#2 Brainstorm - La luna di miele di Kamala Harris
Una rimonta prevedibile, e forse oltre le aspettative. Ne parliamo con Niccolò Martelli, Francesca Torcasio, Emanuele Monaco e Giacomo Bridi
Perché guardare gli Stati Uniti dal buco della serratura? Quando serve una chiave di lettura la trovi su Brainstorm, la rubrica di Jefferson - Lettere sull’America che raccoglie le opinioni della redazione sui fatti americani. A cura del Vicedirettore Giacomo Stiffan.
Quella che ci troviamo a commentare è una campagna elettorale che non c'entra più nulla con quella di poche settimane fa. È cambiato tutto, addirittura uno dei due contendenti. Ed è cambiato il modo di comunicare, che tra Harris e Trump non potrebbe essere più diverso. Kamala vs The Donald, dove in quel “The” di troppo è riassunto un messaggio che entrambi i contendenti vogliono trasmettere: da un lato chi dice "scegliete me perché sono meglio di voi", dall'altra chi dice "scegliete me perché sono come voi".
In questa nuova uscita di Brainstorm parliamo della novità incarnata da Kamala Harris, con le opinioni di Niccolò Martelli, Francesca Torcasio, Emanuele Monaco e Giacomo Bridi.
“Il vero avversario di Harris è il tempo: ha solo poco più di tre mesi per convincere l’elettorato statunitense che è lei il profilo giusto”
di Niccolò Martelli
Un mese fa abbiamo assistito a uno dei peggiori dibattiti presidenziali della storia e a poco più di un mese di distanza è successo di tutto: c’è stato il tentativo di assassinare Donald Trump, Joe Biden ha deciso di rinunciare alla sua candidatura per un secondo mandato da Presidente e Kamala Harris ha ricevuto l’endorsement di Biden e di gran parte del Partito Democratico come candidata del partito alle prossime elezioni presidenziali del 5 novembre. Non c’è ancora nulla di ufficiale, ma se il Presidente stesso e il 96% dei Senatori hanno dato il loro sostegno a Harris… beh, direi che abbiamo una candidata quantomeno “ufficiosa”.
Se è vero che gran parte dei Democratici statunitensi avrebbe votato la salma di Biden prima di assegnare il loro voto a Trump, lo è altrettanto che la candidatura quasi ufficiale di Harris abbia portato freschezza e ottimismo all’interno del Partito Democratico come non accadeva dai tempi di Obama. Nella sua prima settimana da possibile candidata dei Democratici, Harris ha raccolto la cifra record di 200 milioni di dollari. Con Joe Biden in evidente difficoltà a sostenere una rielezione, i donatori Democratici avevano dichiarato che non avrebbero più dato soldi al partito fino a quando il Presidente non avesse lasciato la corsa presidenziale.
Harris ha rivitalizzato un’elezione che sembrava già morta. Lo stesso Trump e i Repubblicani lo sanno, tanto che hanno presentato una denuncia perché convinti che Harris non possa usare gli stessi fondi della campagna elettorale raccolti da Biden. La freschezza e la “novità” di Harris si riscontrano anche sui social media: migliaia di meme circolano su Harris che balla, fa battute, ride. Siamo su un altro livello comunicativo rispetto a un profilo come quello di Biden. Il vero avversario di Harris è il tempo: ha solo poco più di tre mesi per convincere l’elettorato statunitense che è lei il profilo giusto da cui ripartire per segnare un momento di svolta epocale. Sarebbe la prima donna Presidente degli Stati Uniti.
“La Generazione Z sembra si stia radunando attorno a lei perché attratta dalla sua personalità, che rispecchia il loro umorismo”
di Francesca Torcasio
Da quando Kamala Harris è diventata la candidata Democratica a sostituire Joe Biden alla presidenza, internet è esploso di meme che la ritraggono mentre ride, balla e racconta aneddoti bizzarri. Alcuni dei meme più popolari la descrivono come una brat (monella/mocciosa) – un riferimento all'album di successo della popstar Charli XCX –, meme che la Generazione Z deve spiegare ai propri nonni.
Penso che gli spin doctor di Harris siano stati molto veloci (e abili) a sfruttare questo fenomeno online, che ha portato a una nuova ondata di entusiasmo giovanile per il partito, un target che Biden non era riuscito ad accaparrarsi. Infatti, nelle 48 ore successive al ritiro del Presidente dalla corsa, l’organizzazione Vote.org ha registrato 40.000 nuovi elettori, l'83% dei quali di età compresa tra i 18 e i 34 anni.
Non sappiamo ancora se sarà in grado di battere Trump, ma la Generazione Z sembra si stia radunando attorno a lei perché attratta dalla sua personalità, che rispecchia il loro umorismo. Credo che per migliorare ulteriormente questo impatto, dovrebbe puntare su metodi di coinvolgimento ancora più “interattivi” e “autentici”. Questo perché, in quanto io stessa membro della Gen Z, mi sento di affermare che noi giovani siamo molto più attenti alla riscoperta di questi valori rispetto alle generazioni precedenti. Queste strategie potrebbero includere banalmente sia la collaborazione con influencer che godono di un forte seguito tra i giovani elettori, ma anche l'adozione di un linguaggio ancora più semplice, diretto e vicino alle preoccupazioni della Generazione Z.
