Un germoglio verde: l'ambientalismo repubblicano
Conservatori e ambientalisti: un binomio che lentamente sta crescendo dentro al Partito Repubblicano dopo anni di deregulation trumpiana.
Après moi, le déluge», dopo di me il diluvio: viene da pensare che la celebre frase sia stata pronunciata da Donald Trump, se si vanno a rileggere le sue affermazioni sui cambiamenti climatici, e si ripercorrono le policy messe in atto durante i quattro anni della sua presidenza. In molti ricordiamo le esternazioni presidenziali su Twitter, dove il riscaldamento globale veniva descritto come una menzogna spudorata, una fake news, impossibile da credere soprattutto se assistiamo a tempeste di neve in Texas.
L’atto più controverso di questa strategia è stato l’abbandono nel 2017 – con l’uscita poi ratificata a fine 2020 e ribaltata nel 2021 da parte di Biden appena insediato – dagli Accordi di Parigi sul clima, l’accordo globale tra 195 Paesi per ridurre la produzione di gas serra e cercare di limitare il riscaldamento del pianeta sotto un aumento di 2° per il futuro. Ma l’amministrazione Trump è andata ben oltre, indebolendo in maniera strutturale la legislazione relativa alla limitazione dell’emissione di gas serra, all’utilizzo di centrali a carbone, alla ricerca di combustibili fossili su suolo pubblico.
La deregulation trumpiana ha colpito in primis il Clean Power Plan dell’era Obama che puntava alla riduzione di emissioni da parte del settore dell’energia ma, non potendolo annullare, ha dato vita all’Affordable Clean Energy Rule, con regole molto meno stringenti delle precedenti. Trump ha inoltre permesso l’esplorazione per la ricerca di petrolio e gas, fino ad allora vietata, di alcuni territori come l’Arctic National Wildlife Refuge e parti del National Monuments in Utah.
La scure del quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti si è abbattuta anche sul Clean Air Act uno dei tanti provvedimenti a protezione dell’ambiente provenienti dell’era Nixon che, tra le altre cose, permetteva alla California una deroga per implementare politiche più stringenti rispetto a quelle federali. Proprio Nixon, promotore durante la sua presidenza di moltissimi interventi a protezione dell’ambiente, ci offre lo spunto per riflettere sul rapporto più ampio tra mentalità politica dei repubblicani ed ecologia.
Da una parte, infatti, c’è la classica contrapposizione tra Stato e libero cittadino, dove le regolamentazioni sono viste come un freno alla crescita. Uno dei collaboratori di Nixon per le politiche ambientali, John Ehrlichman riportò a questo proposito una frase emblematica dell’ex Presidente: «In a flat choice between smoke and jobs, we’re for jobs» (In una scelta secca tra fumo e lavoro, noi siamo per il lavoro).
Dall’altra parte, però, c’è la tentazione verso un rapporto mistico con la natura, d’ispirazione religiosa, lo stesso slancio che portò Theodore Roosevelt a farsi promotore della conservazione di alcune delle aree più belle e selvagge degli Stati Uniti. Questo doppio binario che funge da cornice per l’ambientalismo repubblicano, caratterizzandolo come rurale ma pragmatico, andato in crisi durante l’era Trump, potrebbe essere un viatico per le nuove sfide che li attendono, in un momento tra l’altro di grande attenzione dell’opinione pubblica verso l’approvvigionamento energetico, con la crisi in Ucraina che la fa da padrone.
Infatti, in America, molto più che in altri Paesi occidentali, quando si intuisce un cambiamento di policy o di strategie, bisogna sempre andare a vedere i sondaggi. Se si osservano i dati, qualcosa sta cambiando sulla sponda repubblicana dell’elettorato. Da un lato ci sono le inondazioni, gli incendi, le temperature fuori controllo, dall’altro c’è l’inquinamento ambientale, la plastica ovunque, gli animali in estinzione.
Forse sono stati gli eventi meteorologici, che una volta consideravamo eccezionali e adesso diventati più frequenti. Fatto sta che anche negli Stati Uniti è cresciuta tra i cittadini una certa sensibilità nei confronti di quello che oggi genericamente chiamiamo climate change. Secondo alcuni sondaggi, infatti, gli americani che ritengono le questioni climatiche una priorità per la politica superano oggi il 60%, oltre 15 punti in più rispetto a solo 10 anni fa.
Questa percentuale è sostenuta in gran parte dalle convinzioni degli elettori democratici la cui preoccupazione per l’ambiente si avvicina al 90%, mentre tra i repubblicani supera di poco il 30%. Eppure, quest’ultima percentuale è in crescita, soprattutto tra i giovani conservatori dove la preoccupazione supera il 50%, un trend che non accenna a diminuire.
L’anti-ambientalismo trumpiano si basava su un assunto già datato, cioè che la tutela dell’ambiente sia un freno per l’economia, soprattutto per quella statunitense la cui dieta si basa sui combustibili fossili. Una volta emerso il paradigma progressista del “Green New Deal” che ribalta questa visione, proponendo una interpretazione economica dell’ambientalismo come vettore di sviluppo, i conservatori del mondo, americani e non si sono trovati di fronte al dilemma di come controbattere. Per i repubblicani si tratta di un bel rompicapo, dunque che tipo di politiche promuovere senza contrariare il loro stesso elettorato?
Solo l’anno scorso il leader della minoranza repubblicana al Congresso Kevin McCarthy ha creato la task force repubblicana “Energy, Climate and Conservation”, col compito di produrre proposte che ‘non uccidano l’economia’. Come ridurre le emissioni di CO2 senza danneggiare un’economia basata sui combustibili fossili? Piantando più alberi. Come diminuire l’impatto della plastica senza ridurre la produzione? Aumentare le tecnologie di riciclo. Come ridurre le emissioni senza mettere dei tetti e senza aumentare la tassazione per chi inquina? Abbassare il prezzo delle energie rinnovabili e ridurre le tasse per chi inquina meno. Queste sono, in sintesi, alcune delle proposte in fase di elaborazione.
Uno degli argomenti su cui alcuni governatori repubblicani – tra cui Ron DeSantis, governatore della Florida, e Doug Ducey dell’Arizona – hanno iniziato ad intervenire concretamente è l’acqua, il cui inquinamento in alcune aree mette a rischio la salute pubblica, un problema che non è può essere ignorato soprattutto dalle amministrazioni locali.
Lentamente, quindi, il numero di politici e parlamentari repubblicani che si interessano ai temi ambientali sembra aumentare; tra questi John Curtis, deputato dello Utah il quale, assieme ad altri tre congressmen del GOP, ha dato vita al Conservative Climate Caucus, lanciando una sfida al suo stesso partito: se si parla di clima i repubblicani devono essere al tavolo, altrimenti rischiano di perdere ulteriore terreno tra l’elettorato più giovane. I democratici li accusano di fare greenwashing, ma solo col tempo sapremo se questa avanguardia repubblicana sia solo uno spin off di partito - talvolta creati ad hoc per rispondere a un’esigenza di differenziazione e allargamento del consenso - oppure se davvero stiano giocando sul serio.
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