Chi è William Burns, ambasciatore e stratega della Cia di Biden
Chi è il super diplomatico dell'amministrazione Biden, scelto per guidare i servizi segreti americani all'estero
William Burns è uno degli uomini chiave dell’amministrazione targata Joe Biden e, al tempo stesso, una personalità dalle complesse sfaccettature anche – ma non solo – per la complessa parabola che l’ha portato nel 2021 a diventare direttore della CIA: per la prima volta, con la sua ascesa, l’organo chiave della comunità dell’intelligence ha avuto a capo un veterano della diplomazia.
Trentadue anni in diplomazia, il portamento austero da diplomatico vecchio stampo, il grande rispetto istituzionale per la carica e le controparti e un’attenta capacità comunicativa fanno di Burns più di un direttore della CIA. Piuttosto, la sua funzione è quella di raccordo e coordinamento tra le varie figure dell’amministrazione Biden, il sistema degli apparati federali e la Casa Bianca. Con Burns la CIA ha voluto, innanzitutto, aprirsi nel metodo e nella visione.
Il canovaccio è noto: le visite “segrete” di Burns in Paesi alleati e Stati rivali o in contesti critici emergono sempre a breve distanza sui media, a testimoniare al mondo e al sistema Usa che la CIA c’è. Si muove e compie azioni sul campo. A maggio il New York Times ha sottolineato che Burns incarna la volontà dei vertici della CIA e del potere Usa di ripulire un’immagine controversa, molto spesso sulfurea, che li ammantava. Il “peccato originale” della campagna sulle armi di distruzione di massa irachene sostenuta – contro ogni evidenza – da George Tenet ai tempi dell’amministrazione Bush nel 2003, la rocambolesca caduta di David Petraeus nel 2012 per un piccolo affaire mondano, le esternazioni pericolose su temi come la tortura o compiuti da Mike Pompeo e Gina Haspel nell’era Trump hanno ricoperto l’agenzia di intelligence negli anni di imbarazzi di vario tipo. Con Burns si torna a un’agenzia che vuole presentarsi come “sgobbona”, attenta a ogni teatro, prima linea del contrasto alle minacce securitarie per Washington.
Il “tridente” di politica estera di Biden ha in Jake Sullivan lo stratega, in Tony Blinken la “dinamo” politica e in Burns il vero regista. L’uomo che conosce, da un lato, gli arcana imperii dei cicli dell’informazione dei servizi segreti e dall’altro i modi e i tempi della diplomazia, oggi sempre più basata sull’intelligence e le sue rilevazioni. Biden ha compiuto una scelta di rottura nominando l’uomo conosciuto negli anni Novanta quando il 46esimo presidente era il Democratico più anziano della commissioni per le relazioni estere del Senato e Burns ambasciatore degli Stati Uniti in Giordania; e, di nuovo, i due hanno avuto un confronto diretto anche ai tempi dell’amministrazione Obama, quando Joe Biden era Vicepresidente, mentre Burns Vicesegretario di Stato.
Ai tempi, ricorda il New York Times, “Biden e Burns concordarono di non spingere aggressivamente il Presidente egiziano Hosni Mubarak a dimettersi durante la primavera araba nel 2011, ma ebbero divergenze sulla conduzione di attacchi aerei sul regime di Gheddafi in Libia e sul raid nel complesso di Abbottabad, in Pakistan, dove Osama bin Laden si era rifugiato. In entrambi i casi Biden esortò alla moderazione e Burns sollecitò l'azione”. Burns può aver colpito Biden proprio per il fatto di non incasellarsi nelle linee rette e negli schemi semplici della polarizzazione tra scuole di pensiero, a maggior ragione alla luce dell’esperienza da lui maturata nel quadro del campo maggiormente attenzionato dagli Usa, la Russia, Paese in cui è stato Ambasciatore dal 2002 al 2005.
Burns è stato scelto da Biden per la CIA per inaugurare una nuova stagione di allerta verso Est fondata sulla giusta commistione di deterrenza e dialogo. La “diplomazia dell’intelligence” è stata chiara nel negoziare le linee rosse americane verso Mosca prima dell’invasione dell’Ucraina. Ad agosto 2021, nel pieno della ritirata Usa da Kabul, si è recato a parlare con Baradar, “stratega” dei Talebani per prendere atto della vittoria degli “Studenti Coranici”, monitorare eventuali infiltrazioni di Mosca e, soprattutto, “mostrare bandiera” laddove Washington l’aveva appena ammainata. Il vero obiettivo? Sminare il terreno per non consolidare l’idea di un’America meno proiettata nella tutela degli interessi globali di sua pertinenza dopo la rotta di Kabul. Una visita seguita da un viaggio importante in Russia a novembre. In quell’occasione Burns ha guidato una delegazione americana a Mosca per dare seguito alle trattative avviate da Joe Biden e Vladimir Putin nel loro summit di giugno. L’intelligence targata Burns va in prima pagina, comunica coi media, ricorda che l’America is Back! Bideniano non vuole essere solo uno slogan.
