#13 Brainstorm - Il discorso d'inaugurazione presidenziale di Donald Trump
Un discorso che rimarrà nella Storia. Le opinioni di Matteo Muzio, Marco Arvati, Pietro Carignani, Vittoria Costanza Loffi, Giacomo Stiffan e Laura Gaspari
Perché guardare gli Stati Uniti dal buco della serratura? Quando serve una chiave di lettura la trovi su Brainstorm, la rubrica di Jefferson che raccoglie le opinioni della redazione sui fatti americani. A cura del vicedirettore Giacomo Stiffan.
L'inaugurazione presidenziale di Donald Trump ha avuto letture diverse sui media, ma un filo conduttore le unisce: il suo discorso passerà alla Storia. Ne siamo convinti anche noi di Jefferson.
Ne abbiamo parlato molto in redazione, e continuiamo a farlo. Questa rubrica è nata con lo scopo di riportare al lettore ciò che emerge nelle chat della redazione: impressioni a caldo, opinioni e reazioni che altrimenti andrebbero perse. Pertanto, qui di seguito quanto emerso ieri sera, in formato condensato date le numerose firme presenti.
“Abbiamo assistito nuovamente alla santificazione dei media nei confronti di Trump”
di Marco Arvati
Uno spettacolo squallido, di basso livello, che non ha nulla a che vedere con l'inaugurazione di un Presidente degli Stati Uniti. Parole dure e cattive contro l'amministrazione precedente, un odio represso che si nota per tutto il tempo, parole in libertà e totalmente fuori da ogni dettato costituzionale. Un discorso di inaugurazione solitamente tematizza un concetto e lo analizza, con citazioni di americani illustri, per generare un momento di unità negli americani. L'inaugurazione è infatti il discorso dove il Presidente è di tutti, mentre lo Stato dell'Unione quello in cui si sottolinea la partigianeria. Nei draft giunti ai giornali si è nuovamente parlato di un Trump conciliante, che non si è visto. La retorica è stata inascoltabile: parole da comizio elettorale, come “drill baby drill”, migranti malati mentali, negli Stati Uniti esistono due generi, usate in un discorso senza filo, capo né coda. E abbiamo assistito nuovamente alla santificazione dei media nei confronti di Trump: l'apertura del New York Times recita "Trump dice che fermerà il declino americano". La realtà è che Trump, tra le altre cose, ha detto di essere stato salvato da Dio per rendere grande l'America. Forse sono questi passaggi che andrebbero citati per comprendere il personaggio, e non le poche linee sane del discorso.
“Trump ha vinto e punta a riaffermare sugli Stati Uniti un’egemonia politica e culturale”
di Pietro Carignani
Resterà forse noto come il “Golden Age Speech” il discorso d’inaugurazione di Donald Trump al suo ritorno alla Casa Bianca. Il leader repubblicano approccia il giuramento presidenziale con l’irritualità a cui ci ha abituato negli ultimi anni, mantenendo un alto livello di ostilità nei confronti dell’opposizione, anche più di quanto fece nel 2017. Trump definisce “un’orribile tradimento” la direzione presa dagli Stati Uniti negli ultimi quattro anni, chiudendo apparentemente ogni spiraglio di collaborazione con i democratici, almeno per il prossimo futuro. Oltre la retorica, appare chiaro come il neoeletto Presidente voglia attingere a piene mani dalla posizione politica vantaggiosa in cui si ritrova. I primi decreti presidenziali annunciati sembrano voler ribadire quello che è il suo personale manifesto: aggressività in politica commerciale, radicale stretta all’immigrazione e abbandono delle politiche ecologiche. Più in generale, il tono del discorso sembra richiamare a una resa dei conti: Trump ha vinto e punta a riaffermare sugli Stati Uniti un’egemonia politica e culturale.
“Uno sfregio a sognatori e rivoluzionari come Martin Luther King”
di Vittoria Costanza Loffi
L' “età dell'oro” non è mai stata più buia, come dimostra il secondo discorso inaugurale di Trump. Lo spirito unificatore con cui si è svolta tutta la parte più rituale dell’Inauguration Day è scemato non appena il tycoon ha avuto accesso al microfono. Uno sfregio a sognatori e rivoluzionari come Martin Luther King che sognavano un’America libera in cui ognuno potesse trovare una casa: il Presidente è meno Presidente e molto più Comandante in Capo perché la sua è da oggi una guerra dichiara a una parte dell’America stessa. Un incubo, non un sogno né tantomeno una liberazione per la democrazia. Da poche ore l’America è tornata “a essere grande”, ma sulle ceneri della Presidenza Biden, che ha tentato di rivoluzionare il paese facendo spazio a tutti. L’America sarà solo “maschile e femminile” e cieca a qualsiasi diritto. L’America dei pochi, per pochi, che prevale su tutto e tutti e si dimentica della solennità intrinseca nello scontro democratico. Lo scriveva James Madison, “se gli uomini fossero angeli non avremmo bisogno di un governo”. Ma non lo sono, hanno pulsioni. Si scontreranno, è il cuore della democrazia - che Trump ha freddato.
