Chi sono i Cavalieri di Colombo?
Una “società fraterna” dall’estetica e dagli stilemi quasi massonici, ma che affonda le sue radici nella lotta degli immigrati cattolici contro la discriminazione. Ecco i Cavalieri di Colombo
L’associazionismo laico cattolico è un fenomeno che ha interessato anche gli Stati Uniti, dove tuttavia non si è mai particolarmente affermata l’Azione Cattolica, un movimento tipico dei Paesi dell’Europa continentale. Al suo posto esistono i Cavalieri di Colombo, una “società fraterna” dall’estetica e dagli stilemi quasi massonici, ma che affonda le sue radici nella lotta degli immigrati cattolici per affermarsi nella società discriminatoria del primo Novecento. Negli anni, la missione e l’orientamento dell’organizzazione sono profondamente cambiati, portandola a diventare uno dei tanti organi della destra religiosa americana e, forse, incrinandone per sempre l’anima.
La fondazione dei Cavalieri di Colombo
È il tardo marzo 1889 quando Michael McGivney, sacerdote cattolico figlio di immigrati irlandesi, fonda i Cavalieri di Colombo nella sua piccola parrocchia a New Haven, Connecticut. La stessa città della prestigiosa università di Yale, New Haven era in quell’epoca un porto strettamente connesso a diversi poli industriali, dediti principalmente alla produzione tessile ed alla lavorazione di metalli.
Queste fabbriche impiegavano principalmente manodopera immigrata, proveniente dall’Irlanda e dall’Italia. Gli operai erano spesso obbligati a turni stremanti e scarsamente retribuiti, in condizioni di sicurezza disdicevoli: una grossa sacca di disagio sociale a New Haven era infatti composta dalle numerose famiglie di vedove e orfani di operai morti in incidenti sul lavoro o per malattie contratte durante i numerosi traffici portuali. La povertà delle famiglie degli immigrati, spesso accentuata per quelle arrivate da poco, si rifletteva nelle loro condizioni di vita e nelle loro abitazioni, baraccopoli infestate da malattie endemiche come il tifo e da piaghe sociali come gang ed altre forme di microcriminalità.
È in questo desolante scenario di umiliazione e sofferenza per i più deboli della società che Padre McGivney, cresciuto tra quelle stesse baracche, prende spunto da una pagina “defunta ma gloriosa” della cristianità cattolica. Fonda la sua società di servizio fraterno ispirandosi all’iconografia cavalleresca, e la “santifica” in nome di Cristoforo Colombo, ritenuto nume tutelare per gli immigrati cattolici. Dai giovani ragazzi che ne entrano a fare parte richiede l’aderenza ad un codice rigido, ma coerente fatto di virtù ed obbedienza agli insegnamenti dalla chiesa. C’è anche un po’ di marketing, nella scelta di McGivney: al tetro esoterismo delle logge massoniche, popolate principalmente da protestanti anglosassoni, oppone la lucentezza dell’ideale cavalleresco, un topos che riscuote subito successo tra i giovani cattolici di New Haven.
L’attività dei Knights of Columbus
La “crociata” dei Cavalieri è subito diretta contro i mali della povertà e dell’inedia: in assenza di moderni sistemi di welfare pubblico, i membri dell’organizzazione si prodigano per assicurare supporto economico e pasti caldi alle famiglie povere di New Haven, arrivando dove lo Stato federale non può e spesso non vuole. Il format riscuote un notevole successo e le attività dell’organizzazione si espandono dal solo Connecticut al resto del New England, ove i Cavalieri fondano nuovi capitoli.
