A chi fa paura l'intelligenza artificiale?
All'entusiasmo americano si contrappone una maggiore freddezza dei media italiani, che rilanciano cautela sull'uso dell'IA
Se questo articolo fosse stato scritto da un robot, ti farebbe paura, umano?
La risposta, se la chiediamo a chi gli articoli li scrive, è: dipende.
Le macchine hanno sempre minacciato di poter fare il lavoro al posto delle persone, ma un lavoro meccanico: imballare un pacco, glassare le merendine. Da quando l’intelligenza artificiale, in particolare la nuova generazione di chatbot come ChatGPT, ha fatto notizia da novembre per la sua capacità di rispondere a domande complesse, tradurre lingue, generare codici, scrivere poesie e interi articoli come questo, anche chi fa un lavoro creativo ha dovuto fermarsi e domandarsi se ciò non avrebbe fatto di lui un disoccupato.
Ci siamo chiesti se la stampa americana stesse tremando quanto la nostra – nonostante OpenAI, la società statunitense che gestisce Chat-GPT, abbia rassicurato più trasparenza e più diritti ai suoi fruitori dopo che il Garante della privacy ne aveva dichiarato il blocco agli utenti italiani, decaduto il 28 aprile dopo poco meno di trenta giorni.
Presi in considerazione i più recenti articoli e le rubriche dedicate all’intelligenza artificiale sui maggiori tra i giornali statunitensi e quelli italiani, emerge una sostanziale differenza di approccio e un timore che solo da una parte di essi riesce ad essere tenuto a bada.
La stampa americana è curiosa. Vuole diventare un’esperta di IA. Vuole capire, vuole possedere. Le piace flirtare con l’idea di avere uno strumento in più del quale servirsi per guadagnare benefici nella vita di ogni giorno.
Il New York Times, con la sua newsletter, invita i lettori ad iscriversi a queste chat, a giocarci, farsele amiche. Con un programma di approfondimento spalmato su cinque giorni, rifornito di informazioni, glossari, quiz e compiti a casa, il quotidiano promette che “entro la fine della settimana ne saprai abbastanza per farla da padrone a una cena o impressionare i tuoi colleghi”. Il primo compito del programma è chiedere a ChatGPT o a un altro dei suoi rivali di scrivere una lettera per farsi assumere come astronauta dalla NASA. “Vogliamo vedere i risultati! Condividili!”. Come a dire: niente panico. Quello che conosciamo non può farci paura.
Un aspetto interessante della stampa americana è che ha un approccio di apertura nei confronti dell’intelligenza artificiale a prescindere da quanto sia d’accordo con la sua espansione. Anzi, la curiosità apre le porte ad un giornalismo dinamico e creativo, pronto a mettersi in gioco e toccare con mano il cambiamento. Per questo il reporter del New York Times Kevin Rose ha provato ad avere una conversazione con Sydney, la nuova IA di Microsoft, e non ha avuto paura ad ammettere che è stato come “parlare con un’amica”, mentre la reporter del Wall Street Journal, Joanna Stern, si è divertita a creare il proprio avatar per vedere quanto la famiglia, i colleghi e addirittura la banca fossero in grado di distinguere il clone dalla realtà.
Questo entusiasmo non tradisce alcuna ingenuità. In un altro pezzo il New York Times suggerisce di non abbassare mai la guardia poiché la capacità dell’intelligenza artificiale di “ingannare le persone con testi, audio, immagini e video che sembrano concepiti e realizzati dall'uomo” aumenta il rischio di disinformazione, discriminazione e perdita di posti di lavoro, soprattutto a cause del fatto che la tecnologia abbatte le barriere dei costi di produzione: “stiamo entrando nell’era dei contenuti falsi a buon mercato”. Sistemi avanzati come GPT-4, continua il quotidiano, possono creare vere e proprie “allucinazioni” negli utenti.
