A New York non c’è tempo per le elezioni – o mi sbaglio?
Camminando per le strade sembra che nessuno abbia il tempo per fermarsi a riflettere sulla politica. Ma questo non significa che i newyorkesi non pensino alle elezioni imminenti. Me ne parla R.H.
Quando sono arrivata a New York con l’idea di scrivere sulle opinioni politiche dei suoi abitanti, pensavo sarebbe stato semplice. Ero convinta che fermando qualcuno per strada con qualche domanda avrei ottenuto risposte, specialmente dai giovani della mia età o poco più grandi, ormai abituati all'interazione con i tiktoker e gli youtuber che oggi trasformano le strade trafficate in set per i loro contenuti.
La mia “zona di caccia” preferita è la metropolitana. Sulle banchine, newyorkesi di tutte le età aspettano il treno per le loro destinazioni. Mentre attendono, mi apposto dietro di loro, pronta a sfoderare un sorriso, un «excuse me» e a presentarmi. Eppure, bastano pochi istanti per capire che sto per fare una mossa azzardata. I newyorkesi in attesa del treno non sono mai semplicemente in attesa: molti hanno le cuffie nelle orecchie, parlano al telefono, guardano nervosamente l’orologio o camminano avanti e indietro, mormorando qualche insulto contro l’MTA, l’azienda dei trasporti pubblici. Così, piano piano, mi tiro indietro e abbandono l’idea. Mi chiedo perché una folla così indaffarata dovrebbe regalare anche solo un minuto a una straniera che fa domande di politica, senza nulla in cambio, per di più. E poi, se i newyorkesi non si fermano mai, avranno il tempo per riflettere davvero sulla politica? Una mia cara amica, in effetti, mi faceva notare che in città sembra mancare il clima elettorale: ci aspettavamo più pubblicità sui candidati, simboli di appartenenza politica esposti nelle case o stand nelle piazze per invitare a votare. Nulla di tutto questo, però. Quanto interessa davvero alla gente l’imminente elezione?
Ho posto la stessa domanda a R.H., una persona della mia comunità, nata e cresciuta a New York. Mi siedo su una poltrona nell’atrio della mia residenza, le mani intrecciate in grembo in un gesto riflessivo. «Ciao, essere umano», è il saluto di R.H, accompagnato da un sorriso. Sorrido anche io: lo stile di R.H. è iconico e le nostre conversazioni mi mettono pace. Anche questa non fa eccezione.
«Ti ricordi che sto lavorando a una rubrica per le Presidenziali?», chiedo.
«Italia!», esclama R.H., indicandomi con un dito.
«Esatto», rispondo. R.H. lavora con molti studenti e mi fa piacere che si ricordi delle mie origini. «Dimmi, voi newyorkesi trovate il tempo per la politica?».
R.H. mi guarda in modo perplesso, come se avessi chiesto un’ovvietà o detto una scemenza. «Ma certo che sì!», risponde con sicurezza.
A questo punto, sento il bisogno di spiegare meglio il senso della mia domanda. Condivido la mia esperienza nell’interagire con le persone per le strade – o, meglio, la mia incapacità nel farlo – e come abbia portato a pensare che, in una città dove sembra non esserci mai un attimo di calma, forse non ci sono neanche molte occasioni per la riflessione politica.
R.H. ridacchia: «Ma certo che ci si pensa, a queste cose!». Racconta che la moglie è un architetto molto impegnato e, nonostante ciò, lei e i suoi colleghi trovano sempre il tempo per scambiarsi idee sulle elezioni. «Sono conversazioni di routine», prosegue R.H., «e, se dovessi tirare a indovinare, scommetterei che almeno metà degli otto milioni di abitanti di New York fa lo stesso».
Ma allora perché, mi domando, in strada avverto tanto disinteresse?
«Beh, quando passeggio su Bedford Avenue e qualcuno tenta di fermarmi – di solito per campagne di beneficenza o simili – dico immediatamente di no e vado avanti».
La risposta mi lascia un po’ perplessa, ma R.H. prosegue: «Questo però non significa nulla. A volte le persone hanno bisogno di un incentivo. Molti reagiscono diversamente se vedono un microfono, una telecamera o un cartellino con scritto “stampa”». Mi chiede se io abbia qualcuno di questi oggetti, e, arrossendo, rispondo di no.
«Oh beh», continua, «forse avresti più fortuna a McCarren Park. Sai che questa settimana c’è il voto anticipato? Molti vanno a McCarren Park per votare». Negli Stati Uniti, il voto anticipato permette agli elettori di esprimere la loro preferenza prima del giorno delle elezioni, in aree pubbliche come parchi, scuole e palestre, o per posta, per facilitare l’accesso al voto e ridurre l’affluenza nell’election day.
Probabilmente, i newyorkesi che si ritrovano a McCarren Park per votare saranno più disposti a scambiare qualche parola con me. Almeno, è quello che spero.