“Un discorso che rappresenta una porta chiusa a un pezzo di Paese”
di Matteo Muzio
L'inaugurazione di Donald Trump si chiude con un tono cupo e revanscista fortemente simile a quello adottato nel suo primo giuramento. Le analisi semplicistiche e la dichiarazione d'intenti dello stesso Presidente di essere un "unificatore" si schiantano contro una realtà che nelle prossime ore acquisirà i tratti di una guerra dichiarata alla metà degli elettori che lo scorso novembre hanno rigettato la proposta politica ipernazionalista e imperialista dell'ultima fase politica del trumpismo. Un discorso che rappresenta una porta chiusa a un pezzo di Paese che si ritrova oggi con un governo federale apertamente ostile.
“Trump è l'archetipo vivente del narcisista patologico”
di Giacomo Stiffan
Sono combattuto: da un lato mi sembra di ascoltare il frutto della mente di un ubriacone al bicchiere della staffa; dall'altra, l'unico nome che mi viene in mente è Benito Mussolini. Lo stesso piglio, la stessa rabbia, lo stesso culto del superuomo. Lo dimostra anche il perfetto saluto romano di Elon Musk dal pulpito presidenziale, che vediamo in copertina, eseguito nella stessa occasione in cui Trump ha cassato gli aiuti statali al settore delle auto elettriche. Un controsenso che non può essere una semplice incoerenza. Qualcosa bolle in pentola, per far stare Musk tranquillo.
Sarà la sfiducia generale che percepisco nell'ultimo periodo, ma questo discorso non mi ha per niente sorpreso. Non mi aspettavo nulla di diverso: Trump è l'archetipo vivente del narcisista patologico. Contavo di ascoltare odio, iperboli e autocelebrazione e così è stato, tanto che sostanzialmente ha dichiarato guerra a chi non l’ha votato, come fosse la cosa più naturale del mondo. Mussolini, di nuovo.
A ogni modo, al di là delle solite sparate di Trump, una frase in particolare non avrei voluto sentire: gli Stati Uniti torneranno a considerarsi una nazione che espande il proprio territorio. Faccetta nera mi suona nelle orecchie.
Saranno tempi bui, o forse no. Forse sono davvero solo iperboli. Forse tra quattro anni ci saranno davvero di nuovo delle elezioni libere e Trump – se sarà ancora vivo – cederà pacificamente il potere.
Però, diciamocelo: ci scommettereste?
“Il vero establishment, quello che Trump dice di voler combattere, era invece tutto alla Rotunda per celebrarlo”
di Laura Gaspari
Definire quella di ieri la festa del conservatorismo della rabbia è veramente riduttivo. Trump si insedia alla Casa Bianca una seconda volta con lo sguardo arcigno, annoiato e irritato del suo ritratto ufficiale: espressione che ha tenuto tutto ieri durante la cerimonia, quasi fosse infastidito dalla ritualistica. Non applaude mentre le personalità parlano, se ne sta abbandonato sulla sedia, non appoggia la mano sinistra sulle Bibbie tenute dalla moglie Melania mentre giura davanti al Giudice Roberts. Un totale contrario invece della felicità composta del suo Vice, JD Vance.
Quello che Trump aspettava era il discorso: il suo personalissimo, glorioso e indiscusso momento di delirio, dove la stampa si aspettava moderazione, e invece ha avuto indietro uno sproloquio furioso, cupo, odioso. Vi ricordate, è successo un’altra volta: dopo l’attentato, alla Republican National Convention. Eppure, ancora una volta riusciamo a rimanere shockati e stupiti per quanta bile riesce a vomitare Orange Jesus, che da ieri è ufficialmente Re una seconda volta.
Re assoluto celebrato con applausi, standing ovation e riverenze dalla corte di mogul, tutti allineati in prima linea per salutarlo, mentre entriamo in una nuova era di caos e incertezze. Musk, Zuckerberg, Bezos, Pichai, il mondo tech è con Trump. Il vero establishment, quello che Trump dice di voler combattere, era invece tutto alla Rotunda per celebrarlo e omaggiarlo allo spettacolo trash successivo, mentre firmava pubblicamente ordini esecutivi atroci e lanciava le penne, dall’uscita dagli Accordi di Parigi, dal WHO, alla fine del diritto di cittadinanza, la guerra ai cartelli messicani, l’emergenza nazionale e l’erosione dei diritti che ne verrà, la definizione di genere binario e basta, il ritorno del free speech (a senso unico), i dazi e il Golfo D’America.
Saranno quattro anni lunghi. God bless America, e quegli americani la cui vita da oggi cambierà radicalmente. Persone transgender, persone POC, minoranze etniche, persone vulnerabili, disabili, nativi americani, donne, bambini separati dalle famiglie ai confini, figli di migranti. Ne avranno bisogno.