Jefferson: terza lettera, Italia-Usa e un "retaggio condiviso da migliaia di anni"
"Malo periculosam, libertatem quam quietam servitutem". Lettera a James Madison, 30 gennaio 1787 Lettera n°3: Italia e Stati Uniti, un rapporto profondo e un retaggio condiviso
Buona giornata ai lettori di Jefferson!
La lettera di oggi arriva qualche ora dopo per aver seguito "incatenati alla scrivania" le elezioni canadesi a cui faremo un ampio cenno nella sezione successiva. Ma soprattutto, prendendo spunto dalla visita del presidente Sergio Mattarella negli Stati Uniti (la parte del suo viaggio in California ha ricevuto una copertura nettamente inferiore rispetto all'incontro con il suo omologo Donald Trump) parleremo del retaggio comune tra Italia e Stati Uniti e di come questo abbia contribuito in modo determinante alla formazione storico-culturale dell'identità americana. Ma adesso passiamo alla sezione che riassume la settimana appena trascorsa!
Sciroppo d'acero: il succo degli eventi
Ed eccoci alla sintesi dei sette giorni appena trascorsi, partendo dai vicini settentrionali del nostro Paese di riferimento:
Justin Trudeau ha vinto di nuovo le elezioni in Canada, ma perde la maggioranza.
Il premier canadese, amico-nemico di Trump (il quale comunque si è congratulato via Twitter), sarà rieletto quale premier, ma stavolta senza la maggioranza richiesta di 170, fermandosi a 157. Pesa l'appannamento di immagine dopo 4 anni complicati e diversi scandali nell'ultimo anno: dovrà contare quindi sull'appoggio dei partiti minori. Non sui Verdi di Elizabeth May, vera sorpresa di queste elezioni, che conquistano 3 seggi, un'enormità con l'uninominale secco, ma uno tra la sinistra dei Nuovi Democratici guidati dal leader di origine sikh Jagmeet Singh, che passa da 44 a 24 seggi, il peggior risultato dal 2004. Sotto accusa lo scarso carisma di Singh e la sua impopolarità in Quebec, dove lo storico leader Jack Layton conquistò 59 seggi nel 2011 portando il partito per la prima e unica volta alla guida dell'opposizione. Ma data la situazione di instabilità parlamentare, potrebbero pesare molto più di prima, spingendo a sinistra l'agenda del governo. Risorge invece il Bloc Quebecois, il partito autonomista del Quebec che grazie al nuovo capo Yves-François Blanchet torna a essere il partito di maggioranza relativa nella provincia francofona, privando i liberali di uno dei pilastri del loro sostegno nel 2015, insieme all'Ontario e alle province poste sull'Atlantico. La posizione di questa formazione politica, non più indipendentista ma soltanto favorevole a una maggiore autonomia per la provincia, è molto laica per quanto riguarda l'indossare simboli religiosi in pubblico (e questo spiega lo scarso successo di Singh). Per quanto riguarda l'Opposizione ufficiale invece, i conservatori guidati dall'ex speaker della Camera Andrew Scheer, passano da 99 a 122 deputati, ma questa crescita non cambia la situazione, anche se Scheer ha dichiarato di aver messo Trudeau "in preallarme". Su molti media italiani è stato definito il Trump canadese, ma secondo il professor Richard Steigmann-Gall, studioso di storia delle destre in America e docente alla Kent State University in Ohio, interpellato da Jefferson, non è affatto così: "Scheer è molto più simile a Romney, come dimostrato sul problema delle dichiarazioni razziste di alcuni candidati conservatori: basta scusarsi ed è tutto a posto. Una posizione opportunista che ricorda molto il candidato alle presidenziali americane del 2012". E Trump chi è invece? "Di sicuro il governatore dell'Ontario Doug Ford". E ci assomiglia anche un po'. Adesso Scheer, come da statuto del partito in caso di sconfitta, dovrà affrontare una revisione della sua leadership nei prossimi sei mesi. E Ford potrebbe sfidarlo, data la scarsa simpatia che corre tra i due.
