I Boh-Vax tra le minoranze in Colorado
Uno studio su Boulder County (CO) rivela come classe sociale, razza, identità di genere e orientamento sessuale influiscano e non poco sulla resistenza e l’accesso alle vaccinazioni.
Boulder County, in Colorado, è uno di quei territori che spesso finisce in studi politici sugli Stati Uniti. Metà rurale, metà suburbana, una medio-piccola area metropolitana, anche se molto omogenea dal punto di vista etnico (l’80% degli abitanti è bianco), la contea è tra quelle che a livello geografico rappresentano un’America in miniatura. Insieme alla geografia, la contea condivide con il Paese intero disparità sociali, razziali, di genere che lo affliggono, caratteristiche a volte sistemiche che la pandemia non ha fatto altro che evidenziare in modo drammatico.
Se già le contee rurali hanno subito un maggiore contagio contro una minore distribuzione di vaccini rispetto alle aree urbane, nelle comunità storicamente marginalizzate in quegli stessi territori la questione diventa ancora più problematica.
Quando a dicembre 2020 una task force della contea stava cercando di coordinare meglio la distribuzione delle dosi, una dei membri, la dottoressa Kaylin Grey, ha avuto l’idea di raccogliere dati su una delle comunità meno rilevate statisticamente dal punto di vista sanitario, quella LGBTQ+.
Se potessi vaccinarti contro il Covid-19 oggi, lo faresti?
I risultati come al solito fotografavano una situazione più complessa di quanto si pensasse. Il 17% degli intervistati LGBTQ+ aveva risposto di no, contro il 9% delle persone cis-etero. All’interno della comunità, poi, la percentuale più alta di persone non intenzionate a vaccinarsi era tra le donne cis (26%), uomini trans (18%), persone afroamericane o ispaniche (28%). Pur avendo il limite di una popolazione di riferimento ridotta questi risultati trovavano riscontro in altri sondaggi fatti in altre aree suburbane e rurali del paese.
Come ha affermato all’epoca Grey su un giornale locale: «Si intersecano più vulnerabilità, ma sicuramente la comunità LGBTQ+ è da considerarsi come a rischio in termini di esitazione a vaccinarsi». Per Mardi Moore, la direttrice di Out Boulder County, la più attiva organizzazione LGBTQ+ della contea, il fatto evidenziava un problema aggiuntivo: la mancanza di dati dei vaccinati all’interno della comunità e soprattutto di quella parte affetta da HIV.
«La mancanza di dati è uno dei prodotti della mancanza di fiducia che la nostra comunità ha nei confronti dei medici e viceversa» ha detto Moore. Un circolo vizioso che rende difficile un approccio intersezionale nel momento in cui bisogna convincere una persona queer, che magari è anche disabile o ha l’HIV, a vaccinarsi.
In un Paese dove vari studi hanno dimostrato l’emergere di serie disuguaglianze nell’accesso a trattamenti e vaccini contro il covid, soprattutto a livello razziale e socio-economico, il caso della comunità LGBTQ+ in Colorado è solo un ulteriore capitolo di una storia già raccontata. Il problema è che questo specifico capitolo potrebbe non fare notizia proprio per la mancanza di dati. La loro raccolta avviene in maniera diseguale e sporadica, lasciata all’iniziativa delle singole organizzazioni di attivisti locali.
I problemi storici e lo stigma sociale
Tuttavia, quando questa avviene non fa altro che evidenziare la diversa esperienza che molte persone hanno della pandemia a causa della propria identità sessuale o di genere. Il che è anche dovuto a problemi storici e a volte sistemici legati al rapporto tra la comunità e la sanità.
Molti ricordano ancora quando negli anni Ottanta e Novanta tantissimi medici si rifiutavano di trattare persone sospette di aver contratto l’HIV, o come dal CDC alle piccole cliniche di quartiere lo stigma e l’atteggiamento della medicina ufficiale aveva ancora di più marginalizzato le persone. Non tanto tempo è passato da quando l’Associazione degli Psichiatri Americani trattava la disforia di genere come un disturbo mentale.