Verso la fine del XIX secolo, i Cavalieri di Colombo sono già l’organizzazione cattolica più imponente negli Stati Uniti, uno status che attrae l’interesse della Santa Sede e dell’Università Pontificia in America, istituto con cui avviano rapidamente un proficuo sodalizio. Per molti cattolici di origine immigrata, i Cavalieri non sono soltanto una mera organizzazione caritatevole, ma un vero e proprio strumento di rivalsa sociale: l’organizzazione ne promuoveva l’inserimento nella vita pubblica e nell’istruzione, ed era spesso protagonista di cause giuridiche volte a tutelare la libertà religiosa della comunità cattolica e delle sue scuole parrocchiali. Assurgeva anche a delle funzioni parasindacali, offrendo consulenze legali ad operai ed impiegati discriminati per via della loro fede religiosa.
La strada è tuttavia in salita per i Cavalieri di Colombo, che sul finire degli anni Dieci del Novecento suscitano le ire di un altro ordine di cavalieri, una congrega che alle virtù dell’anima subordina quelle della purezza razziale. La seconda incarnazione del Ku Klux Klan trova, nei Cavalieri, il nemico perfetto: cattolici, immigrati, dalle idee sospettosamente “socialisteggianti”. Una lunga guerra tra le due organizzazioni, combattuta principalmente per vie legali e di confronto pubblico, ma anche con sprazzi di violenza, si consuma per buona parte degli anni Venti: il Klan ritiene i Cavalieri di Colombo una pericolosa milizia cattolica, direttamente agli ordini del Papa, devota a smantellare i cardini della società americana.
Nel combattere le insidie del KKK, i Cavalieri confrontano anche i propri demoni interiori: in nome dell’universalismo cattolico, si aprono alle comunità afroamericane cattoliche del Sud, ed estendono la loro advocacy anche a comunità immigrate non-cattoliche, come quella ebraica. La divisione editoriale dei Cavalieri di Colombo pubblica i libri antirazzisti di W.E.B. Du Bois ed una serie di pamphlet di debunking che smontano proceduralmente le falsità e le teorie del complotto con cui il KKK tenta di diffamare cattolici ed ebrei.
I Cavalieri di Colombo oggi
Con il passare delle decadi e la progressiva integrazione dei cattolici nella società americana a partire dal secondo dopoguerra, la carica ‘attivista’ dei Cavalieri inizia tuttavia a cedere: l’organizzazione, intraprendendo una traiettoria simile a quella della Massoneria storica, passa gradualmente da nucleo di aggregazione sociale a club privato per i membri di una borghesia, che sia irlandese-americana oppure italoamericana, sempre più agiata. Le rivendicazioni sociali dei Cavalieri di Colombo svaniscono, cedendo il passo ad una sempre maggiore identificazione con il conservatorismo culturale della Moral Majority reaganiana.
A partire dagli ottanta i Cavalieri entrano a fare saldamente parte del movimento pro-life, prestando appoggio all’organizzazione March For Life e finanziando l’acquisto di macchine ad ultrasuoni per ospedali e cliniche, in sintonia con i tentativi di diversi legislatori Repubblicani di bandire l’aborto alla prima rilevazione dei battiti fetali. Nello stesso periodo, l’organizzazione prende una posizione fortemente conservatrice verso i diritti LGBTQ+, opponendosi alle campagne per la legalizzazione del matrimonio egualitario. Nel pieno delle proteste della comunità afroamericana dopo l’assassinio di George Floyd nell’estate del 2020, i Cavalieri si trovano nell’occhio del ciclone quando, con la connivenza di un capitolo locale, Trump sceglie una loro cappella poco lontana dalla Casa Bianca per inscenare un grottesco comizio diretto contro i manifestanti di Black Lives Matter.
L’evento porta a critiche pesanti dal mondo cattolico verso i Cavalieri, visti sempre più come un’organizzazione che ha gradualmente tradito le sue radici per mero calcolo politico, incapace di fare i conti con una società americana profondamente mutata nelle decadi e sempre più multirazziale e multiculturale. Lapidarie in tale senso sono le parole dell’arcivescovo di Washington D.C., l’afroamericano Wilton Gregory: “Trovo sconcertante e riprovevole che una struttura cattolica si permetta di essere usata e manipolata in modo così grave da violare i nostri principi religiosi.”
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