
"The tender breasts of ladies were not formed for political convulsion; and the French ladies miscalculate much their own happiness when they wander from the true field of their influence into that of politics" Lettera a Angelica Schuyler Church, 21 settembre 1788 Una repubblica fondata sugli atti impuri
Buona giornata a tutti i lettori di Jefferson!
Con il numero di oggi ci distacchiamo dagli eventi correnti, che hanno travolto qualsiasi tipo di agenda legata alle elezioni presidenziali: la pubblicazione di dieci anni di dichiarazioni dei redditi arretrate di Donald Trump sul New York Times, insieme con la malattia dello stesso presidente. Vogliamo parlarvi di un argomento spesso (ancora!) tabù, come quello della sessualità, declinata nelle forme più diverse: a cominciare da quella ritenuta più estrema, quella della pornografia.
La nostra Lucia Marchetti insieme a Vittoria Costanza Loffi, autrice del podcast femminista "Tette in su", ci parlano della trasformazione di un settore che sempre di più si sta muovendo sulle esigenze delle performer, erodendo il potere alle multinazionali del settore come Pornhub.
Proseguiamo con un mondo che sembra impossibile, a una prima analisi: quello dei gay sostenitori del partito repubblicano, e in alcuni casi dell'altright. Ce li racconta il nostro Emanuele Monaco.
Abbiamo anche due graditi ritorni tra le nostre firme, già presenti nel carteggio di agosto: Emanuela Colaci scrive un'appassionata quanto irresistibile lettera d'amore ad Alexandria Ocasio Cortez mentre Valeria Sforzini ci racconta di come le First Lady hanno gestito i tradimenti presidenziali.
Il numero è molto ricco, partiamo e buona lettura!
Le nuove frontiere della pornografia etica

di Lucia Marchetti e Vittoria Costanza Loffi
“Se non stai pagando per il prodotto, significa che sei tu il prodotto”, ci racconta il documentario Netflix fresco di lancio ‘The Social dilemma’.
Regalandoci un’angolazione attraverso cui studiare anche il vasto mondo della pornografia mainstream e delle piattaforme gratuite che registrano quotidianamente una media elevatissima di streaming: basti pensare che Pornhub sia in grado di vantare 11 petabyte di contenuti, il che significa che ci vorrebbero 6976 anni per visionarne tutto il materiale fornito principalmente su base gratuita; nel solo 2018 il sito ha ospitato 33,5 miliardi di visite, ovvero 92 milioni di utenti collegati ogni giorno.
Il documentario di inchiesta sull’uso dei social network ci spiega che in un sistema globale dove qualsiasi settore – anche, come nel nostro caso, quello del sesso – della vita di un individuo viene capitalizzato, se non ti ritrovi nella condizione di dover corrispondere un pagamento per il servizio che ricevi o di cui usufruisci, allora è la piattaforma che ti sta utilizzando come prodotto: per affinarsi, targhettizzare e trasformare i tuoi gusti ed interessi in un proprio guadagno, di chi compra i dati o si aggiudica gli spazi pubblicitari sulle frequentatissime piattaforme.
Le principali piattaforme di porno mainstream o commerciale (Pornhub, Redtube, Youporn ecc. tutte riunite sotto la grande compagnia della canadese MindGeek, ex Manwin e fondata dalla figura impenetrabile di Fabian Thylmann) forniscono prodotti essenzialmente accessibili a chiunque, portando la domanda di miliardi di utenti - soddisfatta sostanzialmente in monopolio da una società in paradisi fiscali e legali, senza sostanzialmente regole - ad avere conseguenze molto più ampie.
Tra le più pressanti: l’estremizzazione dell’atto sessuale da affiancarsi alla fuga da qualsiasi corretto compenso; il mancato rispetto di qualsiasi regola sul diritto d’autore e sul consenso dei protagonisti dei video.
Lars Marten Nagel, giornalista di Die Welt, racconta come sia impossibile studiare a fondo la struttura della MindGeek: A Cipro la redazione di Die Welt aveva trovato un documento attestante una disponibilità (di Thylmann) pari a 352 milioni di dollari, che doveva essere usata per comprare società. Pare che i soldi venissero, almeno in parte, da Goldman Sachs, ma da un certo punto in poi non si riesce a tracciare quel denaro.
E’ un vero e proprio monopolio quello della pornografia, o come lo definirebbe l’ex attrice porno - ora regista - Ovidie una “pornocrazia” in cui a dominare è solo la MindGeek con le sue più disparate ramificazioni: non solo possiede le piattaforme principali di streaming, ma anche le compagnie di produzione come Brazzers, Digital Playground, Men.com, WhyNotBi.com, Reality Kings, e Sean Cody.

