Caitlin Clark, una ragazza del Midwest nella Storia
La più grande di tutte perde la finale di college basket, ma ha già cambiato il gioco, e sarà ancora più grande.
Venti secondi e due separano la fine di una stagione indescrivibile per il basket universitario femminile statunitense. Il cronometro si ferma. Per un tributo alla più grande di tutti i tempi. 18.300 persone sugli spalti ad applaudirla. Esce con il numero 22 Caitlin Clark. Saluta per l’ultima volta i campetti dei college, dopo un anno incredibile in cui ha battuto ogni record. A partire dai tiri oltre l’arco, suo marchio di fabbrica. All-time leader NCAA per numero di triple segnate in una stagione singola. Record che prima deteneva un giocatore chiamato Stephen Curry, colui che ha cambiato il basket, per intenderci. Così come i punti in carriera: nessuno come lei ha segnato così tanto nella storia del college basket, femminile o maschile. Ci si aspettava il lieto fine: un Iowa vincente, con Clark ad alzare quel trofeo storico con incise le parole National Champion. Tuttavia, ci troviamo nell'universo della Follia di Marzo, dove tutto è possibile, dove i pronostici vengono ribaltati, dove la più grande di tutte perde la finale: 75-87, South Carolina vince la March Madness.
«Non sono una persona molto creativa, sono nata il 22 gennaio ed è così che scelsi il numero 22 quando avevo più o meno 5 anni». Classe 2002, la storia di Caitlin Clark ha inizio a West Des Moines, proprio in Iowa. Siamo nel Midwest, ampia area nel cuore degli Stati Uniti a cui la giovane Clark è particolarmente legata. Qui ci sono le sue radici, la sua identità e quello che la rappresenta. La regione comprende una dozzina di stati, tra cui l’Indiana, prossima casa della cestista. Prima scelta al draft, inizierà infatti la sua carriera WNBA negli Indiana Fevers. Un sogno che diventa realtà. «È il posto perfetto per me, soprattutto perché è nel Midwest. Le persone pensano che sia pazza a voler restare qui, ma è solamente ciò che sono». L’Indiana che è anche il luogo culto del basket, tant’è che si parla di “Hoosier hysteria”, ovvero uno stato di totale euforia ed emozione che provano gli abitanti, chiamati anche hoosiers, per tutto quello che riguarda il basket, e che parte già dai tornei liceali. Una passione che scorre nelle vene di questo stato e di quelle della stessa Caitlin.
Lo sport è sempre stato una parte integrante e fondamentale della sua vita. La sua infatti è una famiglia di atleti: il papà giocava a basket e baseball, il nonno era coach di football, sport che praticava il fratello maggiore Blake, vincendo anche due campionati liceali. È proprio con i due fratelli che la piccola Clark inizia a far vedere il carattere, soprattutto dal punto di vista sportivo. Colin, il fratello minore, racconta sempre di un episodio durante il quale i due stavano giocando nel piano interrato di casa. Palla vagante. Caitlin scaraventa il fratello contro il muro con il risultato di quattro punti in testa per chiudere la ferita. «Ero super competitiva, era qualcosa che mi motivava e è per questo che volevo fare sport, soprattutto il basket». Cresce giocando con i fratelli e i loro amici. All’inizio veniva presa di mira, ma «se voleva uscire e giocare con i boys» la mamma le diceva che «devi cavartela da sola, sei tu che vuoi fare sport con loro». Li prova un po’ tutti, tra softball, tennis, golf o calcio. All’età di cinque anni entra a far parte di una squadra di basket maschile in assenza di quelle femminili, e vince anche il titolo di MVP, suscitando la rabbia di non pochi genitori. Pochi anni dopo il papà la porta a vedere una partita di WNBA a Minneapolis; proprio lì riesce ad abbracciare il suo idolo di sempre, Maya Moore. Un abbraccio che le cambia la vita.
Da quel momento il basket diventa la sua filosofia di vita. Un amore verso questo sport per cui dà corpo e anima. Già ai primi anni di liceo è nel mirino delle squadre universitarie. La vice coach dell’Iowa Jen Jensen ricorda di aver subito notato il talento unico della Clark quattordicenne: «ci è voluto un secondo, forse un minuto». Quel sassy step-back che precede il suo tiro, quello oltre la linea. «Una così è facile da identificare, ma difficile da prendere». Una personalità forte, sassy appunto. Lo si può tradurre come vivace, piena di energia, ma anche sfacciata, sfrontata e irriverente. Una personalità che si sprigiona in campo con i fatti, come succede durante una partita di High School. Alcuni ragazzi le gridavano “overrated”, sopravvalutata. Risponde con 42 punti sul tabellone. A quel punto, tutti la volevano. Vince l’amore per l’Iowa, per le persone di lì, per lo spirito del Midwest, che l’ha cresciuta. C’è forse anche la voglia di una sfida. In un basket femminile dominato da squadre come Lsu, UConn, Stanford, South Carolina, o Usc, resta per giocare con gli Hawkeyes, gli “occhi di falco”. È il nome con cui vengono chiamati gli abitanti dell’Iowa e che il team sportivo dell’università ha preso in prestito.
Il resto lo troviamo nelle prime pagine di tutti i giornali sportivi dall’inizio della March Madness. Caitlin Clark è nella storia, e noi ne siamo testimoni in diretta. «This is for college basketball history», quando supera Pete Maravich, con il numero più alto di punti in carriera universitaria. In quattro anni a Iowa ha riscritto le regole del Gioco, spazzando via qualsiasi record. Come riporta il sito di statistiche her hoop stats, Clark ha avuto una media di 31.6 punti, 6.9 rimbalzi e 8.9 assist a partita. E poi il suo tiro. Quello da tre con cui ha rivoluzionato il basket femminile, ridisegnando il campo da gioco. Tiri che scarica così velocemente da disorientare le avversarie. E nonostante sia lei la stella, alla fine il basket è di squadra. E lei le cerca sempre le compagne. I suoi assist sono diventati famosi ovunque, tant’è che il media dedicato allo sport dell’università dell’Iowa The Hawk Central li celebra scrivendo che “it is her elite passing that often amazes first-time watchers”, sono i suoi passaggi “elite” che stupiscono chi la guarda. L’occhio di falco non è più solo il nickname degli abitanti dell’Iowa.
I numeri e le statistiche sono imprescindibili nello sport, ma l’effetto di Clark prescinde anche da questi. Infatti, si parla già di “effetto Caitlin Clark”. Con 18.7 milioni di spettatori, la finale contro i Gamecocks è stata la partita di basket (sia maschile che femminile, sia NBA che NCAA) più vista dall’emittente sportiva dal 2019 a oggi. Tuttavia, ci sono cose che non sono quantificabili. Le bambine e i bambini che gridano al suo passaggio, le firme sulla maglia numero 22. Lei che vuole essere un’ispirazione per le generazioni future, ma che lo è già. Tra le lacrime, «voglio che il mio ricordo sia l’impatto che posso avere sui bambini e le bambine, e gli abitanti dello Stato dell’Iowa. Spero di aver portato molta gioia in questa stagione. Sono sempre stata quella giovane ragazza. Quindi quello che dovete fare è sognare. Per arrivare a vivere momenti come questo». E fu così che il lieto fine venne rimpiazzato da qualcosa di molto più significativo, che oltrepassa i confini dei numeri e delle statistiche, e che può essere definito da una parola sola: legacy, eredità.
Accidenti! Non la conoscevo ma questo articolo mi ha suscitato l'interesse in lei, una che batte nella storia Pete Maravich.....
grazie Paola Arrigoni