Jefferson, Quinta Lettera: il Mississippi e la lunga fine della Guerra Civile Americana
"The declared purpose of the compact of Union from which we have withdrawn [...] in the judgment of the sovereign States now composing this Confederacy, it had been perverted from the purposes for which it was ordained" Discorso inaugurale del presidente confederato Jefferson Davis, 18 febbraio 1861 Lettera numero 5: l'ultimo dixiecrat sconfitto da Trump in Mississippi
Buona settimana, Jefferson è arrivata alla sua quinta lettera. Una lunga strada, fino alle 18mila circa scritte dall'originale, ma ci stiamo avvicinando piano piano. Ieri si è votato in diversi stat tra cui New Jersey e Virginia per il rinnovo delle legislature statali mentre in Kentucky e Mississippi sono state rinnovate anche le cariche esecutive. Il 16 novembre sapremo anche i risultati del ballottaggio in Louisiana per le cariche di governatore e segretario di Stato. Il risultato non è un buon segnale per i repubblicani, anche se McConnell ha comunque motivi per sorridere. La sconfitta del democratico Jim Hood, che fino a ieri era uno dei pochissimi esponenti del Deep South a detenere una carica esecutiva, è anche un ulteriore segnale di conclusione di quel riallineamento denominato Southern Strategy che ha portato i repubblicani alla conquista di quegli stati che un tempo erano i bastioni dei democratici segregazionisti e che il Mississippi incarna meglio di qualunque altro stato. Per questo, in via del tutto eccezionale, la citazione in testa è di un celebre figlio del Mississippi, l'unico presidente della Confederazione, Jefferson Davis, così chiamato proprio come omaggio al terzo presidente. Ma adesso passiamo alla nostra dolce sintesi della settimana appena trascorsa.
Sciroppo d'acero: il succo degli eventi
I risultati delle elezioni locali: buone notizie per i dem (con qualche neo): martedì si è votato in diversi stati per il rinnovo delle assemblee di Virginia e New Jersey e per i governatori di Mississippi e Kentucky. Partiamo dal New Jersey, dove è stata rinnovata l'Assemblea statale. I democratici partivano con un vantaggio largo di 54 a 26, una maggioranza qualificata che potevano solo incrementare per rilanciare alcuni punti del programma del governatore Phil Murphy che erano rimasti in stallo, come la legalizzazione della marijuana. Ma l'ala progressista del partito voleva spingersi anche più in là, concedendo la patente di guida agli immigrati senza documenti, proposta sulla quale il governatore ha espresso distacco e aumentando i benefit pensionistici e la copertura sanitaria per i dipendenti pubblici, provvedimenti che hanno trovato un maggiore sostegno da parte dell'esecutivo. Ma nonostante l'assenza del governatore dalla disfida elettorale, l'allungo non è riuscito. Il partito democratico mantiene la sua larga maggioranza di 50 seggi, ma non è più qualificata. Questo probabilmente confermerà la linea centrista di Murphy, sostenuta dai presidenti dei due rami dell'assemblea Craig Coughlin and, per non rischiare ulteriormente. Spostandoci più a Sud invece la Virginia completa il suo secondo riallineamento politico nel giro di cinquant'anni. La questione merita una digressione. In sintesi: già sede della Capitale confederata, lo stato nel dopoguerra divenne il centro culturale della Lost Cause della Confederazione, l'ideologia storiografica che, basandosi sul culto del generale Lee, rileggeva le cause del conflitto come una lotta di una generosa e poetica aristocrazia benevola che combatteva contro il Nord avido e industriale anche per il bene degli schiavi (per approfondire quest'operazione revisionista consiglio di recuperare un saggio del 1995), incentrando questo culto sull'eroe virginiano per eccellenza, il generale Robert Lee, sul quale, nemmeno a dirlo, si costruì una mitologia. Politicamente dominata dai democratici (con un cedimento verso i repubblicani alle elezioni presidenziali del 1928), durante la guerra fredda spedisce a Washington un arcisegregazionista come il senatore Harry F. Byrd, che si autodefiniva "democratico jeffersoniano". Un'abbreviazione per non dire reazionario razzista. E nel corso dei primi anni '90, dopo aver eletto il primo governatore afroamericano Douglas Wilder, si riallineò ai repubblicani, già votati stabilmente a livello presidenziale dal 1968. Sembrava l'ennesimo stato catturato quindi dall'evoluzione della Southern Strategy nixoniana volta a catturare l'elettorato conservatore. Ma invece l'espansione del governo federale ha ribaltato questo paradigma: nuovi sobborghi abitati dai dipendenti di agenzie ed enti legate all'indotto di Washington D.C. hanno portato in luce nuove istanze legate alla costruzione di nuove abitazioni e ai finanziamenti alle scuole e ai trasporti pubblici. Una mappa realizzata dal Department of Elections della Virginia mostra la situazione dell'incremento degli elettori registrati nelle contee dello Stato:
Le contee più vicine a Washington, a Nord-Est, hanno guadagnato nuovi elettori. E hanno sepolto definitivamente il mito confederato. Ma dimenticavamo i risultati: alla Camera dei Delegati i dem hanno prevalso per 55-45, mentre al Senato è finita 21-19. Il governatore Ralph Northam, già sotto accusa per aver indossato la blackface negli anni dell'università, adesso si ritrova un potere maggiore di cambiare le cose, anche se i numeri ridotti non fanno pensare a una svolta immediata. Infine, parliamo del Kentucky, già oggetto di un precedente numero di questa newsletter. I democratici hanno perso sia la carica di Procuratore Generale (elezione vinta per la prima volta da un candidato afroamericano conservatore) sia quella di Segretario di Stato. Ma contrariamente alle aspettative della vigilia, il nuovo governatore sarà il democratico Andy Beshear, che ha prevalso per circa 5000 voti sull'uscente (e impopolare) Matt Bevin. Il quale però, ha chiesto un riconteggio dei voti che difficilmente ribalterà il risultato. Ma adesso passiamo al risultato del Mississippi, che è anche il tema della newsletter odierna.