A Farewell to Arms: il discorso alla nazione di Biden
Solo quattro mesi sono passati dal discorso sullo Stato dell’Unione: cambia il vigore, ma non la solennità nel rivolgersi all’America unita
Il primo piano seduto alla scrivania dello Studio Ovale, circondato da istantanee di affetti: Jill, la famiglia, il figlio in spalla. Pochi minuti – forse una decina – durante i quali è difficile non percepire la presenza ingombrante del testo che scorre davanti ai suoi occhi.
Il presidente Biden non è più visibilmente lo stesso che soli quattro mesi fa si rivolgeva al mondo intero con un potente discorso sullo Stato dell’Unione – o meglio, a cambiare più di tutto è lo stato fisico, rendendo evidente l’impossibilità (amara e difficilmente abbracciata) di un secondo mandato.
Immutato rimane, però, lo spirito del presidente, la solennità delle parole minuziosamente selezionate nel rivolgersi alla nazione e la statura da veterano della politica statunitense. Biden decide di essere per una manciata di minuti, e per l’ultima volta, padre degli Stati Uniti d’America. Come tale, responsabilizza i propri figli e comprende quando lasciarli andare lungo il cammino dell’autodeterminazione, non senza profondersi in moniti sul futuro.
Il tema principale del suo discorso, infatti, è il concetto di attacco alla democrazia e cosa comporterebbe – seppur senza mai menzionarlo esplicitamente – un secondo mandato di Donald Trump per il Paese. In una nazione di «dreamers and doers» tutto ruota attorno al potere del popolo (quel costituzionalmente sacro «We The People») di votare e di scegliere. Una azione apparentemente semplice, ma capace di modificare radicale il destino di una nazione che ha già – come dice saggiamente il presidente – vissuto sulla propria pelle il «peggior attacco alla democrazia dai tempi della guerra civile».
È per questo che il presidente dai grandi risultati, che ha lavorato nel nome dei diritti civili, per abbassare gli onerosi costi di vita affrontati dalle working families, protagonista della Bidenomics, ha deciso che è arrivato il momento di farsi da parte e di lasciare la campagna per una presidenza democratica nelle mani della sua vice Kamala Harris: perché ha compreso che la sua figura e le sue ambizioni personali non possono più ostacolare la difesa della democrazia.
È arrivato il momento di lasciare spazio a nuove voci americane, lontane dal profilo dittatoriale che Trump riporterebbe al 1600 di Pennsylvania Avenue. Non prima, però, di dedicare i prossimi cento giorni ad alcuni obiettivi fondamentali per una presidenza che si appresta a diventare unhinged. Ecco, quindi, che chiudendo il discorso, Biden snocciola i suoi prossimi passi: dalla lotta al cambiamento climatico alla violenza armata, passando per lo scontro con Putin e la promessa di fare tutto ciò che è nelle sue mani per portare pace e sicurezza in Medio Oriente. Al centro di tutto, però, la cruciale riforma della Corte Suprema, ormai passaggio obbligato per proteggere la sacra democrazia americana.
Chiudendo il discorso, Biden saluta le truppe, come un vero veterano della politica prossimo ad accomiatarsi dai suoi soldati. Consapevole di dover tornare a casa, dove verrà accolto dal calore di chi lo rassicurava alle sue spalle in questo difficile addio.