#14 Brainstorm – Cosa diamine sta combinando Elon Musk?
I ripetuti blitz del gruppo di Elon Musk presso importanti agenzie governative, nelle opinioni di Giacomo Bridi, Pietro Carignani, Vittoria Prestifilippo e Davide Cucchi
Perché guardare gli Stati Uniti dal buco della serratura? Quando serve una chiave di lettura la trovi su Brainstorm, la rubrica di Jefferson che raccoglie le opinioni della redazione sui fatti americani. A cura del vicedirettore Giacomo Stiffan.
Un gruppo di giovanissimi ingegneri legati alle aziende di Elon Musk e Peter Thiel (il miliardario alle spalle del vicepresidente JD Vance), sta passando di agenzia governativa in agenzia governativa. Con la scusa di acquisire dati per realizzare i mastodontici tagli alla spesa pubblica promessi da Trump e Musk, queste persone accedono ai dati personali di milioni di americani e ai sistemi informatici federali senza avere alcun titolo per farlo. I dipendenti governativi che osano applicare i protocolli di sicurezza e si rifiutano di collaborare vengono subito messi in congedo.
Approfondiamo la questione nelle opinioni di Giacomo Bridi, Pietro Carignani, Vittoria Prestifilippo e Davide Cucchi.
“È lo stesso governo a concedere a Musk, un privato cittadino, l’accesso a informazioni riservate”
di Vittoria Prestifilippo
Le mosse di Musk non mi sorprendono affatto per due motivi. Il primo riguarda la sua stessa figura: un pazzo megalomane, imprevedibile, dai tratti maniacali e ossessionato dal controllo, a cui è stato consegnato un nuovo giocattolo con cui divertirsi — un ruolo di influenza, seppur non ufficiale (per ora), all'interno dell'amministrazione Trump. Il secondo motivo è la controversa relazione tra le agenzie federali statunitensi e l’uso dei dati privati, un tema che da tempo solleva interrogativi sulla trasparenza e sulla tutela della privacy (vi ricordate il caso Edward Snowden nel 2013?).
All’epoca Snowden, che lavorava nella National Security Agency (NSA), aveva rivelato alla stampa l’esistenza di programmi di sorveglianza globale gestiti dal governo statunitense con il supporto delle compagnie di telecomunicazioni nazionali, commettendo una gravissima violazione della privacy.
Ovviamente, il caso di Musk che accede ai dati (esattamente quali, non è chiaro) della Tesoreria e di agenzie federali è diverso da quello di Snowden sotto molti aspetti. Se quest’ultimo fu, presumibilmente, spinto da un senso civico troppo grande per non denunciare le pratiche del governo pubblicamente, lo stesso non si può dire di Musk e dei suoi collaboratori, che non hanno ancora chiarito perché abbiano bisogno di quell’accesso. Sembrerebbe che l’obiettivo sia individuare dove effettuare i tagli promessi dal progetto DOGE per snellire (o meglio demolire) la burocrazia americana. Tuttavia, resta impossibile sapere con certezza quali siano le reali intenzioni di Musk.
Resta il fatto che, a differenza di Snowden – che il governo ha cercato in ogni modo di mettere a tacere – stavolta è stato lo stesso governo a concedere a Musk, un privato cittadino, l’accesso a informazioni riservate sulle sue agenzie e su tutti coloro che vi lavorano. Sembra proprio che il marcio abbia raggiunto il cuore della mela, un processo iniziato il 5 novembre 2024 e destinato a tormentare noi di Jefferson ancora a lungo.
“La scelta di colpire per prima USAID nella battaglia contro l'amministrazione pubblica è particolarmente diabolica nella sua genialità”
di Giacomo Bridi
Non sono mai stato uno di facili emozioni. Ma stavolta, mio malgrado, sono spaventato di fronte alla rapidità con cui sta prendendo forma un inaudito attacco alla struttura del governo federale da parte di due miliardari annoiati. Le notizie che arrivano da Washington sono varie, raggelanti e confuse, e l’incertezza aggiunge un velo di terrore a un quadro già preoccupante. La cosa che proprio non mi aspettavo è il ruolo centrale di Musk, che con il suo stuolo di servitori sta facendo il bello e il cattivo tempo nella pubblica amministrazione. Dopo tanti anni a blaterare castronerie su Soros, finanziatore come altri, ecco che i repubblicani stessi sembrano aver consegnato le chiavi di Washington a un miliardario che con la sua piattaforma di propaganda personale diffonde la peggior disinformazione possibile, vantandosi delle sue intromissioni dirette negli affari pubblici. Sorgono tante domande. Com’è possibile che Musk e i suoi lacchè abbiano accesso ai server riservati del governo? Come si fa a dare un accesso del genere a un privato cittadino, che ha peraltro tutto da guadagnarci a mettere le mani nel governo del Paese? Dov’è l'opposizione, dove sono le manifestazioni di massa? Come fanno i repubblicani stessi ad accettare questo? C’è modo di mettervi un freno?
