#1 Brainstorm - Il ritiro di Joe Biden
Un passo indietro che cambia tutto. Vediamo le sue implicazioni nelle opinioni di Matteo Muzio, Giacomo Stiffan, Laura Gaspari ed Emanuele Monaco
Perché guardare gli Stati Uniti dal buco della serratura? Quando ti serve una chiave di lettura la trovi su Brainstorm, la rubrica di Jefferson - Lettere sull’America che raccoglie le opinioni della redazione sui fatti americani. A cura del Vicedirettore Giacomo Stiffan.
Sono giorni febbrili per la redazione di Jefferson. Tra dibattiti dimenticabili, attentati e ora un nuovo candidato da trovare (o meglio, da confermare), opinioni diverse su ciò che è avvenuto si accavallano nelle chat interne. Al punto da farci realizzare che peccato fosse che questi scambi non riuscissero a raggiungere chi ci segue.
Per questo motivo avviamo in concomitanza di questo evento epocale una nuova rubrica, Brainstorm, nella quale troverete di volta in volta le opinioni di quattro redattori su ciò che accade negli Stati Uniti.
“Kamala Harris ha numerosi difetti, non ultima la sua malcelata ambizione politica”
di Matteo Muzio
Anche in cattive condizioni psicofisiche, Joe Biden ha dimostrato di avere ancora dei guizzi da consumato uomo politico e servitore del Paese: dopo una decina di giorni di testarda resistenza, alla fine ha ceduto alle pressioni di un pezzo di partito ma alle sue condizioni: non lasciando macerie dietro di sé, ma unità di tutte le correnti, da Ilhan Omar a Nancy Pelosi passando per la quasi totalità dei governatori Dem considerati quali possibili rimpiazzi dell'anziano leader.
Si sa che Kamala Harris ha numerosi difetti, non ultima la sua malcelata ambizione politica che è poco sostenuta da una precisa ideologia. D'altro canto la sua campagna elettorale è un foglio bianco e non dovrebbe aver problemi a incassare il sostegno di una base che finalmente ritrova parte dell'entusiasmo che sembrava ormai perso nell'affrontare per la terza volta nel giro di quattro anni un referendum anti-Trump.
Nonostante la sua nota vicinanza con lo stato d'Israele, non è nemmeno "macchiata" dal sostegno a Netanyahu, che Biden ha dato senza riserve almeno nei primi mesi del conflitto. Grazie a un'oculata scelta di un vicepresidente che le porti un boost di popolarità, può di certo avere delle chance con quello che tuttora rimane un candidato pieno di difetti come Donald Trump, che si è bruciato nel giro di poche ore la solidarietà degli avversari tornando alla consueta e stantia retorica divisiva farcita di bufale e rant su argomenti bislacchi, come auto elettriche e cucine a gas.
Una riapertura che riporta in gioco anche la trifecta Dem, che in quel caso dovrebbe portare a un ripensamento i Repubblicani sulla mutazione che hanno intrapreso da otto anni: presumibilmente però sceglieranno una via ancora più aggressiva che potrebbe portare in un futuro prossimo a un riallineamento politico negli Stati Uniti del quale ancora non possiamo conoscerne i chiari contorni.
“La cosa che interessava a Biden era che fosse lui a dare le carte”
di Giacomo Stiffan
È ancora presto per analisi accurate, ma sul ritiro di Biden si possono quantomeno condividere delle sensazioni a caldo.
L'impressione è che Biden si sia ritirato quando è stato abbastanza tranquillo che la Harris fosse in una buona posizione. Prima ha fatto da parafulmine, facendo concentrare la campagna di Trump su di sé fino alla convention repubblicana, per poi cambiare tutto appena dopo.
La cosa che interessava a Biden era che fosse lui a dare le carte. Ha lasciato quando la maggioranza del partito era pronta a endorsare Harris – compresi i pezzi grossi che avrebbero potuto soffiarle la nomination – in modo da poter sostenere con serenità anche una open convention. In tutto questo, Biden e Harris si sono tenuti stretta la sinistra del partito, in particolare Sanders e Ocasio-Cortez, e ora Harris ha bisogno di qualcuno rassicurante come vice, per strizzare l'occhio ai moderati: maschio e bianco saranno caratteristiche ricercate, probabilmente. Più di tutto servirà qualcuno che le permetta di guadagnare punti in uno degli swing state. Ci sono varie scelte possibili, ma rimanendo nell'ambito delle previsioni di pancia a istinto direi Josh Shapiro, il governatore della Pennsylvania, lo swing state col maggior numero di grandi elettori.
Il background di Harris fa ben sperare per gli eventuali confronti con Trump. Come ha scritto Angela Rye su Politico, ve lo immaginate un dibattito tra una procuratrice e uno con ottantotto rinvii a giudizio? A capacità argomentativa Harris se la cava egregiamente, ma dovrà comunque lavorare sodo per imparare a gestire l'uso di tecniche retoriche poco trasparenti da parte di Trump. Discorso diverso per un eventuale Shapiro vice presidente, che si mangerebbe Vance a colazione.
Dalle prime indiscrezioni, la campagna Trump non ha apprezzato questo cambio in corsa: Biden era un ben più semplice obiettivo da battere rispetto a Harris, tanto che subito alcuni esponenti Repubblicani, come ad esempio lo speaker Mike Johnson, si sono scagliati contro la legittimità della decisione di Biden.
