Barbieland, il mondo asessuato dove tutto è possibile e la complessità non esiste
La formula segreta del film di Greta Gerwig è che rimane sempre un luogo di fantascienza: schematico, didascalico, un po’ moralista ma anche divertente
Barbie non è solo l’evento dell’anno, ma è diventato anche un campo di battaglia ideologico dove maschi e femmine si sparano contro pensieri, pregiudizi, idee, idiosincrasie, speranze e timori, forse persino sovrastimando un prodotto culturale che è più un sintomo del presentismo che un’arma intellettuale in grado di rivoluzionare il gioco dei ruoli e il dibattito sui sessi. Mentre il saggio indica un meraviglioso e funzionale mondo rosa gestito dalle donne, le Barbie, lo stolto guarda e deride l’emarginazione dei maschi, i Ken, che in questa comunità in effetti non hanno particolari qualità o doveri, essendo dei buoni a nulla, neanche quelli di accudire i figli e occuparsi delle faccende domestiche, in quanto a Barbieland non esistono organi genitali e l’unica bambola incinta, un errore di produzione, è relegata in un angolo e ha il solo compito di dare il buongiorno.
Queste donne, quindi, sono private, per fortuna loro, di tutti quegli elementi per i quali nel mondo reale sono considerate deboli, volubili, inadatte a ruoli di potere, prede: ormoni, vagina, maternità e figli. Greta Gerwig sembra rovesciare un modello, il patriarcato, e rappresentarne in maniera semplicistica la sua versione opposta, il matriarcato, arrivando alla conclusione che nessuno dei due può funzionare perché i principi di base sono gli stessi. Eppure molte spettatrici, entusiasmate dall’occhio per occhio, dente per dente, esultano davanti all’umiliazione dei Ken, mentre alcuni spettatori si sentono offesi dalla rappresentazione di uomini stupidi, deboli e piagnoni e dalle derisioni di una certa mascolinità.
Per ogni donna, o Barbie, sicura di sé, capace e di successo, c’è un uomo, o Ken, insicuro, fragile e di medio/basso successo. Questa è la formula segreta di Barbieland, che rimane sempre un luogo di fantascienza. Un empowerment tutto femminile che sembra aggiungere piuttosto che togliere, e che ha a che fare con la conquista di nuovi di spazi e di nuovi ruoli, e un empowerment maschile che pare somigliare al famoso passo indietro di Amadeus e che avvicina gli uomini al mondo descritto come femminile. Tutto schematico, didascalico e un po’ moralista, sì, ma anche divertente se condito da battute sagaci e canzoni orecchiabili. Però no, il nuovo mondo che molte femministe auspicano non può essere abitato da donne che diventano i nuovi uomini e da uomini che diventano le nuove donne, un modello rovesciato dove i principi di funzionamento sono gli stessi: chi prende e chi lascia per via di caratteristiche decise dalla casa di produzione, che nel nostro caso è Madre Natura.
In questa lotta fratricida in cui si decide il presidente di Barbieland o il nuovo giudice della Corte Suprema, c’è America Ferrera che alza il ditino e ci tiene a ribadire che non abbiamo tutte grandi aspirazioni o spiccate qualità, non vogliamo tutte diventare astronaute o cape di stato, alcune di noi sognano figli e non hanno ambizioni professionali, altre vogliono essere mamme e professioniste di successo, altre ancora vogliono realizzarsi solo nel lavoro e c’è chi non ha ancora capito cosa fare della propria vita. Non sognare lo Studio Ovale può essere una scelta e non sempre una conseguenza del patriarcato. A spiegare l’autodeterminazione alle Barbie e ai loro creatori, ci pensa giustamente una donna in carne ossa che nel mondo reale non ha linee guida da seguire e che ha conosciuto, come ogni umano, il fallimento.
Buoni sentimenti, catechismo, morali e metafore, questo il modo con cui Greta Gerwing utilizza Barbie per raccontare l’emancipazione e la battaglia tra i sessi, temi densi e complessi che tra una canzone e un balletto virano sull’esistenzialismo e sul senso di ogni vita, che, a quanto pare – sorpresa – ha tante forme quanti sono gli individui sulla terra, o su Barbieland. E sebbene non sia corretto affermare che si tratti di un film sulle femmine rivolto alle femmine, la geniale sequenza finale potrà essere colta in pieno soltanto dalle donne, una frase che è un intero romanzo sul perché l’universo di Barbie sarà sempre fantascienza se paragonato al mondo reale e su quanto sia facile gestire un mondo i cui abitanti sono completamente asessuati.
Mmmm non sono d’accordo! Barbie è geniale. Perché è un film divertente sul patriarcato, che raggiungerà più hearts and minds che ogni possibile pippone femminista, o anche di un bel discorso di AOC. Il problema è che l’Italia è un paese sessista, troppo nervoso e frustrato per parlare di questi temi in modo rilassato, con semplicità e anche leggerezza.