9/11 Memorial | Mostrare l'orrore del Falling Man?
L’estetica perfetta di un uomo che cade. Ma è giusto che un’immagine di guerra sia così bella da volerla appendere in salotto?
This is the picture in the light it is presented to my mind; now let me have it in yours. If we do not concur this year, we shall the next: or if not then, in a year or two more.
Lettera a Ann Willing Bingham, 7 febbraio 1787
Cari lettori,
Siamo giunti all'ultima tappa di questo viaggio nel ventennale dell'11 settembre. Siamo giunti al momento di una riflessione finale su ciò che è stato per noi quell'evento. Cosa ci è rimasto? Un'immagine. Nessuna più del Falling Man, dell'uomo che cade, ha segnato la coscienza collettiva.
La nostra Chiara Piotto ci invita a riflettere sulla bellezza delle immagini, che possono avere un effetto non voluto, ma al quale bisogna fare attenzione. Quale? Lo leggiamo qui sotto.
Buona lettura! Grazie per averci accompagnato fin qui.
Matteo e il team di Jefferson
Ho avuto una discussione su questa immagine proprio alcuni giorni fa. In un’intervista rilasciata anni dopo l’11 settembre, il fotografo che l’ha scattata – Richard Drew dell’Associated Press – sottolineava di non essersi pentito di averla scattata.
«Non mi aspetto che si penta» dicevo io alla persona con cui stavo guardando l’intervista, «ma resta un’immagine di una bellezza indecente». L’altra persona non era d’accordo con me: era convinta che proprio la bellezza la rendesse più efficace.
Partiamo da qui: The Falling Man è una foto perfetta. È il condannato che solca il terreno tra la vita e la morte, l’uomo occidentale che taglia la striscia della storia tra il prima e il dopo l’11/09, il simbolo che rappresenta migliaia di vite perdute. Ma è troppo perfetta, dico io.
La sagoma elegante tuffata a testa in giù – scatto selezionato tra molteplici realizzati dal fotografo durante quella caduta – è senza tempo. Talmente equilibrata da sembrare astratta, geometrica, attraente. La stamperesti per appenderla in salotto.
Una foto di guerra deve essere bella?
La domanda è da etica della fotografia: è giusto che un’immagine di guerra sia così bella da volerla appendere in salotto? La perfezione estetica ne potenzia il fine di testimonianza e monito o semmai la svilisce e svuota di significato?
Di certo The Falling Man rientra a pieno titolo tra le immagini più celebri e diffuse della storia. È stata utilizzata su riviste, copertine di libri, poster, criticata da chi la trova “disturbante”, studiata al millesimo di centimetro per riuscirne a riconoscere il protagonista (mai identificato con certezza). Le sono stati dedicati un documentario (diretto da Henry Singer) e un libro (scritto da Don DeLillo) omonimi.
Immagini che diventano classici
Proprio di recente lo scatto ha avuto un nuovo momento di popolarità, quando è stato paragonato all’immagine di un altro uomo che cade, quella di un cittadino afghano in fuga da Kabul dopo la presa del potere da parte dei Talebani in Afghanistan.
The Falling Man dunque è diventata un modello fotografico, come i classici: precedente che facilita la lettura, la decodificazione e la memorizzazione di nuovi tasselli storici. E proprio come i classici, più viene citata più diventa universale e senza tempo.
Ecco perché rimango della mia idea: The Falling Man è troppo perfetta per rappresentare lo strazio delle Torri Gemelle. Preferisco che l’immagine rappresentativa di quel momento sia più “sporca”, fuori fuoco e piena di fumo.
Mi permetto di suggerire un’alternativa in questo scatto di un reporter della Reuters, Jeff Christensen. Di certo è disturbante, ma non è perfetta. E tu? Che cosa sceglieresti?