L'arte dei veterani
Molti veterani negli Usa tentano di riciclare le loro abilità una volta tornati alla vita civile. Ma non è semplice
Si parla spesso della preponderanza delle forze armate nell’immaginario popolare americano, ricco di film e serie ad esse dedicate. Un topos tipico di queste produzioni è quello del vecchio veterano di un conflitto ormai passato, rinnegato e reietto dalla società, spesso costretto ad usare di nuovo le abilità apprese durante il servizio militare per difendersi da chi vorrebbe fargli la pelle. Un’immagine che tuttavia rappresenta soltanto una fetta del variegato mondo dei veterani statunitensi, il cui peso culturale e sociale è riconosciuto dallo stesso governo federale, che nel secondo dopoguerra istituì un intero ministero dedicato a loro, il dipartimento dei Veteran Affairs (VA).
Secondo dati raccolti dal VA nel 2021, diciannove milioni di americani sono veterani. Circa meno del 10% della popolazione degli Stati Uniti, ma un numero relativamente alto se confrontato ad altre democrazie occidentali. Di questi, ben otto milioni hanno prestato servizio durante l’epoca che va dalla Prima guerra del Golfo ai giorni nostri: diversi hanno combattuto sui campi di battaglia in Afghanistan ed Iraq, o altresì partecipato alle operazioni di addestramento e supporto alle milizie curde in Siria e alle forze armate ucraine. Un 30%, però, è composto ancora dai veterani della guerra in Vietnam, una coorte che si sta gradualmente estinguendo e ha già perso il suo ruolo un tempo preponderante nella comunità dei vets.
Molti veterani tentano di riciclare le loro abilità una volta tornati alla vita civile, cosa che in genere riesce facile soprattutto a chi adempiva ad incarichi logistici, amministrativi, medici o altresì di alta specializzazione. La questione diventa ben diversa nel caso dei cosiddetti combat veterans, militari che hanno speso la loro intera carriera in prima linea e che, spesso, fuoriescono dalle forze armate privi di conoscenze spendibili. Per molti di questi lo step successivo è la ricerca di un impiego nel mondo delle compagnie di sicurezza privata e, infine, nelle private military companies. Queste agenzie, di cui è un noto quanto controverso esempio la Blackwater Inc. dell’ex Navy SEAL Erik Prince, impiegano principalmente veterani delle forze speciali e di altri reparti d’élite a cui vengono in genere appaltate attività di protezione delle ambasciate e del personale del Dipartimento di Stato americano in teatri rischiosi.
Non tutti i vets sono tuttavia disposti a tornare sul campo, spesso con garanzie e tutele inferiori rispetto a quelle di quando erano ancora in servizio. Una fetta sostanziale di veterani adopera i benefici concessi dalla GI Bill per acquisire un istruzione universitaria o professionale di alto livello, o per ottenere un prestito iniziale a tassi relativamente vantaggiosi per fondare piccole imprese.
Si stima che esistano circa due milioni di veteran-owned businesses in tutti gli Stati Uniti, e che impieghino un totale di circa cinque milioni di dipendenti. La maggior parte di queste aziende opera nel settore dei servizi, ma alcune acquisiscono un vero e proprio cult following nella comunità veterana per via del loro stile di marketing, spesso a tema militare o altresì patriottico. Ne è un esempio la Black Rifle Company, un azienda produttrice di caffè fondata nel 2014 dall’ex-berretto verde Evan Hafer. Negli anni, Hafer coltivò un’immagine spiccatamente politica e filo-Repubblicana per l’azienda, schierandosi pubblicamente in supporto della presidenza Trump e vendendo buste di caffè ricoperte di loghi e stilemi cari alla destra statunitense, permettendo alla Black Rifle di guadagnarsi subito una nicchia di clienti fedeli. Questo tipo di opportunismo politico può tuttavia anche essere un’arma a doppio taglio per le aziende dei veterani, come evidenziato dalla stessa Black Rifle: l’azienda incorse nell’ira della sua clientela conservatrice quando prese pubblicamente le distanze da Kyle Rittenhouse, accusato dell’omicidio di tre uomini durante i violenti scontri a Kenosha, Wisconsin nel 2020.