Mario Salieri, regista e produttore cinematografico intervistato da Ovidie nel suo lavoro di inchiesta Pornocratie – les nouvelles multinationales du sexe, racconta come ci sia una totale mancanza di rispetto dei diritti d’autore da parte delle multinazionali del sesso, privando le menti dietro i più vecchi e famosi prodotti pornografici dei propri proventi.
E non è solo il diritto di copyright a mancare, ma spesso anche un adeguato compenso per i figuranti e protagonisti, oltre che la volontaria sottrazione alla richiesta di esplicito consenso che potrebbe bloccare, ad esempio, la diffusione ed il permanere di materiale figlio del revenge porn e di cui le piattaforme sono piene.
Sì, perché parte consistente del business di queste piattaforme si basa proprio sul caricamento senza alcun filtro da parte di milioni di utenti.
Procedure legalmente vincolanti, che costringerebbero la MindGeek a fornire esclusivamente materiale riportante il certificato consenso degli attori, del regista e della produzione, o dell’autoproduzione (seppur in forma non pubblica in modo da salvaguardare la privacy), rappresenterebbe sicuramente un problema per il colosso, essendoci il concreto rischio di trovarsi con una ridotta offerta di materiale, ma contestualmente farebbe da filtro rispetto a materiale illegale.
La campagna #NotyourPorn aspira a regolare tramite l’azione governativa l’industria globale del porno sotto lo slogan “leaked sex tapes is not a genre”.
Ad ascoltare le voci delle attrici, inoltre, non solo si raccoglie una testimonianza spesso di sfruttamento eccessivo, ma anche di preoccupazione per il proprio stato fisico e mentale. Alla base del porno vi è chiaramente la possibilità di ritrovare rispecchiati i propri gusti e preferenze, ma questo ampio sistema globale produce un infinito affinamento nella proposta avendo come conseguenza la continua estremizzazione.
Da un lato quindi, le attrici si trovano a dover assumere medicinali o droghe in quantità pericolose per l’organismo, come la lidocaina, per riuscire ad anestetizzare il corpo in vista di pluripenetrazioni anali, prolungate nella giornata - per ammortizzare i costi - e dall’altro la stessa multinazionale propugna una rappresentazione irreale e pericolosa del sesso, finanziando campagne contro l’uso obbligatorio dei dispositivi di protezione (preservativi) proprio negli Stati Uniti.
Nel 2016, alla vigilia dell’elezione di Donald Trump, i cittadini della California sono stati infatti chiamati a votare la Proposition 60, che prevedeva l’obbligo per gli attori di film porno di indossare il preservativo, a fronte di un incremento certificato nelle diagnosi di malattie sessualmente trasmissibili nell’ambiente pornografico. Il referendum prevedeva inoltre che produttori avrebbero dovuto pagare per le vaccinazioni e test degli attori.
Nonostante produttori europei indipendenti abbiamo dimostrato come sia possibile in fase di grafica e montaggio non far comparire il preservativo in ogni ripresa, la campagna per il no, ampiamente finanziata dalla Mindgeek, con tanto di spot e video promozionali, risultò vincente: il 54% degli elettori californiani si è espresso per il No, mantenendo lo status quo.
L’attuale panorama pornografico si vede ora rivoluzionato grazie allo sfruttamento da parte dei sex workers di piattaforme indipendenti come Onlyfans e Patreon; queste permettono a creatori di contenuti di vario tipo di pubblicare foto e video esclusivi e accessibili dietro pagamento di una quota mensile (variabile tra i 5$ e i 20$, di cui il 20% viene trattenuto dal sito); tali siti, quindi, non nascono come aggregatori di contenuti pornografici, ma grazie alle politiche più liberali nei confronti dei contenuti nsfw (not safe for work) hanno saputo attrarre diversi performer stanchi delle grandi compagnie e desiderosi di vendere autonomamente i propri contenuti, con lo scopo di combattere questi colossi ed i loro meccanismi intricati di sfruttamento, il tutto proponendo una pornografia alternativa definita spesso femminista - perché consensuale.
Una rappresentazione puntuale e consapevole che, in un mondo dove i giovani crescono senza una specifica educazione sessuale, prende coscienza del porno come primo tramite verso la scoperta della sessualità.
