Aragoste bollite: l'oro del Maine a rischio per i mari più caldi
Il progressivo surriscaldamento dei mari potrebbe mettere in ginocchio l'industria e la sopravvivenza dei lobstermen del Maine.
Il surriscaldamento climatico antropogenico, forse la più grande sfida dei nostri tempi, porta con sé un largo spettro di effetti collaterali per la maggior parte negativi. Neanche gli Stati Uniti sono stati risparmiati da fenomeni quali il moltiplicarsi di tornado anomali che hanno flagellato Kentucky ed Arkansas, o il tremendo uragano Ida che ha flagellato la Louisiana lo scorso settembre.
La storia di oggi, tuttavia, ci porta in New England, il nord-est boschivo del paese, e in particolare nello Stato del Maine, roccaforte liberal che ha dato i natali al quindicesimo vicepresidente USA, Hannibal Hamlin, alleato di Abraham Lincoln nell’abolizione della schiavitù.
La pesca e l’allevamento dei crostacei e in particolare degli astici e delle aragoste è una delle attività economiche caratteristiche della regione. Le coste del Maine sono terreno fertile per le hard-shell lobsters, gli astici dal guscio duro che in genere producono un quantitativo di carne maggiore rispetto alle varietà dal guscio morbido.
I crostacei vengono in genere pescati tutto l’anno, in particolare nella stagione estiva e in quella autunnale, andando poi incontro a una sensibile diminuzione nei mesi freddi, che invogliano gli animali a migrare verso mari più caldi a sud. Quest’industria ha anche pesantemente influenzato la gastronomia locale: mangiare aragoste in Maine non è molto diverso, anche a livello di prezzi, dal degustare una pizza deep dish a Chicago o dal provare cibo messicano a San Diego, tant’è che alcuni imprenditori hanno addirittura tentato di esportare il concept nel resto degli Stati Uniti.
È qui che l’influenza del surriscaldamento globale ha portato un curioso effetto collaterale: il progressivo riscaldamento dei mari del Maine anche nelle stagioni invernali ha prolungato i periodi di pesca larga, aumentando la produzione di crostacei e permettendo ai pescatori locali di destinare parti più ampie della pesca all’export verso mercati stranieri. Uno sviluppo paradossale, vista anche l’attenzione particolare riservata dai cittadini del Maine alle tematiche ambientali. Si stima che l’industria degli astici nel Maine abbia raggiunto nel 2022 un rendimento di circa 725 milioni di dollari, un aumento del 20% se comparato ai dati dell’anno del 2020.
Uno sviluppo che tuttavia rischia di essere un’arma a doppio taglio per il placido Stato del nord-est: il progressivo surriscaldamento dei mari potrebbe creare, nel medio termine, una situazione inospitale per i branchi di astici e aragoste, disfacendo in poco tempo i guadagni iniziali e mettendo in serio pericolo la sopravvivenza dell’industria stessa e dello stile di vita dei pescatori locali, i lobstermen.
Una contingenza che ha portato questo blocco di colletti blu rurali, spesso associati a posizioni conservatrici nella politica statale e nazionale, ad avvicinarsi alla cultura ambientalista delle città, caratterizzata non solo dall’advocacy appassionata, ma anche da uno spiccato fiuto per il business, sia negli investimenti per il fruttuoso settore dell’energia solare, ma soprattutto nello sfruttamento della secolare industria del legno del Maine, ora destinata alla produzione di materiale per le centrali energetiche a biomassa.
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