La collocazione politica influenza anche l’ecosistema informativo costruito dai veterani stessi, anch’esso variegato come quello delle piccole imprese. Ne è un esempio l’impero mediatico di SOFREP.org, intuizione dell’ex-Navy SEAL Brandon Webb. Nato come piattaforma di blogging per veterani delle forze speciali, SOFREP si è rapidamente espanso, acquisendo una redazione giornalistica ed agendo da publisher per diversi podcast, inerenti principalmente a tematiche militari e di politica estera. Il sito acquisì abbastanza fama da aiutare a lanciare la carriera politica di Eric Greitens, veterano dei SEALs e governatore repubblicano del Missouri dal 2017 al 2018, dimessosi dopo molteplice accuse di molestie sessuali ed uso fraudolento dei fondi elettorali.
Anche prima di essere eletto, Greitens aveva attirato critiche feroci dagli ex-commilitoni, particolarmente critici di come avesse adoperato e sfruttato la sua immagine di veterano per vendere libri che glorificano eccessivamente situazioni belliche, trasmettendo un’idea irreale e sovrumana dei militari.
Tuttavia, non tutti i media gestiti da e per i veterani condividono l’impronta conservatrice di SOFREP. Ne è un esempio Task&Purpose, pubblicazione online fondata da Zach Ischol, veterano dei Marines in Iraq ed attualmente a capo del dipartimento di disaster management della città di New York. La linea editoriale del sito, nelle parole dello stesso Ischol, è orientata verso i veterani del periodo post-undici settembre, segnati da “guerre insensate” come quella scatenata dall’infruttuosa ricerca di armi di distruzione di massa nell’Iraq di Saddam ed alienati dal patriottismo fine a sé stesso di una certa frangia della comunità. Pur diventando una piattaforma di successo nello spazio mediatico dei vets, Task&Purpose si è trovato diverse volte nell’occhio del ciclone per via del suo posizionamento, a volte particolarmente critico verso le scelte in politica estera dell’amministrazione Trump, tanto da portare lo stesso Ischol a moderare i suoi redattori.
Parlare di veterani significa parlare anche di veterane e di ex militari appartenenti a minoranze etniche. Nel 2021, le donne componevano circa l’11% della comunità, una misura destinata ad aumentare negli anni viste le aperture recenti alla possibilità di impiegare personale femminile in prima linea. Discorso simile per minoranze come quella ispanica ed afroamericana, già particolarmente sovrarappresentate nelle forze armate. L’esperienza ed i problemi affrontati dalle veterane non sono dissimili da quelli dei loro colleghi uomini: il ritorno al mondo civile è spesso correlato da difficoltà familiari, abuso di sostanze per far fronte a problematiche psicologiche e traumi insorti durante il servizio militare, difficoltà a trovare nuovi impieghi e permettersi una sistemazione dopo anni di assenza e tour di servizio oltreoceano. La vulnerabilità sociale delle veterane di genere femminile ha infine indotto lo stesso dipartimento dei Veteran Affairs a fondare un centro specifico per i loro bisogni, provvedendo principalmente a fornire terapie specializzate per le ex-militari vittime di molestie sessuali.
I veterani provenienti da minoranze etniche sono anch’essi esposti in modo sproporzionato al rischio di malattie mentali ed altre problematiche psicologiche dopo il ritorno al mondo civile, un rischio alimentato anche dalla difficoltà economica ad accedere alle cure, e da uno scetticismo diffuso nelle comunità nere ed ispaniche verso l’efficacia di esse. I veterani di origini nativo-americane sono particolarmente esposti al rischio di alcolismo ed abuso di sostanze, una condizione mutuata spesso dal ritorno in realtà impoverite come quelle delle riserve. Diversi veterani hanno criticato episodi di apparente razzismo istituzionale da parte del VA, che tende spesso a negare i sussidi per disabilità e le borse di studio ai candidati d’origine afroamericana. Meccanismi e dinamiche che, come il resto degli altri strascichi del segregazionismo, faticano ancora a decadere.
Storicamente un elettorato fedele al Partito Repubblicano, la grande massa dei veterani è gradualmente diventata più bipartisan, un movimento che gli analisti accreditano sia alla diversificazione etnica e di genere delle forze armate (che segue la traiettoria della società americana in generale) che all’evoluzione delle forze armate statunitensi da ‘esercito di massa’ ad una forza relativamente più piccola e dipendente da moltiplicatori di forza tecnologici che richiedono un personale sempre più istruito ed aggiornato. Sicuramente, nel caso delle elezioni presidenziali del 2020, la scelta del 45% dei veterani che si sono espressi a favore di Biden è anche il frutto di una diffusa percezione negativa delle azioni dell’allora presidente Donald J. Trump verso i membri della comunità, definiti addirittura “perdenti e mammolette”.
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