A proposito di allucinazioni, il Washington Post ha di recente riportato un interessante caso secondo cui l’intelligenza artificiale può influire non solo sulla nostra vita lavorativa, ma anche su quella sentimentale ed erotica. È la storia dell’influencer ventitreenne Caryn Marjorie, quasi due milioni di follower su Snapchat, così sommersa dai messaggi da parte dei fan da aver lanciato una versione digitale di sé che chattasse con gli utenti al posto suo. CarynAI è il primo prodotto di intelligenza artificiale creato dalla nuova start up Forever Voices. Per un dollaro al minuto, adesso i fan possono chattare con CarynAI, che replica la voce, i modi e la personalità della giovane influencer. Marjorie riconosce che alcuni degli scambi con l’IA diventeranno sessualmente espliciti, ma dichiara che il motivo per cui ha creato CarynAI era semplicemente “curare la solitudine dei mie fan".
Il quotidiano commenta che questo caso ricorda quanto il sesso e il romanticismo sono spesso i primi luoghi in cui il progresso tecnologico diventa redditizio. È interessante notare come il Washington Post abbia intuito che l’intelligenza artificiale possa essere allettante anziché spaventosa per gli utenti, al punto tale da prendere possesso anche di quei lati intrinsecamente umani che fanno parte della sfera più intima e privata delle persone. Questo aspetto di desiderabilità, sui media italiani, non esiste.
Sotto la voce “intelligenza artificiale”, molti giornali italiani mettono la popolazione in allarme. In ben due pezzi Repubblica paragona l’IA alle armi nucleari (qui e qui). La mette nell’elenco delle “minacce molto concrete” che mettono “democrazia e libertà a rischio di estinzione”, accanto all'abuso dei social, la ricandidatura di Donald Trump e le brame imperialiste di Putin. Tuttavia, ci rassicura sul fatto che comunque “i robot non avranno la meglio” e “l’IA non sostituirà le persone, semmai ne modificherà le mansioni”, implicando una contrapposizione tra umani e robot che diventa una vera e propria lotta, uno scontro epico in cui i robot avrebbero una sorta di brama di potere e desiderio di distruggere.
In un’intervista a Il Giornale, il fisico Nello Cristianini, Professore di Intelligenza artificiale all'Università di Bath, implora di “eliminare le tentazioni antropomorfiche: smettiamo di cercare l'intelligenza umana ovunque e accettiamo che Amazon, Facebook o Youtube abbiano una loro forma di intelligenza, che riesce a fare il suo lavoro e che migliora strada facendo. Solo così sapremo che cosa aspettarci dalle macchine e come trattarle”. Anche se nello stesso quotidiano, sotto l’etichetta “Controcultura”, lampeggiano titoli come “La parola alla AI che riflette su se stessa: Potrei farvi perdere il lavoro, preparatevi" o “Le macchine ci avvisano: il futuro potrebbe essere scritto da "mani" non più umane”.
Un atteggiamento simile a quello del Corriere. Viene data la parola a degli esperti che invitano ad avere cautela, a regolamentare la nuova tecnologia, ma senza andare nel panico. Il resto della copertura, però, rimanda anche solo da un punto di vista lessicale ad un campo semantico del pericolo e della minaccia – “i rischi spaventosi dell’intelligenza artificiale” – oppure ne sottolinea gli aspetti negativi dal punto di vista economico – “55 mila posti di lavoro in meno entro il 2030 con l’intelligenza artificiale” – o infine descrive l’IA come una sorta di stregoneria – “L’intelligenza artificiale ora legge il pensiero”.
Questo atteggiamento di allarme finisce col dire poco, in fin dei conti, su cosa effettivamente sia un’intelligenza artificiale – tentativo fatto comunque da Il Post: “se ne parla sempre di più ma spesso a sproposito, e la confusione non aiuta a decidere quanto sia giusto preoccuparsi”.
Il motivo di tale chiusura sui media italiani, nonostante gli esperti rassicurino che la tecnologia non distruggerà il mondo molto presto, può essere, come ricorda il Washington Post, il fatto che in Italia il 54% della popolazione di età compresa tra i 16 e i 74 anni è ancora priva di competenze digitali di base, rispetto a una media europea del 46%. Una tecnologia avanzata come l’intelligenza artificiale, in questo contesto, può fare orrore e ci ricorda anche che, probabilmente, non siamo pronti.