L’intelligence come strumento chiave della diplomazia e quest’ultima, e di conseguenza la politica estera, come continuazione dell’intelligence con altri mezzi: la “dottrina Burns” complementare alla pianificazione strategica del duo Blinekn-Sullivan si può riassumere in questo concetto. Intellegere, “comprendere”, è la radice etimologica della parola intelligence. Meno barbe finte, più attività sul campo nell’ascolto di avversari e amici, in sinergia con le sedi diplomatiche. Meno operazioni coperte e spericolate, più tecnologia, rilevamenti satellitari, campagne psicologiche: la CIA targata Burns si è riscattata in pochi mesi dalla sottovalutazione afghana mettendosi pancia a terra e prevedendo, in un gioco di sponda concordato con le grandi testate anglosassoni, quello che a inizio 2022 pochi consideravano reale: la prospettiva di un’invasione russa dell’Ucraina.
Burns si è fatto trovare pronto, schierando le spie Usa a fianco di quelle britanniche in prima linea per fornire informazioni su fonti aperte all’Ucraina dopo il 24 febbraio 2022. Dall’attacco sventato a Gostomel al colpo al Moskva, affondato nel Mar Nero, molte operazioni di difesa del territorio e delle forze armate ucraine portano il silente sigillo delle spie dell’Anglosfera. Le prime, vere armi giunte all’Ucraina sono state le “bombe” informative non previste dalla Russia, le manovre a fonti aperte con cui ogni infowar di Mosca era depotenziata, la “diplomazia dell’intelligence” estesa alla Director of National Intelligence Avril Haines, oltre che al solo Burns, sottolineava il ruolo degli 007 nel contrastare ogni azione malevola di Mosca in Ucraina e non solo.
Il riscatto della CIA, in quest’ottica, si è compiuto. Un elemento chiave del solco diplomatico tracciato dall’Amministrazione Biden ha avuto in Burns il suo operatore più chiaro: stiamo parlando della scelta della Casa Bianca di non operare strappi radicali nell’appoggio all’Ucraina. Passo dopo passo, il sostegno si intensifica, aumenta l’altezza dell’asticella a cui Washington consente accettabile che Kiev si possa spingere, si governa con un dialogo diretto l’afflusso di armi e mezzi. In quest’ottica, Burns è meno “falco” di Blinken e Sullivan e radicalmente pragmatico. Tanto da non disdegnare di negoziare ulteriori regole d’ingaggio direttamente con il nemico sul campo dei suoi uomini: l’incontro di ottobre con Sergej Naryskin, Direttore dell’Svr russo che aveva provato a dissuadere Putin dall’invasione, avvenuto sul suolo turco può aver mostrato il sigillo esplicito di Biden a questa manovra.
I viaggi “segreti”, intanto, si moltiplicano. Regolata la strategia con la Russia Burns inizia a studiare il potenziale nemico numero uno di domani, la Cina. Non a caso da lui recentemente visitata proprio mentre Tony Blinken stesso preparava la sua missione nella Repubblica Popolare. Un grande impero, come gli Usa tuttora sono, necessita di funzionari fidati, e per Biden Burns sembra uno di questi. La cui missione vuole operare, di fatto, ciò che spesso Washington ha trascurato di fare nell’ultimo trentennio: plasmare istituzioni capaci di comprendere l’altra parte in un mondo che – piaccia o meno – si è americanizzato nel consumo, ma non nel pensiero strategico, geopolitico e valoriale.
La grande saldatura tra intelligence e diplomazia avviata dagli Usa, che sta avendo emuli tra Italia, Israele e Turchia ed è destinata a diventare un trend, mostra la volontà della superpotenza di non correre rischi eccessivi per ulteriori errori di sottovalutazione. Lo scarso coordinamento tra apparati ha creato alcuni gap securitari gravissimi dall’11 settembre in avanti. La scarsa comprensione di nemici potenziali e reali non ha aiutato Washington a decidere saggiamente, dall’Iraq al Venezuela e dalla Siria al Nord Africa, gli uomini su cui puntare nei grandi scenari geopolitici. Ora il trend sembra essere cambiato e l’intelligence torna a fare, spinta dalla dottrina Burns, semplicemente ciò per cui è nata, oltre romanzi e film di spionaggio: intellegere.