In alcuni Stati, a cui si è aggiunto l’Arkansas ultimamente, i medici possono rifiutarsi di ricevere e curare persone basandosi su un’obiezione di coscienza, eccetto in non specificati casi di emergenza. Questo in un Paese dove, secondo uno studio, il 56% di persone gay o bisessuali ha dichiarato di aver subito discriminazioni negli studi medici, percentuale che arriva al 70% per le persone transgender e non binarie. Proprio quest’ultimo gruppo di persone è quello che più subisce trattamenti discriminatori da parte della comunità medica, come è emerso da uno studio del 2020. Il tasso aumenta quando viene considerata l’etnia oltre all’identità di genere, visto che la comunità afro-americana, per ragioni strutturali e socio-economiche, ha vissuto storicamente esperienze simili.
«Abbiamo un sistema in cui le persone cercano di accedere alle cure e non le ricevono, o non ricevono cure al ritmo in cui le loro controparti bianche e cis le ricevono, quindi, naturalmente, non si fidano», ha detto al New York Times il dottor Bisola Ojikutu, esperto di malattie infettive ad Harvard.
«Essere parte di due gruppi discriminati porta ad un'emarginazione che è più della somma delle due parti» ha dichiarato per lo stesso articolo Brad Sears, direttore esecutivo del Willians Institute di LA, che si occupa di studi sul rapporto tra identità sessuali e politiche pubbliche.
La raccolta dati
Il problema più grande, soprattutto nelle comunità rurali, è la raccolta di dati, perché risposte personalizzate non possono che partire da lì. Qui entra in giorno il circolo vizioso dovuto alla mancanza di fiducia. Perché mai dovresti comunicare la tua identità di genere ad un ente che fino all’altro ieri ti trattava come affetto da disturbi mentali?
La stessa cosa è emersa dal più recente studio che Out Boulder County ha condotto riguardo le vaccinazioni Covid, a un anno dal precedente, questa volta in collaborazione con El Centro Amistad della città di Boulder. Uno dei risultati è proprio che la scarsa fiducia si trasforma in esitazione a rispondere anche ad un sondaggista friendly. In mancanza di dati è impossibile mettere in campo azioni dirette a correggere quei problemi alla radice proprio della scarsa fiducia. Tuttavia «comprendere opinioni e atteggiamenti riguardo la vaccinazione contro il COVID-19 è fondamentale per gestire e porre fine a questa pandemia», ha detto Moore al Los Angeles Blade, un aspetto che infatti tantissimi Paesi stanno cercando di affrontare.
Proprio l’intersezionalità dell’analisi è la chiave per studiare il fenomeno in tantissime contee, soprattutto rurali, degli Stati Uniti. «Lo studio dei tassi di vaccinazione, nonché degli atteggiamenti e degli ostacoli alla stessa attraverso questi incroci di identità ha rivelato dati preziosi su cui dovrebbero basarsi gli sforzi per promuovere la campagna vaccinale», ha affermato Michal Duffy, Direttore del settore ricerca e istruzione di Out Boulder County. «I dati rivelano chiaramente che lo stato socio-economico e l'identità di una persona influiscono sulle sue opinioni verso la vaccinazione». Solo il 40% di persone LGBTQ+ povere ha avuto accesso al vaccino in Colorado, contro l’86% di quelle benestanti. Se il tasso di vaccinazione è minore, non lo è quello di resistenza al vaccino rispetto alle persone non-LGBTQ+, ma solo a condizione che questo sia accessibile facilmente e in un ambiente friendly. In tal caso il tasso di resistenza alla vaccinazione crolla rispetto a quello di persone cis e bianche (per le quali emergono ragioni invece più ideologiche legate ai social e agli atteggiamenti ambigui di media e personalità politiche).
«Ciò dimostra che c’è un’opportunità di raggiungere persone economicamente svantaggiate, queer e non vaccinate attraverso strategie innovative basate su un approccio di comunità», conclude lo studio.
Forse rimane fuori il vero problema alla base di tutte queste disuguaglianze: finché il sistema sanitario americano continuerà ad essere fonte di disparità senza che gli enti preposti si impegnino anche soltanto a studiarle, le singole iniziative di comunità locali rischiano di essere soltanto un fuoco di paglia in attesa di essere di nuovo travolti dalla prossima pandemia.
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