella stessa misura in cui diminuisce il potere (legittimato in passato dai sindacati) e come la loro resa sul lavoro stia drasticamente peggiorando.
Ad oggi, quasi tutti i dipendenti del settore privato (94%) non hanno un sindacato, ma circa la metà di essi dichiara che si organizzerebbe se ne avesse la possibilità.
I datori di lavoro hanno a loro disposizione un arsenale di tattiche volte ad impedire la contrattazione collettiva, come l'assunzione di lobbisti incaricati di agire contro i sindacati oppure ricorrendo al licenziamento per i dipendenti intenzionati ad organizzarsi. Queste strategie, lo ricordiamo, sono pienamente legali, sebbene nel 2016 e nel 2017, il National Labor Relations Board ha accusato ben il 42% dei datori di lavoro di aver violato la legge federale durante le campagne sindacali. In quasi un terzo dei casi, sono stati accusati di aver tentato di licenziare illegalmente i lavoratori che si organizzavano sindacalmente.
Ad oggi, in America, si sta assistendo alla nascita di nuovi movimenti sindacali, intenti a diramarsi lungo interi settori attraverso nuove modalità e forme di organizzazione inedite.
La campagna Fight for $15, guidata dalla Service Employees International Union, non si concentra su un singolo franchising (ad esempio uno specifico store McDonald's) o addirittura su una singola azienda (McDonald's), ma riunisce lavoratori di diverse catene di fast-food, accomunati perciò dall’appartenenza ad uno stesso settore. Come evidenziato in un articolo di The Guardian, si tratta di un nuovo tipo di potere lavorativo, che potrebbe essere ampliato ed esteso a settori di diversa tipologia. Infatti, se un numero sufficiente di lavoratori di uno specifico settore economico (commercio al dettaglio, servizi alberghieri, assistenza infermieristica, ecc.) votasse a favore della misura, il segretario del lavoro potrebbe istituire un comitato di contrattazione composto da rappresentanti eletti dai lavoratori.
Così facendo, i rappresentanti potrebbero negoziare con le aziende per garantire le migliori condizioni per i lavoratori del settore: la contrattazione settoriale, come viene chiamata, interesserebbe decine di milioni di americani che non hanno mai beneficiato di un proprio sindacato, così come ha migliorato la vita dei lavoratori in Europa e in America Latina.
L'idea è stata criticata da membri della comunità imprenditoriale, come la Camera di Commercio degli Stati Uniti, che ha sollevato preoccupazioni circa l'inflessibilità e messo in dubbio la legittimità costituzionale della contrattazione settoriale. I sostenitori della contrattazione settoriale, d’altra parte, sostengono come la essa possa livellare il campo di gioco, non solo tra lavoratori e datori di lavoro, ma anche tra le compagnie dello stesso settore, che non sarebbero più arenate in una corsa al ribasso e costrette a ridurre la forza lavoro per ottenere un vantaggio competitivo. Al contrario, la competizione tra le aziende si sposterebbe sulla qualità dei beni e dei servizi offerti.
Sfruttamento nei mercati immobiliari e finanziari: come vive l’altra metà
Oltre allo sfruttamento nel mercato del lavoro, i poveri americani continuano ad affrontare quotidianamente anche lo sfruttamento nei mercati immobiliari e finanziari.
La storica Keeanga-Yamahtta Taylor, nel suo libro Race for Profit, definisce inclusione predatoria la tradizione americana (di lunga data) dell’incorporare individui poveri ed emarginati in schemi abitativi e finanziari volutamente svantaggiosi, i cosiddetti bad affairs, rendendo inaccessibili quelli vantaggiosi. L'esclusione dei poveri americani dai sistemi bancari e creditizi tradizionali, infatti, li ha costretti a trovare modi alternativi per incassare assegni e ottenere prestiti, il che ha portato a una normalizzazione del loro sfruttamento. Tutto ciò non solo è perfettamente legale, ma viene anche sovvenzionato dalle banche commerciali più ricche d’America. Il settore bancario marginale, infatti, non esisterebbe senza le linee di credito concesse da quello convenzionale, ad esempio, compagnie come la Wells Fargo e la JPMorgan Chase finanziano istituti di credito a pagamento come Advance America e Cash America.