A conti fatti, con Harris i Dem riescono da una parte a mantenere la continuità, rispettando il voto delle primarie (è Biden che si è tirato indietro, non Harris), e dall'altra a rovesciare la retorica usata da Trump contro Biden. Visto che l'età è un problema, diciamolo: Trump ha solo tre anni in meno di Biden mentre Harris ne ha una ventina in meno di Trump. Se fino all'altro ieri era Biden a essere messo alla gogna per ogni minimo errore di pronuncia, ora sarà la campagna di Harris a riservare lo stesso trattamento a Trump: il suo discorso a chiusura della convention Repubblicana della settimana scorsa è quanto di più sconclusionato si potesse sentire, complice un probabile guasto al gobbo elettronico.
D'altronde, non era proprio per l'uso eccessivo del gobbo che veniva attaccato Biden?
“Biden è stato un Presidente che ha fatto della sanità una battaglia cruciale”
di Laura Gaspari
Biden ha fatto bene a ritirare la sua candidatura; se non lo avesse fatto non sarebbe stato in grado di reggere un altro confronto. È un uomo di ottantuno anni che deve al contempo affrontare il suo ruolo di Presidente in carica. Nonostante il temporeggiare, alla fine credo che la Storia lo perdonerà: pensiamo a Jimmy Carter e a quanto duramente è stato giudicato subito dopo il suo mandato, e a quanto la sua figura sia poi stata riscoperta.
Biden è stato un Presidente che ha fatto della sanità una battaglia cruciale. Ha preso il timone della nave in piena pandemia, garantendo agli americani il miglior accesso possibile alle cure realizzabile nel sistema statunitense. Si è così tenuto vicino la sinistra del partito, soprattutto Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez, tra gli ultimi fedelissimi al suo fianco nel momento del ritiro. A tal proposito, il Partito Democratico si è comportato in maniera deplorevole nei confronti di Biden.
La Harris deve portare avanti con forza un tema: la difesa del diritto all’aborto. Su questo i Repubblicani perdono. Il fatto che Trump non ne parli più la dice lunga su quanto sia per lui un punto debole.
Altro tema cruciale è quello del prezzo dei farmaci, specialmente quelli salvavita, come ad esempio l’insulina per i diabetici di tipo 1 sotto Medicare: in caso di vittoria di Trump tutto il lavoro fatto da Biden svanirebbe.
Infine, un altro successo è stato Cancer Moonshot, un’iniziativa della Casa Bianca per la ricerca sul cancro. È un tema molto caro a Biden, che perse il figlio Beau per un cancro al cervello nel 2015.
Spero che l’eredità lasciata da Biden dal punto di vista socio-sanitario venga raccolta in futuro. Sebbene speri in Mark Kelly, sono dello stesso avviso di Giacomo e credo che la Harris sceglierà Josh Shapiro come vice.
“A questi livelli non si può sfuggire al senso della Storia e del proprio posto in essa”
di Emanuele Monaco
Sono state settimane pazzesche e intense, che bastano a riempire di contenuto il capitolo di storia dedicato a queste presidenziali 2024. Di fronte a ciò l’unica certezza di chi osservava da vicino o lontano era che Biden non potesse continuare ad essere il candidato del Partito Democratico. A un certo punto è sembrato che l’unico a non averlo capito fosse proprio lui, pronto alla resistenza a oltranza nella giungla fino a novembre. Alla fine, non è andata così, Biden ha salvato la sua immagine e forse anche le chance del partito al fotofinish. A questi livelli non si può sfuggire al senso della Storia e del proprio posto in essa (eccezion fatta per Donald Trump ovviamente), e sicuramente questo ha influito.
Mi terrò lontano però dal coro di elogi per la decisione da “grande leader”. Non lo è stata. Di sicuro gli va dato credito per aver messo fine all’agonia, ma rimane l’amaro dei mesi persi ad aggrapparsi all’impossibile, con il team della campagna e della stessa Casa Bianca impegnati in un’operazione di gaslighting di supporter, elettori, membri stessi del partito, fino a letteralmente qualche giorno fa. Ecco, oltre a raccogliere fondi ed endorsement, mentre il partito cerca di dare almeno l’impressione di tenere una Convention e non un’incoronazione, la prima cosa che Harris dovrebbe fare è liberarsi di chi fino ad ora ha gestito la campagna.
Dicevamo, il senso della Storia. Non è qualcosa che sfugge a un politico come Biden, che nella sua prima autobiografia scriveva “l’epitaffio di una persona viene scritto quando viene combattuta la sua ultima battaglia”. Questa è stata la sua, dal fronte del suo isolamento in Delaware. Dev’essere sembrata una grande ingiustizia, quella che lo ha portato a rinunciare a causa degli acciacchi dell’età a ciò che ogni presidente al primo turno desidera, vincere il secondo. Talmente ingiusto da provarci fino alla fine a negare la realtà, gettando il partito nel caos e, chissà, regalando a Trump la presidenza. Forse proprio questo aspetto tanto umano dell’ultima battaglia di Joe Biden definirà la sua legacy, soprattutto se questi mesi rubati a Harris le costeranno le elezioni. Allora rimarrà poco dei risultati, di una presidenza legislativamente produttiva e consequenziale. La Storia racconterà di un vecchio politico che scelse male fini e mezzi della sua ultima battaglia.