Hillary Clinton attacca Tulsi Gabbard. E le dà visibilità: dopo il dibattito dello scorso 15 ottobre (lo trovate sintetizzato qui) la candidata Tulsi Gabbardi, deputata al Congresso delle Hawaii, non era andata particolarmente bene, stagnando intorno all'1,2%, secondo i sondaggi nazionali. Finché Hillary Clinton non ha suggerito che lei sia una candidata che sta venendo "allevata" dai russi per correre per un terzo partito. Lei ha risposto per le rime, accusandola di "incarnare" la corruzione e la politica estera disastrosa e bellicistica dei democratici (lo scontro viene riassunto qui). Ma il problema, come suggerisce The Nation, non è che è spalleggiata da Mosca. Il suo limite è che sotto la patina di sinistra è una nazionalista con tratti omofobi e islamofobi.
Continuano le porte girevoli di Trump: il segretario all'energia Rick Perry, ex governatore del Texas dal 2000 al 2015, ha annunciato la sua intenzione di dimettersi e ai microfoni di Fox News ne ha spiegato le ragioni. Ma c'è chi suggerisce che queste dimissioni siano dovute al suo coinvolgimento nelle vicende ucraine riguardante l'impeachment in corso del presidente Trump. Anche il capo dello staff della Casa BiancaMick Mulvaney è intervenuto sulla questione, affermando che chiedere cose in cambio a paesi stranieri sia perfettamente normale. Mulvaney ha poi fatto marcia indietro per non mettere a rischio la sua posizione, che già non è molto solida. Un'analisi su The Atlantic indica che questa potrebbe essere una strategia perfezionata da Trump per rendere tutto accettabile.
Mark Sanford scende in campo per le primarie presidenziali repubblicane. Da solo. Un tempo una notizia come la decisione dell'ex governatore del South Carolina ed ex deputato Mark Sanford di sfidare alle primarie un presidente repubblicano in carica sarebbe finita sulle pagine di tutti i quotidiani e su tutti i telegiornali (basti pensare alla sfida lanciata dall'ex governatore della California Ronald Reagan a Gerald Ford nel 1976). Stavolta invece si è presentata soltanto una giornalista del Philadelphia Inquirer. La storia tragicomica è qui. C'entra anche il fatto che il livello di popolarità di Trump rimane granitica tra i repubblicani. Secondo le ultime rilevazioni di Gallup è all'87%.
Ma adesso passiamo all'analisi della visita di Mattarella, che ci porterà ad analizzare i legami della romanità con la fondazione degli Stati Uniti. Oltreché, naturalmente, i rapporti con l'Italia.
La statua di George Washington come Giove di Horatio Greenhough visitata da una scolaresca nella Capitale, scatto del 1899
Un retaggio millennario e i rapporti con l'Italia
Il semplice fatto che i Padri Fondatori adorassero l'antica Roma repubblicana, non dovrebbe essere un mistero: ed è testimoniato da numerosi libri in inglese e in italiano. Semplicemente all'epoca non c'erano molte repubbliche da cui prendere esempio (per quanto la Repubblica di Genova avesse inviato un console a Philadelphia nel 1791, il conte Giuseppe Ravara, ricevuto anche dal presidente Washington e dal segretario di Stato Jefferson) e quelle esistenti erano in uno stato di decadenza da cui non si sarebbero più riprese, complici le invasioni napoleoniche. Il semplice fatto che una frase di Donald Trump, probabilmente scritta da un collaboratore, ovvero "The United States and Italy are bound together by a shared cultural and political heritage dating back thousands of years to Ancient Rome" sia stata fraintesa come l'ennesimo bisticcio lessicale di Trump la dice lunga non solo sulla diffusione delle notizie oggi, ma sulla comprensione di un inglese a dir poco elementare. Perché appunto, il retaggio politico c'era eccome. Davvero i Padri Fondatori si ispiravano alla Roma antica, anche singolarmente: George Washington veniva considerato come il nuovo