Cari lettori, la redazione di Jefferson parte per le vacanze. Questo lunedì non ci sarà un carteggio, ma ciò non vuol dire che vi lasceremo senza contenuti. Saranno pezzi molto leggeri, in tema con la stagione che stiamo vivendo e che raccontano il rapporto che ognuno di noi ha con l'America. Cominciamo con Antonio Junior Luchini. Buone vacanze dalla redazione di Jefferson!
– Matteo
«Sì, però, Antonio, devi capire che gli Americani, prima di esser Americani, erano coloni inglesi. Poi han deciso di staccarsi. Te lo spiego io perché».
Questa fu la frase con cui mio nonno iniziò uno dei suoi tanti racconti a tema storico, che a volte ci mettevano ore, ma che il me bambino ascoltava sempre con le orecchie bene aperte. Spaziavamo nei temi, ma in quel giorno in particolare avevo visto un cartone animato sul satellitare, probabilmente un episodio de ‘La Squadra del Tempo’ su Cartoon Network. Una piccola quanto dimenticata chicca dell’animazione statunitense d’inizio anni 2000.
Nonno con gli americani aveva un bel rapporto, come gran parte dei napoletani all’indomani dell’ingresso delle truppe alleate nel capoluogo campano. I bombardamenti erano stati pesanti per la città portuale, ma l’abilità del comando logistico della 5° Armata a rifornire velocemente la popolazione di beni di prima necessità e a portare avanti una campagna di vaccinazione contro il colera e altri malanni tipici del tempo di guerra permise una rapida riconciliazione tra la nuova forza ‘occupante’ e la popolazione ‘soggetta’ ad essa. Il primo impatto della società americana con mio nonno fu tuttavia tramite il caffè: il beverone scuro trangugiato dai G.I. Statunitensi era, a suo dire, comunque un miglioramento rispetto alla cicoria.
L’arrivo del contingente americano finì per dare diverse opportunità lavorative ai cittadini partenopei più industriosi. Nonno lavorò prima a sgomberare le strade per un pugno di AM-Lire, poi passò per un breve periodo alla pratica dello ‘sciuscià’, il lustrascarpe a basso costo per i soldati, che spesso lo ripagavano con qualche pezzetto di cioccolato o con un paio di sigarette marchio Lucky Strike oppure Old Gold. L’apice della sua carriera nell’economia ‘militare’ fu forse raggiunto quando trovo un posto come spazzino presso quella che, a posteriori, riconobbe essere una stazione dell’OSS. O almeno questo ipotizzò in base alla sua conversazione con un arzillo professore americano di letteratura italiana, che, per un motivo o per un altro, lavorava presso tale ufficio.
Come nell’incipit, a nonno piaceva parlare di tante cose diverse. La guerra era sicuramente una grossa parte, ma la sua conoscenza da avido divoratore di libri ed enciclopedie nell’epoca precedente a Internet si espandeva abbastanza per rispondere alle mie domande curiose sulla guerra rivoluzionaria, la lotta di Lincoln contro gli schiavisti del sud (che qualcuno si ostina ancora ad intendere in termini revisionisti), l’epopea del far west raccontata dai film di John Ford e del ‘nostrano’ Sergio Leone, e poi le fittissime spy story della guerra fredda ed i romanzi techno thriller di Tom Clancy e Ken Follet, di cui era un ghiotto consumatore.
Gli ultimi venti anni di vita del nonno videro i suoi amati Stati Uniti affrontare un periodo difficile e controverso:guerra al terrorismo. Nonno, memore del ‘warwatching’ fatto anni prima durante la prima Guerra del Golfo, seguì con attenzione la deposizione del regime talebano in Afghanistan. In quell’occasione mi rammentò gli orrori del regime fondamentalista, ma anche il complicato rapporto tra gli Stati Uniti, il Pakistan ed i mujahidin: nonno conosceva bene la differenza che passava dai tajiki di Massoud rispetto al movimento suprematista pashtu degli studenti delle madrase.
È all’Afghanistan che collego sempre gli ultimi anni del nonno, la sua lotta contro un brutto tumore ai polmoni, apparentemente sconfitto prima e metastatizzatosi dopo nel modo più brutale possibile. La terapia del dolore a cui era soggetto gli permise di lenire le sofferenze provocate dal cancro, al costo di un graduale deterioramento delle capacità cognitive. Ero ormai poco più che diciottenne quando mi accorsi che il tempo delle chiacchierate storico-politiche con il nonno erano finite. Erano gli ultimi anni dell’era Obama, la presenza americana nel Paese centroasiatico continuava a deteriorare nonostante il cosiddetto surge di truppe raccomandato dal generale Petraeus nel 2010. Un anno prima della morte di mio nonno, la Russia di Vladimir Putin aveva già iniziato la sua campagna ibrida di conquista dell’Ucraina, mettendo in serio imbarazzo l’allora segretario di stato John Kerry.
Forse, inconsciamente, associavo il declino della salute psicofisica di mio nonno alla fase difficile passata dagli States negli ultimi tempi. Non visse abbastanza per assistere all’elezione di Donald J. Trump nel 2016 e all’ulteriore imbarbarimento del dibattito politico interno americano, ma voglio almeno pensare che, se fosse stato vivo ed al pieno delle sue facoltà intellettive come lo era un tempo, nonno avrebbe continuato a coltivare la sua passione per l’America, al netto dei tanti difetti.
Purtroppo, non ho mai registrato uno dei racconti del nonno Antonio, ma conservo ancora gelosamente una ‘Storia degli Stati Uniti’ edita negli anni Sessanta da un autore italiano poco noto. È abbastanza povera di contenuti e si ferma all’indomani della Seconda guerra mondiale, ma rimane un tesoro inestimabile.
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