Sempre il sociologo Matthew Desmond, insieme al professore del MIT Nathan Wilmers, in un articolo pubblicato dall’University of Chicago, dimostrano come gli affitti siano aumentati anche nelle città in cui c'è abbondanza di appartamenti. Alla fine del 2021, quasi il 19% delle unità in affitto a Birmingham, Alabama, era sfitto, così come il 12% di quelle a Syracuse, New York, eppure gli affitti in queste aree sono aumentati rispettivamente del 14% e dell'8% circa nei due anni precedenti.
L'aumento degli affitti non è semplicemente il riflesso dell'aumento dei costi operativi. C'è un'altra dinamica in gioco, che ha a che fare con il fatto che i poveri – e in particolare le famiglie nere povere – non hanno molta scelta quando si tratta di scegliere dove vivere. Per questo motivo, i proprietari possono far pagare loro un prezzo eccessivo, e quasi sempre lo fanno.
Wilmers e Desmond hanno rilevato che i proprietari di appartamenti che operano nei quartieri poveri ottengono profitti doppi rispetto a quelli dei proprietari che operano nelle comunità ricche, questo perché le loro spese ordinarie (soprattutto mutui e tasse di proprietà) sono notevolmente inferiori a quelle dei proprietari dei quartieri di lusso.
Essendo escluse dalla proprietà della casa in quanto le banche non sono disposte a concedere mutui di piccolo importo, e anche dagli alloggi pubblici, che ora hanno liste d'attesa che si allungano per anni e persino decenni, le famiglie in difficoltà che cercano un posto sicuro e conveniente dove vivere in America hanno di solito una sola scelta, ovvero quella di affittare da proprietari privati e versare almeno metà del loro reddito per l'affitto e le utenze. Se milioni di affittuari poveri accettano questo stato di cose, non è perché non possono permettersi alternative migliori, ma perché spesso non gliene vengono offerte.
Nel libro How the Other Half Banks: Exclusion, Exploitation, and the Threat to Democracy’, (Il titolo del libro è tratto da How the Other Half Lives: Studies among the Tenements of New York del 1890, un’opera di fotogiornalismo di Jacob Riis che documenta le squallide condizioni di vita nelle baraccopoli di New York nel 1880) Mehrsa Baradan, docente di legge all’Università della Georgia, illustra come la deregolamentazione del sistema bancario negli anni Ottanta abbia aumentato la concorrenza tra le banche e come molte di esse abbiano risposto aumentando le commissioni e richiedendo ai clienti un saldo minimo.
Nel 1977, oltre un terzo delle banche offriva conti senza spese di servizio. All'inizio degli anni Novanta, solo il 5% lo faceva. Le grandi banche sono diventate sempre più grandi ed influenti, mentre dall’altra parte, le banche comunitarie — quelle che la Baradan definisce “banche con un’anima’’ — chiudevano.
Nel 2021 le maggiori banche americane hanno addebitato ai clienti quasi 11 miliardi di dollari di commissioni di scoperto e soltanto il 9% dei correntisti ha pagato l'84% di queste commissioni. Si tratta dell’ "altra metà” che non fa quasi mai banca, i poveri americani, ovvero quei clienti con un saldo medio inferiore a 350 dollari, i quali sono stati costretti a pagare per la loro condizione di non avere abbastanza scelta. Molte famiglie al di sotto della linea media della distribuzione del reddito negli Stati Uniti, infatti, si affidano pesantemente ai servizi di cambio assegni, agli istituti di credito a pagamento e ai venditori di titoli di credito che applicano commissioni e interessi superiori a quelli che qualsiasi altra banca autorizzata potrebbe legalmente imporre.
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