Il femminismo di quarta generazione ed il movimento della sex positivity stanno cercando di ampliare l’offerta pornografica, radicando un porno di qualità che crei spazio per la diversità dei corpi e dei gusti sessuali, dove una delle due parti non è mai solo oggetto di piacere, ma si tratta sempre di soggetti attivi in una gamma ampia di possibilità reciproche.
Per la critica cinematografica Elisa Cuter, “nel porno, il sesso in scena non può essere, per definizione, simulato. Allo stesso tempo, ciò che lo spettatore vi ricerca non è solo la prova che quel sesso stia effettivamente avvenendo, bensì la realtà del piacere di coloro che ne sono coinvolti. Spettatore incluso”.
Già negli anni ‘70 negli Stati Uniti. le incongruenze delle femministe antiporno, riunite nell’associazione Women Against Pornography, venivano smascherate dalla giornalista Ellen Willis: “We took on the anti-pornography movement, which had dominated the feminist conversation about sex: As we saw it, the claim that “pornography is violence against women” was code for the neo-Victorian idea that men want sex and women endure it.”
Alla base deve esserci necessariamente una produzione pornografica non machista e consensuale, che inviti le donne a sperimentare le gioie del sesso, sia vanilla che hard, senza divenire oggetti sessuali al servizio delle fantasie maschili. Ma non solo, il porno femminista apre anche a una rappresentazione più veritiera della sessualità gay, lesbica, transgender, bisessuale e di tutte le sfumature della queerness.

I siti per i fan come OnlyFans, vengono quindi a rappresentare uno spazio sicuro per l’esplorazione della creatività del porno femminista e autoprodotto, garantendo un introito mensile sicuro ai sex workers.
Tuttavia, la progressiva “democratizzazione” delle piattaforme di questo tipo ha portato influencer di vario tipo, star e modelle di Instagram a vendere anche i propri scatti, pensando di monetizzare facilmente sui fan più curiosi.
Recentemente ha fatto scalpore il caso dell’attrice ventiduenne Bella Thorne: nel giro di pochi giorni l’ex star della Disney ha guadagnato oltre 2 milioni di dollari, apparentemente spingendo OnlyFans a cambiare le sue policy causando una perdita di introiti per molti utenti della piattaforma.
Secondo alcuni screenshot apparsi sui social, infatti, Thorne avrebbe promesso ai suoi abbonati delle foto di nudo. La voce, diffusasi velocemente, ha fatto sì che più di 50mila suoi fan si siano sono iscritti a OnlyFans; gli utenti, dopo aver amaramente scoperto che sul profilo c’erano solo selfie e foto in bikini, hanno chiesto un rimborso.
A questo punto, sembra che OF, inondato dalle richieste di rimborso dei fan arrabbiati, abbia introdotto un limite di 50 dollari (precedentemente fissato a 200 dollari) per i messaggi esclusivi inviati via messaggio diretto ai clienti e un limite di 100 dollari sulle mance, oltre ad un aumento del tempo necessario per pagare i creatori, da sette giorni a 21 giorni.
La compagnia ha affermato che i cambiamenti e la controversia su Thorne non erano collegati, ma i sex workers la vedono diversamente. L'afflusso di celebrità per le quali il lavoro sessuale è un hobby è visto non solo come finanziariamente preoccupante per coloro che si affidano a OnlyFans per vivere, ma anche umiliante. I "drop-in" delle celebrità degradano le lavoratrici del sesso che vogliono il loro lavoro visto come valido.
Molti sex workers infatti, hanno sottolineato quanto dannosa possa essere l’iscrizione di una celebrità ad una piattaforma usata da sex workers; i loro contenuti cambiano il mercato e minacciano le fonti di reddito di persone a cui quello stipendio serve per pagare l’affitto. Thorne si è scusata su Twitter, affermando che il suo obiettivo fosse rimuovere lo stigma e la negatività che circonda il sesso e il sex work associandovi un volto mainstream.
Cionondimeno, la piattaforma è stata criticata per l’approccio di marketing dove figurano come creatori di contenuti SFW quasi sempre e solo attori, atleti, ecc. e non i veri sex workers, cioè gli utenti che hanno maggiormente contribuito al successo di OnlyFans.
Sorgono anche preoccupazioni riguardo alla possibilità che il sito possa in futuro eliminare i contenuti NSFW, nel caso di un allineamento con le piattaforme mainstream e su continua pressione degli investitori.
In conclusione, le piattaforme come OnlyFans possono davvero essere un trampolino di lancio per dei contenuti espliciti veri, femministi e correttamente retribuiti, ma così sarà solo se decideranno di andare controcorrente rispetto alle controparti mainstream, tutelando i sex workers ed i creatori di contenuti emergenti.