Che ne sarà del Nuovo Partito Democratico?
Jagmeet Singh ha abbandonato la leadership e oggi il partito si trova stritolato da un rinnovato bipolarismo tra liberali e conservatori

Mark Carney, leader dei liberali, ha vinto le elezioni in Canada. I conservatori hanno migliorato il loro risultato rispetto alle ultime elezioni, ma il loro leader, Pierre Poilievre, non è riuscito a entrare in Parlamento. Di questo si è tanto parlato sulla stampa internazionale, ma un altro leader di partito ha perso la sua rielezione: si tratta di Jagmeet Singh, a capo della formazione di sinistra Nuovo Partito Democratico (NDP), esponente della minoranza Sikh canadese, ex avvocato, molto attivo su TikTok e definito da BuzzFeed, “il politico più stiloso del Canada”.
La sconfitta per NDP è stata bruciante: peggior numero di seggi della storia del partito, solo sette, bassissima percentuale di voti assoluti (circa il 6 per cento, contro il 18 di soli 4 anni fa), sparizione totale da alcune regioni del Paese, come l’Ontario, che non rielegge nessun deputato del partito. Intervistati durante la notte elettorale, alcuni esponenti politici di NDP hanno dato la colpa della pessima performance al clima polarizzante che si è vissuto nell’ultimo confronto elettorale. Poilievre, infatti, era visto dai cittadini come molto vicino a Donald Trump e i liberali si sono accreditati come l’unico argine possibile a un governo che strizzasse l’occhio agli Stati Uniti, in un periodo in cui da Washington filtrano attacchi ripetuti alla sovranità di Ottawa. In questo scacchiere, una formazione terza come il Nuovo Partito Democratico avrebbe subito un’emorragia di voti verso il centrosinistra in chiave anti-destra: sarebbe quindi stato il voto utile e la paura di un governo filo-trumpiano a decretare il disastro elettorale.
In parte questa spiegazione regge, e lo dimostra il cambiamento repentino nei sondaggi dei liberali da gennaio a oggi. Una formazione politica che, prima delle dimissioni di Trudeau e delle ingerenze trumpiane, era considerata perdente dopo dieci anni consecutivi di governo, le cui ricette economiche iniziavano a essere indigeste ai cittadini. I liberali sono poi tornati sulla cresta dell’onda proprio per non cedere il governo del Paese a Poilievre, che tra gli altri aveva ottenuto l’endorsement di Elon Musk e faceva campagna con una retorica smaccatamente trumpiana.
È però una spiegazione troppo autoassolutoria: il Nuovo Partito Democratico in 14 anni è passato da essere leader dell’opposizione a non avere abbastanza seggi per costituire un gruppo autonomo in Parlamento. Da un lato di fronte ai cittadini paga l’aver costituito un accordo di governo con Trudeau, che è proseguito quasi lungo tutta questa legislatura: Singh ha ottenuto dai liberali l’istituzione di un piano nazionale di salute e igiene dentale per le famiglie a basso reddito, ma non è riuscito a renderlo un tema centrale nella campagna elettorale. Secondo l’opinione di Tari Ajadi, Professoressa di scienze politiche, raccolta da CBC, l’emittente pubblica canadese, c’è molta confusione nell’elettorato su cosa offra NDP ai cittadini. Inoltre, l’ultimo governo Trudeau è fortemente impopolare, e avervi contribuito direttamente non è ben visto.
Per di più, il partito ha pian piano perso il rapporto diretto che ha sempre avuto con le organizzazioni sindacali: fin dalla sua nascita infatti, come fusione di varie altre formazioni di sinistra negli anni ’60, i sindacati avevano avuto un peso determinante nella scelta dei leader: solo dal 2012 è stata infatti eliminata una regola che prevedeva i sindacati contassero per il 25 per cento nella selezione del nuovo capo del partito. Oggi NDP non riesce a portare le sue istanze nei ceti più bassi della popolazione canadese: se Poilievre ha cercato di ottenere il voto dei ceti popolari insistendo sull’aumento del costo della vita e sulla crisi abitativa, che ha alzato esponenzialmente i prezzi degli immobili, i democratici non hanno potuto controbattere, avendo sostenuto il governo criticato dai conservatori.
Un’elezione che si è quindi dimostrata impervia per la formazione di sinistra: da un lato schiacciati dal confronto sulla figura di Donald Trump tra liberali e conservatori, dall’altro non riuscendo a sfondare nel suo elettorato storico per via dell’alleanza di governo coi liberali e di una volontà della popolazione di andare a destra che, se Trump non avesse interferito così apertamente nella politica canadese, avrebbe portato i conservatori al governo.
Non è la prima volta, però, che il Nuovo Partito Democratico sembra arrivato alla fine della sua corsa: nel 1993 ottenne solo nove seggi, all’inizio del millennio tentò di abbandonare la sua vocazione di sinistra cercando di convergere al centro durante la stagione blairiana e venne punito alle urne. Le dimissioni di Singh potrebbero portare a un ripensamento nella nuova élite del partito: un approccio più condiviso col mondo sindacale, che da sempre ha garantito consensi, e la fine degli appoggi ai governi liberali, mortiferi in termini di consensi, potrebbe riportarli a un numero soddisfacente di seggi. Non va però dimenticato che in questi anni di governo la formazione di sinistra ha ottenuto che parte del proprio programma venisse approvata, soprattutto in campo sanitario: per questo non è semplice cancellare questa stagione di appoggio agli esecutivi liberali e il nuovo leader, chiunque sia, si troverà da subito di fronte scelte difficili.