A lezione da Abigail Spanberger
Dal settimo distretto alla Governor's Mansion, la nuova governatrice della Virginia ha riscritto il vocabolario del pragmatismo democratico.

Negli ultimi giorni, dopo la brillante vittoria che ha portato Abigail Spanberger a diventare la prima governatrice nella storia della Virginia, è stato utile guardarsi indietro cercando di scorgere una traccia che permetta di comprendere a fondo questa tornata elettorale, che suona forti campanelli d’allarme per Donald Trump.
Era il 2018, e per il blog del Cispea (C’era una volta l’America), chi scrive raccontava una storia inedita sul settimo distretto elettorale del vecchio Commonwealth della Virginia. Per chi è appassionato di storia americana, questo fu per 14 anni (2000-2014) il collegio di Eric Cantor, il capogruppo repubblicano di maggioranza alla camera quando John Boehner era Speaker. Conservatore, da sempre un campione dello small government e della responsabilità fiscale, Cantor aveva sempre evitato riferimenti al conservatorismo sociale che rappresentava l’ala radicale del partito. Era una delle nuove leve del Partito Repubblicano, un probabile futuro candidato presidenziale. Tuttavia, nel 2014 un insospettabile avversario lo sfida alle primarie, un politico molto vicino ai temi del cosiddetto Tea Party (pur non facendone ufficialmente parte): si chiama David Alan Brat. Questo candidato, sottovalutato da stampa e Cantor, fa suoi i temi cari all’ala radicale; tra questi, la campagna feroce contro l’Obamacare. Brat fa una campagna contro la “palude di Washington”. Denuncia lo scisma tra la base repubblicana di contee come Chesterfield, Culpeper, Spotsylvania (sobborghi di Richmond e Washington D.C.) e l’ala moderata pro-business del partito, e contesta il pragmatismo di Cantor, percepito come distante dagli elettori.
Brat vinse sorprendentemente alle primarie del 2014 contro colui che già era in lizza per il posto di Speaker della Camera. E, come lui, tanti i candidati che vinsero le primarie repubblicane contro dei moderati in distretti suburbani. Era un segnale. Per il partito l’opposizione a Obamacare era un argomento che galvanizzava molto la base. Come non bastasse, dietro la candidatura di Dave Brat si nascondeva un allora sconosciuto Steve Bannon. L’anno dopo, quest’ultimo individuò lo stesso potenziale che aveva visto in Brat in un altro candidato: Donald J. Trump, che vinse infatti il settimo distretto di 6 punti nel 2016.
Parallelamente, un’altra storia cambia le carte in tavola. Geograficamente il settimo distretto si estende dai sobborghi meridionali di Washington D.C., come Culpeper e Stafford, a quelli occidentali di Richmond, Chesterfield ed Henrico. Le contee suburbane del distretto hanno accolto sempre più persone in fuga dai prezzi alle stelle della capitale federale: elettori istruiti, afroamericani, ispanici, molte donne laureate e famiglie, spaventate da Trump e dalla sua retorica radicale su immigrazione e sanità. Avevano negli anni beneficiato dell’Affordable Care Act e nel 2018 vedevano nella svolta a destra del Partito Repubblicano una minaccia.
Il Richmond Times Dispatch raccontava di donne che contestavano Dave Brat nei comizi, mentre lui non riusciva più a contenere l’onda di malcontento. Una di loro, allora membro del Virginia Fair Housing Board e attiva nei democratici locali, decise di dare voce a quel movimento: Abigail Spanberger. Ex Cia, nata in Virginia, trasferitasi nel 2014 a Henrico County con marito e tre figlie, si presentò come alternativa moderata al trumpismo, puntando su un tema concreto come la sanità. Divenne subito bersaglio dei repubblicani, che tentarono di ridurne l’appeal presso l’elettorato conservatore già vicino a Eric Cantor. Brat la definiva “city liberal” e “Nancy Pelosi Jr.”. Lei rispondeva prendendo le distanze dalla leadership democratica, esprimendo dubbi sul “single payer” e ribadendo di non essere “né Pelosi, né Obama”.
Il 6 novembre 2018 quello del settimo distretto fu l’ultimo risultato annunciato in Virginia: il conteggio dei voti nella contea di Chesterfield, l’area più mutata demograficamente, andò a rilento. Ma fu proprio Chesterfield a costare il seggio a Brat. Nel 2014 aveva vinto chi voleva abolire Obamacare; nel 2018 vinse chi prometteva di proteggerlo.
Spanberger non fu sola. La blue wave del 2018 aprì le porte a una generazione di democratici emersa come risposta moderata al trumpismo, in un periodo in cui il Partito Democratico – galvanizzato dalle vittorie elettorali sia al Congresso che poi nel 2020 alla Casa Bianca – appariva sempre più spinto verso la radicalità sui temi sociali. Insieme a Mikie Sherrill (ex pilota della Marina), Elissa Slotkin (ex analista Cia e funzionaria del Pentagono), Jason Crow (ex Ranger dell’esercito), Seth Moulton (Marine) e Chrissy Houlahan (Air Force), Spanberger ha formato un gruppo informale noto come Service Democrats o Mod Squad. Il gruppo aveva vinto in distretti contesi, spesso repubblicani, grazie a un messaggio centrato su competenza, moderazione e l’ideale del servizio pubblico (in Virginia vivono quasi 150.000 dipendenti federali, un record nazionale). La loro esperienza in ambiti come intelligence, difesa e diplomazia offre un contrasto diretto con la retorica antistituzionale del trumpismo, senza essere associata alla radicalità di realtà legate ai campus e alle metropoli costiere, promettendo di restituire il valore del patriottismo all’armamentario retorico del Partito Democratico.
