#17 Brainstorm - L'imbarazzante incontro tra Trump e Zelensky, seconda parte
La seconda uscita sulla tesa situazione tra Stati Uniti e Ucraina, nelle opinioni di Antonio Junior Luchini, Emanuele Monaco e Laura Gaspari
Perché guardare gli Stati Uniti dal buco della serratura? Quando serve una chiave di lettura la trovi su Brainstorm, la rubrica di Jefferson che raccoglie le opinioni della redazione sui fatti americani. A cura del vicedirettore Giacomo Stiffan.
Ecco la seconda parte sull’incontro tra Trump e Zelensky nelle opinioni di Antonio Junior Luchini, Emanuele Monaco e Laura Gaspari.
“Se avete una copia cartacea di Elegia americana in casa, potete adoperarla in questi utili modi”
di Antonio Junior Luchini
Il Financial Times ha descritto lo spettacolo orrido del 28 febbraio come un’imboscata. Non servono le ottime fonti del quotidiano britannico per capirlo, basta rivedersi la clip dove il protégé politico del miliardario sudafricano Peter Thiel, noto altresì come JD Vance, provvede a infiammare gli animi del presidente ucraino: prima accusandolo di aver fatto un “propaganda tour” in Pennsylvania a favore dei democratici durante la campagna elettorale del 2024, poi dandogli sostanzialmente dell’ingrato e dell’irrispettoso.
Vance si era già fatto notare alla conferenza di sicurezza di Monaco dello scorso 14 febbraio, dove aveva accusato gli alleati europei di essere caduti vittima della dittatura del politicamente corretto, lamentando la “persecuzione giudiziaria” subita dal candidato presidenziale rumeno Georgescu. Uno a cui hanno letteralmente trovato i rubli in casa, per intenderci. Vance aveva poi terminato la sua tappa europea con un’amichevole visita alla leader del partito neonazista tedesco Alternative für Deutschland.
Mettetevi nei panni di Zelensky: vi bombardano il Paese, vi mandano unità di Specnaz a sfondare i cancelli del palazzo presidenziale per crivellarvi di colpi, subite tre anni della guerra più sanguinosa in Europa dai tempi del nazismo, e ora il vicepresidente del vostro supposto alleato più importante è ‘sta roba qua. È un miracolo che non gli abbia spaccato la faccia in mondovisione.
Zelensky ha avuto l’occasione di dare la sua versione dei fatti poco più tardi su Fox News in un’intervista con il giornalista Bret Baier, considerato uno dei più rispettabili dell’emittente di Murdoch. Ebbene, oltre alla pazienza del leader ucraino mi ha colpito come pure la rete più infima tra i big three del via cavo, casa di mostri quali Bill O’Reilly e Sean Hannity, non sia scesa alle bassezze viste poco prima alla Casa Bianca. Neanche Murdoch riesce a tenere passo alla degenerazione.
Un mio pacato avviso ai lettori: se avete una copia cartacea di Elegia americana in casa, potete adoperarla in questi utili modi. Una volta fatto ciò, comprate Starship Troopers e leggetelo da capo a piede. Servirà capirlo subito, in Europa.
“Stiamo assistendo al caos del mondo delle compravendite immobiliari applicato alle relazioni estere degli Stati Uniti”
di Emanuele Monaco
Se non lo si fosse già capito prima, Zelensky, l’Europa in generale, ha un problema e il disastroso incontro alla Casa Bianca di venerdì lo ha mostrato plasticamente. Trump non è interessato ai punti specifici di un accordo di cessate il fuoco tra la Russia e l’Ucraina, non gli interessano le richieste di Zelensky di garanzie di sicurezza, le ritiene un’inutile perdita di tempo. Trump vuole solo un accordo qualsiasi che lo faccia apparire come il grande negoziatore che crede di essere e lo vuole subito, anche alle condizioni di Putin. Questa è una realtà che molti analisti faticano a digerire.
Ancora oggi ci sono alcuni che cercano di razionalizzare il comportamento mostrato venerdì. Ci sono sicuramente motivazioni nascoste, strategie di negoziato originali, partite a scacchi in 6 dimensioni che ci sfuggono. Dai, per forza, se no come spieghi il fatto che il Presidente, Vice-Presidente, Segretario di Stato degli Stati Uniti abbiano umiliato il capo di stato di un paese alleato, un paese invaso e in guerra, di fronte a esponenti della stampa di stato del paese invasore (ricordiamolo, la TASS c’era e non Associated Press), usando argomenti della propaganda russa, lo abbiano incolpato della guerra e accusato senza motivo di mancare di rispetto?
Alcuni tirano fuori persino il famigerato dialogo tra Meli e Ateniesi raccontato da Tucidide. Qui, parrebbe voler dire la metafora, nel peggiore dei casi sarebbe andato in onda il classico scontro tra realpolitik di bruta potenza e le ragioni di giustizia e di valori condivisi. Trump avrebbe affermato il diritto del più forte a scapito di qualsiasi criterio di equità e etica. L’Ucraina deve arrendersi, cedendo territori che i russi neanche hanno conquistato, senza niente in cambio, contando sul rapporto ambiguo tra Trump e Putin come unica garanzia, oltre a vaghe elucubrazioni sul fatto che consentendo a interessi economici americani di sfruttare in un futuro non determinato il sottosuolo del paese, ciò fungerebbe da semi-deterrente.