Sono le stesse domande che mi sono posto guardando gli annali del 1933. Di quell’anno, ciò che impressiona è la velocità con cui il regime nazionalsocialista si sia imposto, con una pioggia di decreti, nel giro di pochi mesi e nel silenzio generale. Il paragone forse è troppo facile e, spero, troppo allarmistico. Il contesto è diverso, è vero, così come il luogo, ma ciò non toglie che dall'insediamento di Trump non sia passato nemmeno un mese (altro che i famosi cento giorni) e il disegno sia già non solo ben chiaro (lo era già prima, per chi voleva vederlo) ma soprattutto ben avviato.
Trovo che la scelta di colpire per prima USAID nella battaglia contro l’amministrazione pubblica sia particolarmente diabolica nella sua genialità. È infatti difficile spiegare al pubblico che è “utile” e che va difesa, visto che il suo budget non è destinato ai cittadini americani; dunque, è complesso organizzare un’ampia opposizione al suo smantellamento. Quantomeno, la stampa sembra essersi svegliata e negli ultimi giorni la copertura mediatica di quel che accade nella capitale è esplosa. Speriamo che anche l’opposizione, forse colta di sorpresa, sappia recuperare la capacità di farsi sentire.
“Perché chi chiedeva protezione tecnologica e informatica dalla Cina dovrebbe fidarsi del capo del DOGE e della sua squadra di giovani ignoti?”
di Davide Cucchi
Chi ha votato Donald Trump a novembre sapeva benissimo che avrebbe portato Elon Musk nell’amministrazione governativa. Agli elettori, soprattutto repubblicani, piace molto sentir parlare di abbattimento della burocrazia. Ogni colpo sferrato contro Washington e la sua macchina del potere è un colpo giusto e utile. Forse i cittadini americani che hanno eletto il tycoon non si aspettavano questa ingerenza di Musk.
Nessun problema se al CEO di Tesla e SpaceX viene affidato qualche incarico o progetto ma oggi, dopo solo due settimane dall’insediamento, la situazione è degenerata. Lui e la sua squadra hanno messo mano su milioni di dati sensibili. Si è entrati, dunque, nel tanto temuto campo della sicurezza informatica. Un tema che preoccupa sempre molto gli statunitensi. Non sono così sicuro che alla gente piaccia questo approccio. Nessuno è abituato al fatto che le riforme vengano fatte attraverso i computer e la manipolazione dei dati. Musk sta giocando molto al di fuori degli schemi, rischiando di inimicarsi quegli elettori che hanno sostenuto Trump con qualche fatica. Perché chi chiedeva protezione tecnologica e informatica dalla Cina dovrebbe fidarsi del capo del DOGE e della sua squadra di giovani ignoti?
Resta da capire quanto la questione colpirà i cittadini. Ad oggi, il profilo X del DOGE posta quotidianamente i resoconti delle sue azioni, il numero di contratti rescissi e i milioni di dollari risparmiati, le istituzioni colpite e i programmi DEI cancellati. Insomma, come detto all’inizio, smantellare la burocrazia è un’azione percepita come buona, ma le modalità sono assurde. Esperti informatici hanno già espresso preoccupazioni per la sicurezza delle operazioni attuate. Se certi dati dovessero finire in mani sbagliate sarebbe un danno clamoroso, non certo per Musk ma per i cittadini americani. Non escludo che Trump speri in un putiferio per cacciare l’amico miliardario (divenuto un po’ ingombrante) dopo che ha fatto il lavoro sporco.
“Il governo sta usando l’arma della riduzione dei costi per colpire gli organi federali che considera politicamente ostili”
di Pietro Carignani
Nel suo discorso inaugurale da quarantesimo Presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan affermò che “il governo non è la soluzione al problema, il governo è il problema”. Era il 1981, gli Stati Uniti venivano da un periodo di stagnazione economica e Reagan stava presentando la ricetta con cui avrebbe smantellato l’apparato burocratico americano e aperto la stagione del trionfo neoliberista.
L’istituzione del Dipartimento dell’efficienza governativa della nuova amministrazione Trump, messo in mano a Elon Musk, è in qualche maniera il coronamento del messaggio reaganiano. Obiettivo dichiarato del DOGE è, infatti, effettuare pesanti tagli non solo sulla spesa pubblica, ma su interi apparati di governo. La golden age auspicata da Trump ha però poco a che vedere con il progetto neoliberista. Mentre tenta di ridurre l’estensione del governo, il tycoon è impegnato in una guerra di dazi come non se ne vedono da decadi, di fatto minando le fondamenta delle politiche di libero scambio.
Non ci si limiti, quindi, a considerare l’operato del DOGE come una rivisitazione del neoliberismo di stampo reaganiano. La svolta politica che Trump sta cercando di imporre è molto più profonda, e prevede di plasmare l’America secondo i valori del suo Presidente. Gli attacchi portati avanti contro l’USAID, il Dipartimento dell’istruzione e i programmi per l’equità e l’inclusione dimostrano come il governo stia usando l’arma della riduzione dei costi per colpire gli organi federali che considera politicamente ostili. Il risultato sarà l’immediato peggioramento delle condizioni di vita di milioni di persone, dentro e fuori dagli Stati Uniti, alle quali verranno negati aiuti umanitari e servizi di welfare: le politiche di Musk minacciano di punire principalmente i cittadini americani. Nella visione d’insieme di Trump, la riduzione della burocrazia federale sembra portare solo a un maggiore autoritarismo nel campo dei diritti e a un ulteriore accentramento dei poteri politici.