Arance meccaniche
Detriti, verniciature, componenti dei satelliti in orbita infestano lo spazio. Come ce ne libereremo?
Pensate ad una buccia d'arancia che si scaglia contro un altro esemplare dello stesso frutto a 30.000 km/h. Quest'ultimo verrebbe trapassato da parte a parte, con il risultato di una bella deflagrazione e tanti piccoli pezzettini che inizierebbero a girare impazziti a velocità tali da scatenare una reazione simile alla precedente, in caso di collisione con un altro frutto e così via. Sembrerebbe un problema inutile a cui dedicare la nostra attenzione, eppure la logica di fondo di questa strana situazione è quella che ha portato il primo amministratore afroamericano della NASA nella storia degli Stati Uniti d'America fino alla provincia di Como. Fino a Mornasco, per la precisione.
Tante turbo-bucce d'arancia impazzite infatti infestano il mondo sopra di noi: l'aerospazio. Sono i detriti, le verniciature, le componenti dei satelliti in orbita che hanno concluso il loro ciclo vitale. Ogni giorno le aziende che si occupano di tecnologie satellitari sono indaffarate a correggere le orbite dei propri strumenti per evitare collisioni che potrebbero scatenare ulteriori incidenti a cascata, trasformando lo spazio sopra alle nostre teste in un flipper cosmico di incidenti.
Nel Comasco ormai da qualche hanno una start-up italiana lavora per trovare una soluzione ai fenomeni appena descritti. Si chiama D-Orbit. Il suo CEO, Luca Rossettini, da piccolo voleva fare l'astronauta, ma alla fine si è trovato a fare lo “spazzino spaziale”. Paradossalmente oggi è da lui e dalla sua azienda che dipende il futuro di tutti gli astronauti e di tutta l'industria spaziale.
L'ha capito anche Charles Bolden, dodicesimo amministratore della National Aeronautics and Space Administration, meglio conosciuta come NASA, ed oggi, a seguito della cessazione dell'incarico, imprenditore. D-Orbit, che negli anni è cresciuta, intercettando una problematica seria e fondamentale ed espandendo la sua attività in Portogallo ed in Gran Bretagna, ora, grazie all'investimento dell'ammiraglio statunitense e alla fusione con una nota società di acquisizioni, è pronta a volare. Direzione NASDAQ.
Il fenomeno della Space Junk vera e propria spazzatura aerospaziale sarà uno dei temi fondamentali per lo sviluppo della nostra civiltà in senso planetario. Già nel 2008 è stata misurata la probabilità degli incidenti legati alla collisione con detriti spaziali, fissata a 1 su 185. Nel 2009 l'ISS, la Stazione Spaziale Internazionale, è stata messa in stato d'allerta, con l'attivazione dei protocolli di evacuazione per il rischio di essere colpita da spazzatura orbitale.
La comunità internazionale ha riconosciuto ormai l'importanza di confrontarsi con questa realtà, tanto che anche l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha deciso di riunire una cordata di agenzie spaziali, fra cui l'ASI (l' Agenzia Spaziale Italiana), in un Comitato Inter-agenzia per i Detriti Spaziali. La problematica è destinata decisamente ad aumentare. Negli ultimi anni, infatti, la crescita di elementi spediti in orbita è in crescita esponenziale. È la New Space Economy: la nuova fase dell'industria aerospaziale che apre il settore al Mercato.
L'epoca delle grandi agenzie, delle commissioni statali è ormai terminata. Ha piuttosto avuto inizio l'era dello spazio commerciale. Non parliamo solamente dei grandi magnati col sogno di volare. Elon Musk, Jeff Bezos sono solamente la rappresentazione plastica dell'homo cosmicus spinto alla massima espressione della volontà di potenza, che immagina un ruolo non solo di abitatore dello spazio, ma di padrone. Lo stesso Musk per un periodo ha definito se stesso, nella bio di Twitter, “Imperatore di Marte”.
Intorno a queste grandi figure però gravita un mondo immenso, fatto di piccole e medie imprese e start-up che si stabiliscono in alto ma per guardare verso il basso, sulla Terra, al fine di implementare e migliorare servizi terrestri grazie alla presenza di tecnologia nello spazio orbitale.
L'industria satellitare ha visto così un aumento incredibile in termini di capacità di produzione (si stima che nei prossimi 10 anni invieremo nello spazio più di 50.000 satelliti) a cui è corrisposta, ovviamente, una drastica diminuzione della qualità e, conseguentemente, del ciclo vitale degli stessi. É un fenomeno nell'ordine delle cose, ma che apre una serie di interrogativi ai quali dovremmo cominciare a cercare delle risposte, che, almeno nella teoria, dovremmo già conoscere.
L'antropizzazione sfrenata è priva di conseguenze? La produzione di detriti, scarti e vera e propria spazzatura è un problema che va affrontato seriamente, immaginando modelli di riciclo e di circolarità? L'impatto ambientale dei carburanti può incidere negativamente sull'ambiente circostante e sull’atmosfera? Tutte domande a cui abbiamo già cominciato a rispondere da anni, maturando la consapevolezza di dover tracciare un nuovo modello di sviluppo e di produzione per proteggere il nostro pianeta.
Lo Spazio è la nostra ultima frontiera. Nella nostra epica popolare è il mondo incontaminato, ricco di opportunità e risorse da scoprire, dove ipoteticamente rifugiarsi nel caso in cui qui sul Pianeta Terra le cose non dovessero andare nel migliore dei modi.
La verità però è un po' diversa. Già nel 1978, quasi 50 anni fa, il consulente della NASA Donald Kessler sviluppò una teoria che da lui prende proprio il nome: la Sindrome di Kessler. Questa prevede infatti la possibilità che l'aumentare incontrollato di detriti spaziali e la loro continua collisione generi una cortina di spazzatura spaziale invalicabile, tale da impedire la spedizione di nuovi satelliti in orbita e rendere proibitive missioni di esplorazione spaziale.
Tradotto: rischiamo di rovinare il nostro Brave New World ancor prima di averlo visitato.