La verità mi appare invece più semplice. La prova di teatro di venerdì non è stata qualcosa di pianificato, Trump non sta cercando di rimodellare l’ordine internazionale o di creare una nuova dottrina transazionale delle relazioni estere statunitensi, non stiamo assistendo ad un ritorno alla diplomazia del grosso bastone di Teddy Roosevelt o addirittura della tradizione jacksoniana (andiamo su…). Abbiamo un presidente che ha puntato tutta la sua credibilità, e tutti i suoi sforzi in campagna elettorale, sull’ottenere dal “giorno 1” della presidenza il congelamento del conflitto in Ucraina, dopo che da almeno un anno il partito repubblicano cercava di bloccare o ridimensionare il flusso di aiuti militari al paese. Lui quindi ha bisogno che la faccenda si chiuda e subito, così da non permettere che la cosa definisca il suo primo anno di presidenza come è successo con Biden e l’Afghanistan. Zelensky in questo scenario doveva stare in silenzio, baciare l’anello, firmare l’accordo sulle cosiddette terre rare e annuire di fronte a ogni assurda menzogna, far sentire Trump come il padrone della situazione. Non è andata così e ci si è dati all’improvvisazione. Vance d’altro canto, impegnato a ritagliarsi un ruolo chiave in un’amministrazione in cui si vede oscurato dall’ingombrante presenza di Musk, si è prestato volentieri al gioco del bullo di fronte alle telecamere. Non c’è metodo, non c’è strategia. Stiamo assistendo al caos del mondo delle compravendite immobiliari applicato alle relazioni estere degli Stati Uniti. Esistono le esigenze di politica interna, i ratings, l’umore suscettibile di Trump e le macchinazioni semi-palesi dei vari cortigiani. “This is going to be great television”, sicuro, come un episodio mal scritto di The Sopranos.
“In diplomazia non sei portato a trattare con chi se ne frega”
di Laura Gaspari
Chi ha avuto modo di toccare il mondo della politica estera sa che la diplomazia è croce e delizia: è un terreno scivoloso, ma può portare a risultati straordinari. È un’arte fine, in cui ogni parola ha un peso; è acume politico, prudenza, relazioni personali, strette di mano, simbolismi e ritualità ben precisi.
La diplomazia, soprattutto, non è quello che avete visto lo scorso 28 febbraio. Quello è accerchiamento, umiliazione e show sulla pelle di una nazione alleata intera.
A Trump (e al suo vice Vance) dell’Ucraina e dell’Europa non interessa. Non c’è nessuno schema a scacchi multidimensionali. C’è un uomo molto avido con comportamenti infantili e mafiosi, Presidente della nazione leader del mondo libero per la seconda volta, che quando le cose non vanno come vuole lui sbatte i piedi a terra. A vantaggio però di un uomo molto più furbo di lui, a molti chilometri di distanza e con mire di conquista.
Zelensky era arrivato alla Casa Bianca provato. Non solo l’Ucraina sta difendendo la propria integrità territoriale (che nelle relazioni internazionali è un valore fondamentale) e la propria libertà dall’invasore russo, ma è a baluardo di fronte a tutti noi sul vecchio continente. Zelensky è arrivato anche con l’apertura verso quell’aberrante accordo sui minerali con gli Stati Uniti, pur di avere una garanzia, nonostante gli insulti della settimana precedente che puzzavano di vodka russa. Se all’inizio l’incontro sembrava pacato la situazione è precipitata molto presto, tra la fashion police MAGA del reporter di estrema destra, fino al bullismo di JD Vance, che chiede a Zelensky perché non ha ancora ringraziato (l’ha fatto 33 volte, contate da CNN), e Trump che perde le staffe perché il Presidente ucraino, secondo lui, “non ha le carte e sta scommettendo sulla terza guerra mondiale”.
Zelensky aveva fatto notare che Putin è noto per rompere gli accordi. In diplomazia non sei portato a trattare con chi se ne frega, e ci sono le prove. Le fotografie dei soldati ucraini prigionieri dei russi, non trattati con dignità, quando la Convenzione di Ginevra è chiarissima in questo. Le deportazioni di bambini ucraini in Russia, che è un atto genocida. I massacri di Bucha e Irpin, che forse troppi stanno dimenticando. Le mattanze di Mariupol. I cessate il fuoco violati. Questo è Vladimir Putin.
“Torna quando vuoi la pace” ha detto Trump a Zelensky, definendo quel momento squallido “great television”. Tuttavia, il primo a non volere la pace è proprio il macellaio di Mosca, quello che tiene il filo che esce dalla schiena di Trump e compagnia (e non solo). La storia si è rigirata su sé stessa e da leader del mondo libero ora Trump è una canaglia qualsiasi. Lo è mentre sospende gli aiuti in armamenti all’Ucraina e mentre nega qualsiasi condivisione di intelligence. Mentre l’Europa fa quadrato intorno a Zelensky (con la partecipazione molto timida dell’Italia), mi chiedo: la diplomazia trumpiana è uno show dunque? Bullismo gratuito e non richiesto?
No. La diplomazia di Trump è la grande fragilità di piccoli uomini che preferiscono il caos all’ordine, la cattiveria all’arte del compromesso, la voce grossa invece che la stretta di mano, la guerra sanguinaria al posto di una pace giusta. La parte sbagliata della storia invece che il caposaldo della democrazia.