Complessivamente, l'entusiasmo e la partecipazione alle urne da parte dei nuovi elettori, potrebbero avere un impatto importante. Forse, tra Biden e Trump che giocavano a farsi la guerra, la campagna di Harris – caratterizzata da leggerezza, umorismo e memismo – potrebbe rappresentare la svolta necessaria.
“Che candidata è Harris, che narrazione di sé e degli Stati Uniti propone, chi rappresenta?”
di Emanuele Monaco
Dire che Harris abbia passato una buona settimana è un eufemismo. Il ritiro di Biden in suo favore ha unito il Partito Democratico, energizzato gli attivisti, ispirato i donatori, disorientato la campagna di Trump. Il risultato sono casse piene e sondaggi incoraggianti.
Tutte le anime del partito le hanno una dopo l'altra il loro appoggio, inclusi possibili rivali per la nomination, forse anche sbilanciati dalla valanga di endorsment, fino all’incoronazione finale degli Obama. Ogni sogno/incubo di una convention aperta è svanito di fronte ad un tale sostegno unanime. Tempo per avere dubbi e pensare ad alternative dopotutto non ce n’è, grazie ai mesi rubati dalla testardaggine di Biden e del suo team.
E ora? Riuscirà Harris a capitalizzare questo consenso, spendere bene i soldi ricevuti, resistere agli attacchi di Trump? La domanda, dalla cui risposta scaturiscono tutte le altre, è: che candidata è Harris, che narrazione di sé e degli Stati Uniti propone, chi rappresenta? Il problema della campagna di Trump nel cercare un angolo di attacco è lo stesso che hanno gli elettori nel cercare di capire se votarla: non ha un'identità politica chiara e questo è un grattacapo, ma anche un'opportunità.
C’è l’imbarazzo della scelta. L'approccio duro contro il crimine, che non le portò bene nel 2020, potrebbe avere senso quest'anno contro un candidato condannato. O l'età, che Trump ha voluto fosse centrale quando Biden era candidato. Ora è lui il candidato più anziano della storia, con i suoi discorsi sconclusionati, gli errori, le digressioni su Hannibal Lecter etc. Il tema più importante, però, rimane quello dei diritti delle donne, in particolare quello di terminare una gravidanza. È un tema che unisce il partito, sbilancia i repubblicani e attrae la simpatia dei gruppi demografici che hanno regalato ai democratici le vittorie elettorali degli ultimi anni.
Quale sarà l’approccio e il messaggio della campagna lo sapremo nei prossimi giorni, soprattutto dopo la scelta del candidato vice. L'inizio sarà stato anche incoraggiante, ma per battere Trump servirà che Harris ci dica chi è (oltre che brat) e dove va.
“I Repubblicani si sono trovati d'un tratto all'angolo, passando da avere un candidato di cui si parlava come se avesse già vinto le elezioni, a dover ricalibrare totalmente strategia”
di Giacomo Bridi
È stata un'impressionante successione di eventi, in cui l'attenzione mediatica e l’umore generale dell'elettorato, che sembra sempre chiaro pur nella sua indefinibilità, si sono mossi da un estremo all'altro. Pochi giorni prima i Repubblicani sembravano incontrastabili, grazie a un Trump sopravvissuto all’attentato e grazie all'unità solida del partito in quel teatro dell'orrido (anche estetico) che è stata la convention di Milwaukee, seppur con la sbavatura del discorso sconclusionato di Trump. Poi è arrivato il colpo di scena che ha determinato un cambio di passo totale, da una parte e dall'altra.
Per i Democratici, prima di tutto. Il rapido avvicendarsi di ritiro e endorsement, a eliminare ogni possibile guerra di successione, ha avuto il doppio effetto di unire il partito eliminando il vantaggio Repubblicano sotto questo aspetto, e di dare improvviso vigore a chi temeva un collasso fisico del Presidente, elementi che per questo parevano rassegnati a una sconfitta. Un'euforia, devo dire, che è difficile capire se avrà un effettivo risvolto sulla realtà, ma che domina media, social e partito, dipingendo il Presidente uscente come un vero patriota e la Harris come una specie di nuova Obama, sfruttando i suoi momenti off script come notevole fonte di meme. Interessante anche che dopo il “trauma Hillary” sembri esserci grande cautela a sottolineare l'aspetto trasformativo di avere una donna – nera e asiatica allo stesso tempo – Presidente per la prima volta.
I Repubblicani si sono trovati d'un tratto all'angolo, passando da avere un candidato di cui si parlava come se avesse già vinto le elezioni, a dover ricalibrare totalmente strategia. Da un lato, sono corsi ai ripari intimando ai propri esponenti di evitare a tutti i costi commenti razzisti o sessisti sulla candidata democratica, il che, per inciso, dimostra a che livello siano. Dall'altro, sembrano non riuscire a ritrovare rilevanza in un contesto mediatico mutato, appesantiti da un candidato vice che non smette di rendersi ridicolo tra voci sul suo passato e un'imbarazzante performance retorica. L'apparente rifiuto di Trump a fare un dibattito con Harris, poi, aumenta ancor di più l'impressione che il coltello dalla parte del manico ce l'abbiano i Democratici.
Almeno per ora.