#7 Brainstorm - Il confronto tra Vance e Walz
Il dibattito dei due vice Presidenti secondo Vittoria Costanza Loffi, Matteo Muzio, Laura Gaspari e Giacomo Stiffan
Perché guardare gli Stati Uniti dal buco della serratura? Quando serve una chiave di lettura la trovi su Brainstorm, la rubrica di Jefferson – Lettere sull’America che raccoglie le opinioni della redazione sui fatti americani. A cura del vicedirettore Giacomo Stiffan.
Di solito il dibattito tra i vicepresidenti è un evento secondario e poco seguito. Questa volta, invece, è l'ultimo prima del voto, e c'erano grandi aspettative. Com'è andato? Quali saranno le conseguenze?
Lo scopriamo nelle opinioni di Vittoria Costanza Loffi, Matteo Muzio, Laura Gaspari e Giacomo Stiffan.
«Durante il dibattito, in ogni singolo stato americano, il tema più ricercato è diventato l’aborto»
di Vittoria Costanza Loffi
Tra gli aspetti più interessanti di un dibattito vi sono sicuramente le analisi del giorno dopo che, anche in occasione del confronto tra Walz e Vance sono fiottate da ogni dove. Tra i dati più curiosi, forse, quello sottolineato da Google Trends secondo cui, durante il dibattito, in ogni singolo stato americano, il tema più ricercato è diventato l’aborto. Gli abitanti di 50/50 Stati hanno cercato di informarsi sulla tematica, soprattutto per quanto concerne le leggi vigenti nello stato del Governatore Walz, il Minnesota, in seguito alle pressapochiste affermazioni di Vance sulla norma attualmente valida nello Stato del Midwest. Un botta e risposta in cui entrambi i candidati hanno giocato quella che il partito di riferimento ritiene la propria strategia vincente rendendo difficile l’effettiva designazione di un vincitore. Walz non ha parlato di policy specifiche o di come si intende raggiungere l’obiettivo di “restoring Roe” – che forse sarebbe tanto meglio superare. Quello che ha portato nelle case degli americani sono storie e vissuti tragici capaci di trasmettere cosa ha significato la rimozione di una tutela federale al diritto all’aborto: fidarsi delle donne come unico faro politico. Vance, invece, in occasione del dibattito ha abbandonato le proprie idee abbracciando in definitiva la storia del Partito Repubblicano dagli anni Ottanta in poi, una tradizione di intrecci con i conservatori giudiziari e di battaglie condotte in nome del diritto degli stati ad autodeterminarsi contro un governo federale centralizzato e “assolutista”. E ora? Entrambi i candidati non hanno giocato lanciando il cuore oltre l’ostacolo: Vance ha probabilmente scontentato elettori più pro-life, recuperando una linea più tradizionalista, mentre Walz è risultato efficace, realistico (perché il rischio di morte per complicazioni legate a interruzioni di gravidanza negate sono una tragica realtà), ma forse poco propositivo e coraggioso rispetto a un tema molto sentito e per cui anche il fronte pro-choice chiede risposte chiare.
«Attenzione ad attribuire solo a Trump tutti i mali della velenosa retorica politica odierna»
di Matteo Muzio
Il confronto tra J.D. Vance e Tim Walz è stato indubbiamente interessante per gli addetti ai lavori e i nerd della politica, ma quante persone ha influenzato? Probabilmente nessuna. La grande pacatezza e il rispetto reciproco tra i due è stato letto in diversi modi, ma in nessun caso farà la differenza. Se non in un punto: un’altra politica è dunque possibile? Forse sì, ma forse anche no. Le reciproche frecciatine e colpi bassi tra i due candidati sui social delle settimane precedenti restano e ci ricordiamo anche le reciproche accuse sulla qualità del servizio militare svolto da entrambi. L’attacco personale è una cifra della politica americana sin dalla campagna del 1800 che vedeva contrapposti John Adams e Thomas Jefferson, figurarsi oggi con un forte deterioramento della classe politica specie dal lato repubblicano. D’altro canto, però, fa venire un dubbio: se a novembre Trump dovesse venire sconfitto e la sua parabola politica terminasse quest’anno, nel futuro anche i suoi eredi passerebbero a difendere le idee e userebbero toni più civili. Si può proprio dire che una rondine non fa primavera: prima della definitiva riaffermazione di Trump nelle primarie di inizio 2024, si è pensato che lo potesse sostituire Ron DeSantis, il governatore della Florida che ha fatto dello scontro e delle guerre culturali il suo marchio di fabbrica. Quindi attenzione ad attribuire solo a Trump tutti i mali della velenosa retorica politica odierna, non soltanto perché uno dei suo maestri, l’avvocato Roy Cohn, aveva collaborato con il senatore Joe McCarthy, ma anche perché l’oratoria divisiva è un marchio di fabbrica del moderno conservatorismo americano almeno sin dal 1994, da quando Newt Gingrich conquistò la maggioranza alla Camera per la prima volta dopo decenni. Quindi senza questa violenza verbale, cosa resta sotto la coltre repubblicana. Forse troppo poco. E il brand centrista che piace in alcuni ambienti intellettuali non sembra attirare molti consensi presso una base assetata di parole dure e violente.