Come ha infatti osservato Anne Applebaum, rappresentano l’“avanguardia patriottica” del Partito Democratico: meno visibili dei membri della più famosa Squad, ma più influenti nel costruire coalizioni trasversali. I Service Democrats si sono nel tempo distinti per il rifiuto di slogan polarizzanti e confusi come “defund the police” e per una comunicazione orientata ai problemi concreti. Spanberger stessa, dopo le elezioni del 2020, ammonì il partito: “Non usiamo mai più la parola ‘socialismo’”. Sapeva che, se il Partito Democratico avesse avuto intenzione di continuare a vincere, avrebbe dovuto prendere ispirazione dalla tornata che li aveva portati al Congresso; quando cioè il partito aveva trovato nei distretti suburbani una nuova base capace di compensare l’avanzata repubblicana tra gli elettori bianchi. Nel 2018, il tema che plasmò la coalizione che poi portò Biden alla Casa Bianca due anni dopo era la sanità. Nel 2025, dopo il caos politico dell’anno prima che è costato ai democratici entrambe le camere e ha regalato la presidenza di nuovo a Trump, il tema è il carovita. Un argomento che dazi, prezzi alti e shutdown, tra tagli a buoni pasto e alla sanità, il presidente ha ampiamente regalato ai democratici dopo aver vinto le presidenziali su inflazione e immigrazione.
Spanberger candidata a governatrice è il prodotto di questa storia. In un contesto nazionale segnato dalla polarizzazione e dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, Spanberger ha scelto una strategia cauta, moderata e fortemente istituzionale, in linea con il profilo della service mum che l’aveva portata a vincere il settimo distretto, incentrata attorno a temi concreti che la mettessero in sintonia con i suoi elettori: sicurezza, economia, e istruzione. Ha evitato la retorica incendiaria, preferendo un tono sobrio e orientato alla risoluzione dei problemi. Come ha scritto Larry Sabato, la sua candidatura incarnava un nuovo brand in Stati che più avevano allarmato il partito gli anni prima (nel 2021 era diventato governatore della Virginia il repubblicano Glenn Youngkin): moderato sui temi sociali, con esperienza in sicurezza nazionale e focalizzato su aspetti concreti dell’azione di governo più che sull’ideologia. Lo si è visto quando sono arrivate domande sul tema dei diritti delle persone transgender. Durante i dibattiti, Spanberger ha evitato risposte nette, preferendo delegare la gestione di queste questioni alle comunità locali, ai genitori e agli insegnanti. Questa posizione, seppur criticata da pezzi di attivismo e presa in giro dai repubblicani, ha rafforzato la sua immagine di pragmatica attenta alla sicurezza scolastica e capace di non farsi trascinare in dibattiti stantii.
La sua avversaria repubblicana, Winsome Sears, ha cercato di mobilitare l’elettorato conservatore su temi culturali e identitari, ma Spanberger ha beneficiato del malcontento verso le politiche federali, in particolare tra i 147.000 dipendenti pubblici federali della Virginia, colpiti da tagli e minacce di licenziamento. La campagna è stata sicuramente un banco di prova per il futuro del Partito Democratico. Dopo la sconfitta presidenziale del 2024 e il calo di consensi tra giovani, latini e indipendenti, allontanatisi da un partito visto come ideologicamente assente, Spanberger ha cercato, con successo, di ricostruire la coalizione vincente del 2018 nei sobborghi e in contee date da tempo per perse, come Spotsylvania, di nuovo blu per la prima volta dal 1985. La sua appartenenza alla Mod Squad, insieme a Mikie Sherrill, Elissa Slotkin e altri, ha rafforzato il messaggio di competenza e servizio pubblico efficace di fronte al caos del trumpismo.
La sua vittoria netta ha dimostrato che questo tipo di pragmatismo può ancora vincere contro un GOP vincolato al destino della sempre più impopolare amministrazione Trump, soprattutto negli Stati chiave dove il marchio democratico era più in crisi, aprendo ai democratici un possibile percorso per la riconquista della Camera nel 2026 attraverso distretti suburbani in cui Harris ha perso la presidenza l’anno scorso.
Non una chiamata alla moderazione per il Partito Democratico, ma un ritorno a un approccio da coalizione, in modo da essere ciò che gli elettori hanno bisogno nei luoghi dove ne hanno bisogno. Un partito in cui possano convivere Mamdani e Spanberger senza litmus test e crociate ideologiche, in nome dell’affodarbility, sia declinato in termini di giustizia sociale, sia in quelli della battaglia antiburocratica dell’agenda Abundance. Un partito che insomma decide di vincere.