Cincinnato, sceso in politica per il bene della Repubblica, Thomas Jefferson citava Cicerone nella dichiarazione d'indipendenza. I Federalist Papers, una serie di saggi scritti da Alexander Hamilton, James Madison e John Jay in favore della ratifica della Costituzione, erano firmati con lo pseudonimo Publius. E pseudonimi latini vennero scelti anche dagli avversari di uno statuto scritto che limitasse in modo eccessivo le libertà. E infatti uno degli pseudonimi era quello di Brutus. Le circostanze contingenti però fanno capire che il loro riferimento avesse più che altro radici profonde anche nel mito di Roma (un testo recente ne esamina tutte le varie implicazioni): George Washington venne scelto anche per la sua sterilità e per evitare che fondasse una dinastia, Jefferson non disdegnava i servigi del giornalista John James Beckley, che a differenza di Jefferson poteva permettersi attacchi personali agli avversari dell'esponente politico virginiano, venendo da una condizione sociale bassa. E venne premiato con la carica di primo bibliotecario del Congresso. Infine, un cenno alla Capitale, Washington D.C., creata usando uno stile neoclassico che riproducesse una nuova Roma al di là dell'Atlantico, con la morale illuminista e con lo spirito protestante che avrebbe cancellato ogni possibilità di corruzione di quelle nuove istituzioni. Abbiamo visto come invece l'imbarbarimento sia infine arrivato. Senza contare che gli Stati Uniti d'America delle origini condividevano con Roma la macchia dell'uso economico della schiavitù, su cui lo storico Eugene D. Genovese scrisse un saggio imprescindibile (tradotto anche in italiano).
Italia e Stati Uniti: mai così vicini?
La visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella al suo omologo è stata salutata, come abbiamo visto da errori di traduzione, meme sulla traduttrice di Trump e parole di circostanza sulla vicinanza che non è mai stata tanta (nemmeno nel 1948? Difficile a credersi). Il viaggio del presidente aveva come obiettivo principale la riduzione dei dazi annunciati sui prodotti alimentari italiani. Ma a parte le parole di Trump su eventuali "valutazioni" successive all'incontro, i dazi sono regolarmente entrati in vigore. Ergo le distanze tra i nostri due Paesi rimangono. La visita di Mattarella a San Francisco, primo capo di Stato italiano a visitarla dopo Pertini nel 1982, ha soltanto rimarcato i legami con la numerosa comunità di origine italiana. Bisogna dire però che Trump, a suo modo, ha difeso l'Italia, dichiarando il suo sostegno al Columbus Day contro le proposte di trasformazione in "Indigenous People's Day".
A lume di candela: letture consigliate per la settimana
I medici americani, un tempo sostenitori sfegatati del partito repubblicano (tanto da essere stati determinanti nell'affossare la riforma sanitaria proposta da Harry Truman nel 1945), adesso stanno passando nelle fila dei democratici. Da partito dei professionisti a partito degli ignoranti? Ne scrive il Wall Street Journal.
Come mai gli evangelici bianchi amano Donald Trump nonostante la sua ben scarsa morale privata? Non c'entra l'ipocrisia, bensì una teologia che ha al suo centro il razzismo istituzionalizzato. Lo sostiene Anthea Butler su Nbc News.
Mark Zuckeberg, sotto tiro per la sua poca trasparenza riguardo alle campagne politiche che si svolgono su Facebook, avrebbe consigliato al candidato alle primarie democratiche Pete Buttigieg alcuni candidati da assumere nel suo staff per la campagna delle presidenziali. Lo rivela Bloomberg.
Jefferson torna la settimana prossima con un'analisi incentrata sul leader dell'opposizione repubblicana alla presidenza di Donald Trump. Parleremo di Mitt Romney e dello Utah, stato unico nel suo genere di conservatorismo con forti radici nella chiesa mormona. Arrivederci!