«Uno scontro pacato, cordiale, istituzionale. Insomma, per gli standard di oggi, assolutamente noioso»
di Laura Gaspari
La notte del dibattito tra Vance e Walz ero pronta a uno scontro epico: mi sono preparata dei popcorn, ho fatto un caffè per stare sveglia, mi sono seduta e con mio grande disappunto (più o meno) ho visto un dibattito che sembrava letteralmente uscito da un passato pre-Trumpiano, uno scontro pacato, cordiale, istituzionale. Insomma, per gli standard di oggi, assolutamente noioso. E ripensandoci devo dire che va bene così. Di stupidaggini, inesattezze e fake news ne sono state dette tante, specialmente da parte di J.D. Vance, ma anche quando i contenuti viravano sul grottesco venivano espressi con un insolito rispetto dell’altro. Cosa che non si vedeva davvero da un po’. Stretta di mano finale compresa e amabile chiacchierata con mogli annesse. Nessuno dei due vice aveva intenzione di perdere le staffe, tranne per una breve querelle di Vance con le giornaliste di CBS su un timido fact checking da parte di quest’ultime. Da una parte l’avvocato scrittore uscito da una Ivy League, assolutamente a suo agio a dibattere e che continua a raccontare la sua storia personale di riscatto. Dall’altra il padre di famiglia, l’uomo buono, il bravo politico locale che ha a cuore la sua gente che è lontana dai corridoi di Washington. Al di là di come si sono posti Vance e Walz, ho trovato tuttavia infelice che le domande non siano state “mischiate”, ma si sia partiti con temi cari al GOP e, solo verso la metà e fine, con temi più Dem. La sanità per esempio che, ormai sto ripetendo alla nausea qui su Jefferson, è uno dei temi chiave di queste elezioni presidenziali, è stata lasciata a metà dibattito, quando probabilmente una bella fetta di pubblico aveva già cambiato canale. Questo forse è anche il motivo per cui Walz sembrava molto in difficoltà all’inizio, salvo riprendersi, specialmente con quel colpo di sciabola ben assestato a Vance, «Donald Trump ha perso le elezioni del 2020?» al quale il Senatore ha non risposto con un «Sono focalizzato sul futuro», calando per un momento la maschera del bravo politico in favore del trumpiano di ferro che non vuole contraddire il suo capo. Sono d’accordo con John Oliver che l’etichetta è un po’ fuori questione, che Vance, nonostante sia parso ripulito (forse nell’immagine) è ancora lo stesso che propaganda idee terribili e false. E in queste elezioni ci sono delle vite umane sul piatto. Anche se di per sé questo dibattito non ha spostato nulla ed è ancora tutto da disputarsi a novembre.
«Molti indecisi hanno comunque una leggera preferenza da una parte e dall'altra. L’effetto di questo confronto è stato quello di confermarla definitivamente»
di Giacomo Stiffan
Mi aspettavo un po' più di pepe, devo essere onesto. Vance, persona capace di lanciare attacchi al vetriolo con sguardo glaciale, ha preferito porsi in maniera più pacata del solito, nel tentativo – riuscito – di dare un framing istituzionale ai classici temi trumpiani. Walz, di converso, credo si fosse preparato per una battaglia col coltello tra i denti, restando spiazzato dal debutto di Vance. Lui, midwestern piuttosto normie, ha faticato a non rispondere alla gentilezza con la gentilezza, anche quando avrebbe dovuto affondare il coltello nel ventre molle del Gop, quando si parlava di aborto. Si è ripreso – molto bene, devo dire – sul finale, quando ha incalzato Vance sul 6 gennaio in maniera efficace, cosa che non era riuscito a fare nel resto della serata. Due momenti sono stati imbarazzanti per Vance: quando ha “fatto l'avvocato” questionando la moderazione in quanto non aveva diritto di fare fact checking – della serie “ho il diritto di mentire e lo sto facendo” – e proprio sul 6 gennaio, quando non ha risposto alle domande. Uno, invece, per Walz, quando si è visibilmente impanicato per aver sostenuto in passato di essere stato in Cina durante gli eventi di Piazza Tienanmen, cosa che è stata scoperta essere non vera, era arrivato in Cina pochi mesi dopo. Una figuraccia, c'è poco da dire. In definitiva sono d'accordo con Matteo, questo confronto non sposta voti. Tuttavia, sedimenta le preferenze parziali. Campioni composti da persone non allineate (qui un esempio per il Washington Post) mostrano che a questo punto gli indecisi hanno comunque una leggera preferenza da una parte e dall'altra. L’effetto di questo confronto è stato quello di confermarla, forse definitivamente, e non è cosa da poco. Nota di demerito alla moderazione della serata: partire con i temi cari ai repubblicani e chiudere con quelli cari ai democratici non è stata una scelta neutrale, considerando che dopo la prima metà del confronto il pubblico cala. Sarebbe stato più professionale alternarli.